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I quattro Brahma-vihāra
Suggerimenti per la pratica quotidiana
Di: Carla Zocchi
Il
Maha-Chohan, il Grande Adepto, in una lettera scritta nel 1881, insegna che: “Il
vero teosofo non è colui che, per suo conto, si è risolutamente proposto di
raggiungere il Nirvana, ma colui che ricerca disinteressatamente i mezzi
migliori per fare capire al nostro prossimo il buon cammino conducendo ad
approfittarne il maggior numero dei nostri simili”.
Se
queste parole sono consapevolmente comprese dalla mente e scendono nel cuore,
nasce lo stimolo che induce a individuare i mezzi adatti (upaya) a riconoscere
la via e a percorrerla.
In tutti i
tempi e in tutti i luoghi sono venuti in manifestazione Saggi e Santi, i quali
ci hanno indicato la “via”.
Osservando
gli episodi della vita di questi personaggi ci rendiamo conto che, per essere
nella condizione di aiutare il nostro prossimo, è necessario liberarci dai
veleni, dalle contaminazioni che occupano la nostra mente e la trattengono
nell’ignoranza, nella confusione, nell’oscurità, nell’illusione.
Qui appare
evidente che occorre conoscere il pensiero, l’insegnamento delle grandi scuole
filosofico-religiose giunte fino a noi: l’Induismo, il Buddhismo, l’Ebraismo,
il Cristianesimo, l’Islam e altre ancora. Nel corso dell’indagine ci rendiamo
conto che il lavoro da compiere non è un’attività esteriore, superficiale,
bensì ci sentiamo indotti a penetrare nel profondo allo scopo di acquisire la “visione”
del Reale.
La “meditazione”
si rivela il metodo eccellente. Il termine corrispondente in sanscrito è “bhāvanā”.
Le innumerevoli tradizioni esistenti inseriscono la meditazione nel corpus
delle pratiche da attuare.
Ora mi
limito a prendere in considerazione quanto è indicato dalle varie scuole
buddhiste.
L’insegnamento
del Buddha presenta alcune forme di meditazione. Una è il samādhi, la
realizzazione della concentrazione mentale. Un’altra forma è vipashyanā, la
penetrazione intuitiva cosciente, la visione delle cose così come esse sono.
Cito anche
i sūtra più conosciuti: “ānapāna-sati”, il discorso circa la consapevole
percezione del respiro considerato come energia pura. Il “sati-patthāna-sutta”
il cui scopo è di sviluppare la totale consapevolezza delle attività di
corpo, parola, mente.
I
soggetti su cui meditare sono molti.
Occorre
ricordare che, per eliminare dalla mente i veleni che la contaminano, è
necessario l’esercizio costante praticato per lungo tempo, senza interruzione,
con devozione, come viene suggerito da Patañjali negli Yogasūtra.
Lo studio,
la lettura dei testi, che concernono argomenti etici, spirituali,
intellettuali, se corredati da riflessione, indagine sugli argomenti stessi,
rappresentano una forma di meditazione atta a modellare la nostra mente e
producono stati mentali privi di impurità eliminando i conflitti che ci
affliggono.
Il Mahāyana
pone l’attenzione sulle responsabilità dell’uomo nel confronto con gli altri,
non soltanto nel confronto con se stesso. Perciò ora inevitabilmente compaiono
nella nostra mente i Brahma-vihāra, i Quattro Stati Sublimi, i cosiddetti catvārapramāṇa; in lingua tibetana Tshad-med (1), i quattro incommensurabili:
-
maitrī, l’amorevole gentilezza estesa a tutti gli esseri
viventi, senza discriminazione,
-
karuṇā, la
compassione per tutti gli esseri, senza limiti,
-
muditā, la gioia intesa come partecipazione alla gioia degli
altri,
-
upeksha, l’equanimità, l’imparzialità, l’indifferenza in
relazione a ciò che è piacevole e a ciò che è doloroso.
Anzitutto
occorre soffermarsi sul significato letterale di ciascuna parola, in seguito
proseguire con la riflessione e l’indagine allo scopo di produrre l’intuizione
consapevole attraverso un processo interiore di conoscenza.
Ognuno
deve usare la sua propria intelligenza (prajñā)
per trovare i mezzi adatti (upaya)
che gli permettano di compiere il lavoro in modo proficuo.
La
meditazione sui Quattro Brahma-vihāra, condotta con sincerità, con fermezza,
consente alla mente di comprendere il significato del Primo Scopo della
Ma-gCig
Lab-sgron (2), la santa tibetana che è considerata la personificazione della
Saggezza Trascendente, con semplicità e determinazione raccomanda: “Non si abbandonino nei libri gli
insegnamenti come se fossero semplici parole, ma si mettano in pratica”.
NOTE
1) Tshad-med, leggi Tse-me.
2) Ma-gCig Lab-sgron, leggi Ma-cig Lab-dön.
BIBLIOGRAFIA
Lettere
dei Maestri di Saggezza, trascritte da C. Jinarajadasa, Trieste
1963.
I. K. Taimni, La scienza dello yoga, Roma 1970.
Walpola Rahula, L’insegnamento del Buddha, Ed. Paramita 1984.