Anima e Spirito

 Di: Pietro Francesco Cascino

L’uomo contemporaneo, nella generalità dei casi, ha un rapporto del tutto superficiale con il proprio essere, di conseguenza è indotto a considerare il proprio corpo essenzialmente in funzione di ciò che gli appare fisicamente rapportandosi ad esso attraverso le risposte tangibili che può trarne; inoltre, è condizionato dagli insegnamenti exoterici che gli vengono trasmessi dalle religioni.

Solo una minoranza tenta di focalizzare tutti i singoli elementi di cui è composta l’intera natura manifesta ed in particolare dare una precisa collocazione agli elementi  tangibili ed intangibili che costituiscono l’uomo in quanto Essere più evoluto e, per ciò, il più complesso esistente al mondo.

La concezione offerta dalla maggioranza delle religioni circa l’essere umano è dualista. considerandolo composto di anima e corpo. Le scienze biologiche e la fisica che studia l’energia nucleare, esaminano, invece, tutto ciò che caratterizza la  natura  nei vari livelli fisici visibili ed invisibili attraverso risultati empirici. Gli insegnamenti delle religioni monoteiste conducono gli uomini all’idea generica che l’anima sia la  parte interiore, invisibile e spirituale, mentre il corpo la parte esteriore, visibile.

Tale suddivisione, seppur accettabile concettualmente è in effetti del tutto insufficiente a spiegare la complessità dell’Essere. Il corpo è certamente un contenitore ma i testi sacri in effetti non fanno confusione fra lo spirito e l’anima come se i due termini fossero sinonimi. La loro stessa natura li distingue l’uno dall’altra essendo stato concepito l’uomo come essere tripartito costituito da spirito, anima e corpo. E’ importante per gli uomini comprendere la distinzione dei termini della Trinità ed in particolare la differenza fra l’anima e lo spirito perché potrebbe essere considerato spirituale ciò che in realtà riguarda solo l’anima fermandosi così solo all’aspetto psichico senza ricercare ciò che è veramente spirituale.

E’ necessario distinguere, pertanto, ciò che è collegato al sé personale, alla sfera astrale, al mentale inferiore ed al corpo fisico, e ciò che esprime l’Ego o Sé superiore che è la vera Entità spirituale e diretta espressione del Logos. L’anima può essere considerata, dunque, come un aspetto più terreno e meno trascendente dell’essere individualizzato rispetto all’entità spirituale, intesa come essenza metafisica dello spazio, dimorante all’interno di ogni essere che è adombrata dall’Essere Spirituale. Da ciò ne consegue che la prima è destinata a svanire perché legata a ciò che è perituro mentre la seconda è inevitabilmente eterna in quanto legata all’Assoluto. Quindi la parola anima significa l’Ego materializzato in un corpo fisico e non può esistere senza i veicoli che contraddistinguono quest’ultimo.  Il termine <<anima>> deriva dal greco ànemos, <<soffio>>, <<vento>>  ed il termine <<spirito>> (l’ebraico <<Ruah>>, il greco pnéuma))  deriva dal latino spiritus, soffio, respiro, alito. (da cui il verbo latino “spirare” che significa soffiare) . Il Maestro Gesù utilizza proprio l’immagine sensibile del vento per suggerire a Nicodemo la novità trascendente  dello Spirito  o <<Alito>> divino che irrompe per creare la vita. Nel Genesi (1.1) tale Spirito è rappresentato con una funzione ordinatrice: “In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”.

La discesa dello Spirito di Dio produce la creazione, la trasformazione del caos in cosmos, del disordine in ordine. Quindi  interviene la funzione vivificante: “Il Signore Dio plasmò l’essere umano con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici uno spirito di vita e l’essere umano divenne uno spirito vivente” (Genesi 2,7).

L’uomo qui si distingue dalle altre creature essendo creato ad immagine e somiglianza di Dio, ed essendo in possesso delle medesime qualità divine e capacità creative. All’uomo viene affidata la responsabilità del mondo. Il termine <<anima>>  più propriamente traduce il sanscrito Atman e l’ebraico nephesh attraverso il greco psychè. Una definizione dell’Atman compare per la prima volta  in un testo della letteratura vedica databile intorno al 1500 a.C., il Rig Veda (1,115,1) nel quale si afferma che l’essenza di ogni cosa è identificabile nel Sole : “Il Sole è l’essenza (atman) di ogni cosa. Sia essa animata che inanimata. E’ l’essenza di ciò che riempie l’aria, la terra e il cielo”. Il termine atman trae il significato dalle radici an (respiro) e at (muovere); in tal senso il respiro che soffia ovunque.

Nel Sathapata Brahmana, uno dei commentari dei quattro Veda, questa descrizione del Rig Veda, viene interpretata come una unità trascendente ed immanente di tutta la Realtà. La successiva riflessione delle Upanisad inizia a delineare l’atman come un Sé individuale distinto eppure inscindibile dal Sé universale (Brahman). L’identità tra Atman e Brahman è enunciata nella frase della Chandogya Upanisad (6,8,6-7): “ Qualunque sia questa essenza sottile, tutto l’universo è costituito di essa, essa è la realtà di tutto, essa è l’atman. Quello sei tu”. E’ da considerare che il termine <<Brahman>> è di genere neutro il che indica che esso non è riferito a qualcosa di particolare. Nel periodo post-vedico dei Purana il termine atman è posto quale proprietà inerente dell’individuo che pur non si discosta da quella universale (Brahman). Atman viene incrociato con il termine jiva (che indica la coscienza empirica ovvero l’insieme unitario delle percezioni sensoriali), generando il Jivatman (anima individuale) che si distingue dal paramatman (anima cosmica).

Nella filosofia Advaita del tardo induismo  viene escluso qualsiasi dualismo fra il Sé individuale e quello universale : “Come l’acqua racchiusa nella brocca non è una trasformazione, né una parte dell’aria esterna ad essa, così il Sé individuale non è né una trasformazione né una parte del Sé universale”. L’Atman nell’Advaita Vedanta viene visto come pura Coscienza e Beatitudine e conferisce alle individualità una natura intelligente che anima il mondo della materia piuttosto che esserne un prodotto. Secondo tale concezione ogni realtà, anche se apparentemente inanimata, contiene una presenza spirituale collegata ad un’Anima omnicomprensiva, un’Anima Mundi intelligente, corrispondente ad un complesso di forze ed energie della natura, che plasma il creato (nelle religioni politeiste gli dei erano personificazioni di tali forze). In antitesi a tale teoria quella espressa da Democrito, nota come atomismo, secondo cui la realtà risulta composta di atomi soggetti a leggi di causa - effetto ed è determinata dall’assemblaggio di singole parti fino ad arrivare ad organismi più evoluti ed intelligenti. Questo determinismo meccanicista, ripreso in età moderna da Newton e dall’empirismo anglo-sassone, costituisce la negazione dell’esistenza dell’anima.

 Platone si oppose fermamente alla visione atomista di Democrito tanto da voler distruggere i suoi scritti; ma fu dissuaso dai Pitagorici Amicla e Clinia per i quali sarebbe stato inutile in quanto le tesi di Democrito erano già piuttosto diffuse nell’antica Grecia. Ciò fa notare come fosse aspra, in quei tempi, la diatriba tra idealisti e materialisti.

 Così si esprimeva Platone nel Timeo (cap. 30, 68):  “…Pertanto, secondo una tesi probabile, occorre dire che questo mondo nacque come un essere vivente davvero dotato di anima e intelligenza grazie alla Provvidenza divina”. Platone riformulò un concetto ereditato da tradizioni orientali, orfiche e pitagoriche secondo cui  il mondo sarebbe una sorta di grande animale la cui vitalità è fornita dall’anima infusagli dal Demiurgo che lo plasma a partire dai quattro elementi fondamentali; fuoco, terra, aria, acqua. Tale concetto fu fatto proprio da esponenti delle correnti gnostiche ed ermetiche del periodo ellenistico e ribadito nel sistema filosofico di Plotino. Questi identificava l’Anima come terza ipostasi nel processo di emanazione dell’Uno munita di una doppia natura: una parte rivolta verso l’intelligibile ed una verso il mondo disperdendosi nella molteplicità delle anime individuali: “ L’Anima, in virtù della sua unità, trasferisce ad altri esseri l’unità, che del resto lei stessa accoglie per averla ricevuta da un altro”. (Plotino, Enneadi, VI,9,1).

Platone considerava l’uomo costituito di due parti: una eterna, formata dalla stessa essenza dell’Assoluto, l’altra mortale e corruttibile le cui parti costituenti derivavano dagli Dei minori <<creati>>. Egli dimostra che l’uomo è composto da un corpo mortale (uomo fisico), un principio immortale (Anima Spirituale) e da una specie di anima mortale (Anima animale). Cioè l’esistenza di un corpo spirituale (Nous), formato da sostanza incorruttibile che ascende, e di un corpo psichico (psyché) seminato in quello corruttibile (corpo o anima astrale). Secondo Platone quando l’Anima (psyché) si unisce al Nous (spirito o sostanza divina) tutto ciò che fa è giusto e, fondendosi con l’Ego immortale, la sua coscienza spirituale di quella che fu la sua natura personale, diventa immortale. Se  invece si attacca ad Anoia (anima animale) va incontro al suo completo annullamento per quanto concerne l’ego personale.

Helena Petrovna Blavatsky, nel suo libro La chiave della Teosofia, fa proprie le tesi espresse da Platone e Pitagora riguardo alla divisione dell’Anima affiancandola alla visione teosofica secondo cui: “l’Anima (monade) è composta da tre elementi: il Nous (Spirito), il phren (la mente) e il thymos (vita o soffio, il Nephesh dei Cabalisti) i quali tre corrispondono alla identificazione teosofica di : 1) <<Atma-Buddhi>> (Spirito e Anima Superiore); 2) Manas (l’Ego); 3) a Kama-Rupa (passioni) congiunto al riflesso inferiore di Manas. Quello che gli antichi filosofi greci denominavano Anima in generale i teosofi lo chiamiamo Spirito o Anima Spirituale, Buddhi considerata il veicolo di Atma (lo Agathon, la Deità suprema di Platone). Il fatto stesso che Pitagora ed altri dichiararono che l’uomo condivide phren e thymos cogli animali prova che, in tal caso, essi intendevano il riflesso manasico inferiore (l’istinto) e Kama-rupa (le passioni animali)”.

“Per molti è difficile comprendere che, in effetti vi è una sola coscienza e che l’apparente differenza è causata solo dalle limitazioni dei vari veicoli. La coscienza lavora sul suo proprio piano mentale superiore, ma nel caso dell’uomo comune soltanto parzialmente …. perché desidera ciò che è favorevole alla sua evoluzione come anima. L’Ego immette una parte di Sé entro la materia inferiore  e questa materia diviene tanto più acutamente e vividamente in quella materia che pensa ed agisce come se fosse un essere separato, dimenticando la sua relazione con quella meno sviluppata, tuttavia assai più ampia autocoscienza superiore.”

Con queste parole  C.W. Leadbeater nel suo testo La vita interiore fornisce una chiara spiegazione riguardo all’evoluzione dell’Ego attraverso il percorso che deve compiere e che necessariamente comprende il Suo passaggio nei veicoli di livello inferiore, anche se ciò avviene tramite l’anima incarnata. Poiché ciò che si incarna è solo un suo “riflesso” in quanto l’Ego, quale espressione divina rimane nel suo stato (o livello) di assoluta purezza ed incorruttibilità. L’uomo è stato fornito di una mente in grado di comprendere la Verità e che deve “progredire mediante i propri sforzi” dice M.me Blavatsky nella prefazione del suo libro “La chiave della Teosofia. L’Ego può solo agire come la luce di un faro che squarcia le tenebre e che indica la rotta al navigante in un mare talvolta calmo e talvolta tempestoso, verso un porto sicuro.

  Pietro Francesco Cascino  -  Gruppo H.P.B. Milano

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