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La dimensione spirituale dell’uomo
nell’approccio naturalistico con la montagna
Di: Alberto Francioli
“Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”
(Immanuel Kant1)
“O Madre Terra, ogni passo che facciamo su di Te dovrebbe essere fatto in modo santo…”
(Alce Nero2)
“Quando gli uomini vivevano dentro la natura, gli alberi erano il tramite di comunicazione della terra con il cielo
e del cielo con la terra”
(Mario Rigoni Stern Arboreto salvatico3)
“Il Logos non parla solo attraverso l’intelligenza, la bocca e il cuore degli esseri umani, ma anche attraverso i linguaggi della creazione”.
“Credi a chi ne ha esperienza: nelle selve troverai qualcosa di più che nei libri.
L’albero e le rocce t’insegneranno ciò che non puoi ricevere dai maestri”.
(San Bernardo4)
Inno orfico alla Natura
Natura, Madre divina di tutte le cose, Madre degli Dei e degli uomini mortali,
origine di tutto, gioioso piacere, nume operoso che tutto nutri e fai lieta la vita.
Dea generosa che tutto indomabile domi e conduci a buon fine e tutto distruggi,
fulgida dominatrice, comune a tutti eppur tu sola non accomunata.
Splendida, gioiosa ed infinta, gradita, varia, affabile, feconda ed operosa.
Che di fiori ti vesti e porti frutti e di belle stagioni ti allieti.
O vergine nutrice dalle amabili chiome dai seni ricolmi e dalla sorte felice,
impulso generante, abile, prudente.
Tu che in tutto ti effondi ciclica e in molte forme appari.
Vita immortale, provvidenza eterna,
Tu sei tutte le cose. Tu sola queste cose produci.
Ti prego Dea: portaci la pace e la diletta armonia, la ricchezza felice e la salute sovrana.
(Scuola Orfica5)
Premessa
La montagna nell’aspetto orografico (branca della geofisica che studia i rilievi della Terra) è un rilievo che si innalza verso l’alto, ma nella dimensione spirituale è innanzitutto luogo e simbolo di ascesa ed elevazione verso una meta, verso un punto o livello superiore.
La montagna finalizza l’uomo all’unità; la vetta è il raggiungimento simbolico del Logos, del principio originario. Per giungere a tale meta l’uomo deve camminare - passo dopo passo - inerpicandosi nell’irta via attraverso un percorso di fatica, sacrificio, dedizione e perseveranza.
La salita non permette distrazioni, la montagna insegna a tenere lo sguardo fisso su ogni singolo passo e vivere nel presente, nel qui e ora: il presente è l’unica dimensione, la dimensione reale, la dimensione eterna, perché viviamo solo di un eterno presente.
La montagna insegna a vivere la ricchezza della solitudine attraverso la pratica del silenzio e dell’ascolto interiore.
In questo fertile deserto l’uomo ritrova la possibilità di ricongiungersi con il sé immerso nella profonda intimità di questo cammino. Nella salita egli ascolta il linguaggio silenzioso e sacro della natura, riesce a dare cuore ed orecchio a questa parola; la salita si fa introspezione, meditazione e preghiera.
L’uomo riscopre il senso di comunione con la natura, di appartenenza con il tutto creato, coglie l’intenso significato di fratellanza con ogni cosa; la montagna diviene la via di superamento dell’egoismo e dell’avidità, è rispetto e reciprocità, ma anche accettazione dell’esistente per come si presenta.
La montagna aiuta a comprendere e a risolvere le questioni centrali della vita umana perché nel raggiungimento della vetta tutto riesce ad essere colto compiutamente in una dimensione di libertà e pace, con profondità e con partecipe distacco.
La dimensione spirituale
Nel paesaggio alpino la preminenza assoluta è data dalla natura e dal suo incanto nello sguardo attento dell’uomo sensibile. Nella montagna il paesaggio diviene il luogo in cui si congiungono Natura, Uomo e Dio; è la consacrazione sublimata della bellezza mistica che dà all’osservatore quel profondo senso di perfetto ed infinito. È il riconoscere, nella limitatezza della dimensione umana, l’esistenza di un sublime naturale coniugato ad un unico Tutto, infinito e trascendente.
È la meditazione della salita alla vetta della montagna come esperienza interiore.
La sensibilità dell’uomo che si avvicina alla montagna è vissuta quale parabola del suo cammino spirituale e si manifesta in tensione e struggimento. Dall’insegnamento di Gesù nel discorso della montagna, nel quale aveva parlato dei requisiti morali necessari per entrare nel regno di Dio, la montagna si porge all’uomo come sentiero di ricerca ed elevazione verso la porta di entrata nel Regno Divino.
L’uomo sensibile nel suo percorso terreno si confronta sempre con la sua caducità, ma è nella montagna e nella perfezione della natura selvaggia che trova la via (simbolica) per il superamento dell’immanente; in questo esprime con tutta la sua forza l’anelito trascendente al superamento di ogni limite razionale.
Nella crescita di questo stato esistenziale l’uomo arriva a comprendere la superiorità dello spirituale sulla finitezza della corporeità peritura. Tale stato porta l’uomo a riconoscersi come unico principio e fonte di conoscenza creativa ed assolutamente libera a riconciliarsi senza intermediazioni e limiti con il Divino.
La salita della montagna, la scalata di una vetta, il raggiungere la croce sull’estremità di una cima hanno un profondo significato simbolico inteso come scuola di vita, una sfida alle molteplici possibilità dell’individuo nel suo percorso di redenzione ed è per questo vissuta da molti amanti della montagna come luogo di iniziazione ad una nuova vita morale, religiosa e spirituale.
Nella salita alla montagna l’uomo impara la riconciliazione con Dio attraverso il silenzio, l’ascolto interiore (della parola di Dio, la preghiera), la nuova visione di Sé in cui ritrova il volto di Dio nella bellezza della natura; questo è il momento di trasfigurazione dove realizza tutto: è l’inizio di una vita nuova, dalla quale il vecchio uomo muore per lasciare spazio all’incontro con Dio, dal quale nasce l’uomo nuovo.
Come dice la mistica carmelitana con san Giovanni della Croce6 la salita al monte è simbolo del contatto tra il divino ed il terreno, tra l’infinito ed il finito, il monte è la meta di un pellegrinaggio verso la liberazione: quella dell’anima, dai pesi e dalle forze che la separano da Dio, dal bene, dalla gioia, dall’amore.
Nel suo insegnamento diretto e nei suoi scritti cercò di trasmettere un metodo per rendere possibile anche ad altri il percorrere la via che l’aveva avvicinato a Dio.
La via che conduce alla vetta mistica (rappresentata simbolicamente dal Monte Carmelo7) prevede che l’uomo rinunci a tutto (abbandono e spoliazione), per poi riavere, per grazia (nello stato di grazia), tutto dal Dio Unitrino. Per arrivare a tale supremo stadio l’anima deve affrontare in due “notti” esperienze misteriose di spogliazione interiore: la notte dei sensi, con cui viene liberata dall’attaccamento disordinato alle cose sensibili e la notte dello spirito, con cui viene liberata dalle false certezze e dai falsi assoluti dell’intelligenza: il Mistero non si può possedere, perciò, per parteciparne, l’uomo vecchio deve morire a se stesso e rinascere in Cristo.
La Salita del Monte Carmelo spiega il modo di raggiungere la cima del monte, cioè l’alto stato di perfezione che sarebbe proprio l’unione dell’anima con Dio. Viene trattato perciò il cammino ed il modo con cui l’anima deve disporsi per giungere in breve a questa unione, alla “festa d’amore”, attraverso la “notte oscura” dei sensi e dello spirito. È il lavoro dell’anima, chiamato attivo, perché è la volontà che coerente alla grazia di Dio opera o coopera con Lui per la sua purificazione.
Vi sono consigli utilissimi per liberarsi da ogni bene naturale, per raggiungere la perfetta nudità che porterà alla piena libertà di spirito. Qui san Giovanni della Croce enuncia la sua celebre dottrina spirituale del nulla: l’annullamento di se stessi per conoscere l’unica vera realtà, quella di Dio, per raggiungere il “tutto” che è Dio e Dio solo è la Verità.
“Su, coraggio, alzati: non stagnare in una pietà superficiale o in un debole impegno virtuoso. Affrontate decisamente le avversità della notte, salite il sentiero aspro del nulla per attingere l’incandescenza dell’Amore. Sul monte, al di là del nulla-non-Dio c’è godibile per te il Tutto-Dio”.
“In questa povertà lo spirito trova il suo riposo poiché, non desiderando niente, niente lo appesantisce verso l’alto e niente lo spinge verso il basso, poiché sta al centro della sua umiltà”.
(San Giovanni della Croce)
Nel Mistero delle Beatitudini8, nel sermone della montagna, la montagna è un magnifico simbolo del cammino che conduce dalle tenebre alla Luce. I suoi piedi sono sulla terra e la cima si eleva fino al cielo. Ed è perfettamente chiaro che questa montagna è simbolo di altezza e verticalità; cima sacra da cui è proclamato il Verbo della redenzione.
Gesù è il Signore, il sublime, il perfetto, il fratello liberato che parla ai suoi discepoli.
Il Sermone sulla Montagna è rivolto particolarmente a coloro che intraprendono realmente il cammino. Vi troviamo l’abbozzo di un comportamento che deve necessariamente condurre alla meta finale.
Inoltre, questo importante discorso inizia con una meravigliosa consolazione di beatitudine. La beatitudine è lo stato di felicità perfetta e tale diventa solo quando: “Beati (saranno) coloro che aspirano allo Spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli!”.
Utilizzando un’immagine tratta dal linguaggio di san Paolo9, questa liberazione può essere paragonata ad uno “spogliatoio” dove ci si spoglia e ci si prepara a diventare partecipi nella vita nuova in Cristo: “Spogliatevi dell’uomo vecchio, quello del precedente comportamento che si corrompe inseguendo seducenti brame, rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità della verità”.
(San Paolo, Ef. 4,22-24)
La relazione personale con il Divino instaura un rapporto creativo e trasformatore. San Paolo dice di essere rimasto “afferrato” da Cristo.
L’uomo è chiamato a vivere in Dio, ad entrare in comunione con Lui, a sperimentare la forza della risurrezione, a ricevere lo Spirito e conformarsi a Lui. In questo modo nasce un essere nuovo, la nuova creatura.
“Se uno è in Cristo, è creatura nuova”.
(San Paolo, 2 Cor. 5,17)
L’armonia tra l’uomo e l’universo fu vissuta, in modo immediato e diretto, nell’antica Grecia, nella quale l’arte - che è segno distintivo di questa armonia - espresse, nella bellezza delle forme finite, l’infinito, l’essenza divina della natura. È un’occasione per una liberazione spirituale dell’umanità, una condizione di ritorno dell’individuo all’armonia con i propri simili e con la natura sotto l’incessante azione dell’anelito utopico.
La storia umana, tuttavia, è la storia della caduta e della rottura di quell’armonia e dei tentativi effettuati per riconquistarla. Infatti l’uomo, per conoscere se stesso, deve ritrovare l’unità con la natura.
Nel centrare lo sguardo su se stesso, al fine di prendere piena consapevolezza dei suoi poteri spirituali, della sua capacità di dare ordine e significato “soggettivo” - con la conoscenza e con l’azione - alla realtà naturale, è costretto a porre la natura di fronte a sé e dentro di sé.
Ciò implica la riconciliazione con quell’unità perché l’uomo è parte della natura, è egli stesso naturalità; la naturalità dell’uomo rappresenta la sua pienezza umana. Riconciliarsi ed armonizzarsi nella natura lasciandosi plasmare dalla natura. Così le distanze tra uomo e natura si neutralizzano, vengono annullate e nasce l'armonia come effetto di un processo di consapevole riconquista. La natura non è più dominatrice assoluta dell’uomo, come l’uomo, a sua volta, non è più il dominatore della natura; l’uomo la comprende e la assimila nel suo spirito, rendendola realtà spirituale.
Come dicono gli gnostici, sapere non significa sempre conoscere e non sempre quello che si sa è vero sapere. Spesso, sapere (troppo) distoglie e devia l’uomo dalla conoscenza. L’ispirazione quotidiana nasce da un costante “non sapere”. “Non so…”; la conoscenza del cammino liberatore rappresenta nella sua essenza un cammino che tutti gli uomini possono percorrere, un cammino che è sempre esistito e di cui si trova traccia all’origine di tutte le religioni e tradizioni spirituali.
Un’idea classica, la ritroviamo in Socrate10 - il maestro del “Conosci Te Stesso” – ed è la seguente: “La somma di tutta la sapienza è che non sappiamo nulla”; cioè sapere di non sapere: “io so di non sapere” (io so perché so di non sapere).
Il fondamento del pensiero socratico è l’elevato anelito e desiderio di conoscere. La figura del ricercatore, secondo Socrate, è completamente opposta a quella del saccente, ovvero del sofista. Egli diceva di essersi convinto così di non sapere e di essere completamente ignorante. Il suo pensiero si caratterizza nell’anticonformismo che, in opposizione alle convinzioni (preconcette e prestabilite dalla società), rifugge il consenso e l’omologazione.
Il motto “Conosci Te Stesso”, risalente alla tradizione religiosa di Delfi, voleva significare, nella sua brevità, la caratteristica dell’antica sapienza greca: “Nulla di troppo, Ottima è la misura, Non desiderare l’impossibile”; era quello di voler ammonire a conoscere I propri limiti, “conosci chi sei e non presumere di essere di più”; era dunque un’esortazione a non cadere negli eccessi, a non offendere la divinità pretendendo di essere come Dio. Tutta la tradizione antica mostra l’ideale del saggio come colui che possiede la saggezza, attraverso la pratica dell’umiltà e della moderazione.
“L’Idea della Verità, della Bellezza dell’Amore eleva l’anima del candidato sul cammino liberatore, fuori della caverna di questo mondo di apparenze, fino alla sua origine, fino a Dio”.
(Platone11)
Nel romanticismo troviamo un primo forte rapporto tra uomo e montagna, attraverso l’arte del paesaggio, con i quadri di Caspar David Friedrich12 di cui leggiamo questo significativo aforisma: “Per poter essere quello che sono devo concedermi totalmente a ciò che mi circonda, diventare una cosa sola con le nubi e le rocce. Ho bisogno della solitudine per il dialogo con la natura”.
(Caspar David Friedrich – 1821)
Friedrich è considerato il principale esponente della pittura romantica di paesaggio; nello stesso periodo si deve la nascita dell’alpinismo come disciplina naturalista e anche sportiva.
Il tema principale della filosofia romantica è l’Assoluto, che nel Romanticismo e nella visione della Filosofia della Natura si contrappone al meccanicismo ed al positivismo, in quanto afferma l’unità e l’inscindibilità tra il mondo dello spirito e quello della materia, in quanto ogni cosa è parte dell’Universo e, pertanto, ogni cosa è dotata di uno Spirito o Anima universale. Solo nella scoperta del senso più profondo della natura si può disvelare l’Anima del Mondo fatta di Natura e Spirito, i due aspetti paralleli di un unico Assoluto.
I fenomeni che danno origine e sviluppo ad ogni forma di vita non sono spiegabili attraverso le leggi matematiche, perché la natura è viva anche nelle sue parti più minime; in un semplice stelo d’erba è possibile vedere l’azione di forze cosmiche che producono la complessità della natura e la sua progressiva evoluzione. Goethe13 definiva la natura “veste vivente della divinità”.
“Colui al quale la natura comincia a svelare il suo segreto, sente irresistibilmente nostalgia per la più degna interprete di essa, l’arte”.
(Goethe)
Il Romanticismo vide perciò nella natura una forza vivente e proprio su questo si è potuto trovare una confluenza fra l’arte e la filosofia: sia questa la pittura, oppure la musica, o la poesia, perché tutte tendono a cogliere il nesso che lega la finitezza all’infinità.
Il Romanticismo trova nella natura il senso più profondo di Assoluto ed è al centro della poetica di artisti e letterati.
Secondo lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan14, riferendosi al grande pittore C.D. Friedrich: “Nelle tele di questo spirito solitario e contemplativo è quasi palpabile la presenza di un essere metafisico grandioso e infinito, potente e terribile, superbo artefice dell’universo”.
L’aspetto simbolico che si evidenzia e traspare è la ricerca di un orizzonte infinito che trascende la dimensione immanente, per proiettarsi verso un ignoto trascendente di ricerca, verso il senso del Sacro e dell’Assoluto. È la trasformazione in chiave alchemico-ermetica dei luoghi rappresentati nei volti e nelle parole di una natura che si compenetra nel Tutto. Come diceva Heinrich Heine15: “Dove le parole finiscono, inizia la musica”: la musica è intesa come linguaggio superiore, linguaggio di perfezione, vibrazione ed armonia universale dell’anima; anche per i pittori romantici si potrebbe dire la stessa cosa, la fine della visione razionale porta l’osservatore verso la dimensione dell’osservato al di là della finitezza e della temporalità dell’esistenza umana, in una realtà trascesa completamente nell’abbandono del disegno Divino. L’uomo non è più prigioniero della temporalità e vive la dimensione terrena al di là della paura peritura e caduca della dimensione fisica. Come direbbe anche Friedrich Schiller16: “Sul tuo cuore cadde il mio sguardo”, deve essere inteso non tanto come un cuore carnale, ma il cuore mistico dell’Anima Mundi che pervade il senso più intimo e profondo dell’esistenza umana.
Nelle arti e nella letteratura il Romanticismo fonda ed esprime con tutta la sua forza i suoi valori fondanti.
Il Romanticismo rivaluta anche la cultura classica, ma in modo particolare il senso della fede, con la conseguente rinascita di interesse per tutte le religioni del mondo. La ricerca dell’uomo romantico si indirizza all’irrazionale ed al trascendente, con il conseguente recupero del misticismo e dell’esoterismo. In questi contesti ideali le nuove forme del religioso abbandonano la dimensione dialettica del Mistero Divino, per aprirsi ad un particolare tipo di esperienza caratterizzata dalla fiducia nella possibilità di un ritorno a Dio attraverso l’ascesi meditativa, tale da permettere all’anima di liberarsi dalla prigione dell’ego raggiungendo così la condizione di divinizzazione dell’essere uomo, cioè il raggiungimento di una perfetta ed intima comunione con il Divino, rappresentazione del Sé.
La riproposizione e la riscoperta delle antiche dottrine e tradizioni spirituali sviluppa la concezione dell’Anima del Mondo (Anima Mundi) caratterizzata dall’equivalenza esistente fra microcosmo e macrocosmo nascente – nel Romanticismo – nella visione della Filosofia della Natura.
Novalis17, alla domanda: “che cos’è la natura?”, risponde che essa è “un piano dello spirito”. In primis, esso comporta l’unità tra individuo e natura.
“L’uno nel tutto e il tutto nell’uno l’immagine di Dio nell’erba e nelle pietre lo spirito di Dio negli uomini e negli animali di questo dobbiamo compenetrarci”.
“Il poeta comprende la natura meglio che lo scienziato”.
(Novalis)
Per Hölderlin18, l’ideale dell’uomo è ritrovarsi in unione col tutto.
Poiché la natura è pervasa da vita infinita, la grandezza dell’uomo si celebra quand’egli riesce ad identificarsi con questa vita, ad avvertire in sé la vita dell’universo.
Alla sua epoca Hölderlin assegna il compito di restaurare il paradiso perduto, la ricomposizione in unità dell’uomo. Aspirazione in cui la natura (di cui l’uomo è parte) è essenzialmente un’intelligenza immutata: è Dio.
“O natura felice! io non so che sia di me, quando sollevo lo sguardo innanzi alla tua bellezza, ma tutta la gioia del cielo è nelle lagrime ch’io verso innanzi a te, come l’amante dinanzi all’amata”.
(Friedrich Hölderlin)
Nella concezione della Natura espressa nello Sturm und Drang (Tempesta e Impeto), che è stato uno dei più importanti movimenti culturali e spirituali tedeschi, la natura era vista come un luogo di rapporti armonici ed equilibrati tra gli individui, senza gerarchie o classi. Questa visione era incentrata sul concetto di stato di natura, cioè sul concetto di forza armonizzante del Tutto. Questo movimento culturale rivaluta l’elemento passionale, emozionale, esistenziale, spirituale ed estetico contro il razionalismo illuministico ed i dogmi fideistici della religione; si richiama alla natura primigenia ed alla riscoperta delle forze della natura, intesa come manifestazione stessa della divinità. Uno dei principali ispiratori dello Sturm und Drand (assieme ad altri filosofi tedeschi) è stato Johann Gottfried von Herder19.
Per il Romanticismo, l’uomo si trova pertanto al termine della storia naturale e al principio di quella spirituale. Infatti, la sua struttura fisica è tale da fornire la base naturale allo sviluppo delle facoltà spirituali dell’uomo. Per Herder, il divino è presente nel mondo e nell’umanità: gli esseri finiti sono manifestazioni della vita divina;
Dio è nell’universo come forza animatrice. La storia dell’umanità e la sua natura sono un unico cosmo, che è manifestazione della legge divina.
Il Romanticismo accomuna questi pensatori dalla profonda convinzione nell’unità e nell’unicità dell’intera natura.
“… non conosciamo infatti nessuna angelicità insita nell’uomo, e se il demone che ci governa non é un demone umano, allora noi diventiamo tormentatori degli uomini. L’elemento divino che c’é nel nostro genere é dunque l’educazione all’umanità. … Umanità é il patrimonio e il risultato di tutti gli sforzi umani, é per così dire l’arte della nostra specie.
L’educazione all’umanità é un’opera che deve essere continuata incessantemente; altrimenti tutti noi, che si appartenga ai ceti superiori o a quelli inferiori, ripiombiamo nella rozza animalità, nella brutalità”.
(Johann Gottfried Herder)
All’inizio del Novecento, uno studente liceale di Berlino, Karl Fischer, diede vita in Germania al gruppo dei Wandervögel, “uccelli migratori”, concetto che esprime la visione mistica dell’uomo-natura e la visione circolare dello spazio-tempo in un eterno ritorno. I Wandervögel erano animati da un acceso spirito antiborghese e libertario che si esprimeva nella vita in campagna a contatto con la natura. Disprezzavano i miti borghesi del denaro, della felicità materiale, del successo, oltre che gli pseudo-valori della società liberal-capitalista e della sua ideologia.
Le escursioni nei boschi, sulle montagne erano un modo per entrare in contatto con la natura, in antitesi al mondo in cui si viveva e per riflettere su altre e migliori possibilità di essere uomini. Nel loro manifesto non c’erano dichiarazioni concrete su come dovesse apparire l’agognato futuro; ma venivano espressi, in sintesi, i desideri e le nostalgie di questo Movimento giovanile: “La Libera gioventù intende plasmare la propria vita secondo la propria determinazione, la propria responsabilità e la propria verità mistica interiore”.
Per questi giovani l’uomo si doveva liberare e riappropriare al ritmo ed al corso della natura, ai suoi tempi, all’armonia con il tempo naturale. Il tempo, determinato dalla temporalità dell’esistenza umana, era il valore più alto e sublime perché doveva essere vissuto con intensità e pregnanza. Il loro fine era di ricondurre l’uomo in simbiosi con le forze elementari della natura e liberarlo, come fosse prigioniero, dalle mura delle disumane ed alienanti città e dello sfruttamento subito dall’uomo nelle fabbriche (industrialismo e tecnicismo).
Una visione, un progetto di mondo olistico, sobrio, essenziale, autoregolato al minimo dei bisogni e dei consumi, in perfetta armonia con la natura. Per ogni uomo si idealizzava un’esistenza da “allargare” giorno per giorno al ritmo quotidiano della natura; una vita scandita dalla lenta dimensione del tempo e dall’ordine cosmico.
Essi praticarono una riscoperta del contatto diretto e totale con la natura mediante escursioni nelle località più amene e suggestive della foresta tedesca.
Fu proprio questo movimento a porre le basi della cultura ecologica del profondo, intesa appunto come disciplina della profonda ed armonica simbiosi tra l’uomo e l’ambiente.
Non si può non citare a tal proposito l’insegnamento di Friedrich Schelling20, che sosteneva la natura come una vita che dorme sull’anima del mondo. La natura è essenzialmente un’intelligenza immutata e lo Spirito dell’uomo si riflette nella Natura, la loro unione è il vero Assoluto. Il divenire umano e la vita non sono estranei a Dio, ma costituiscono la sua stessa essenza. Schelling afferma che il divenire di Dio è possibile perché in lui la Natura è una sorta di fondamento oscuro, un abisso profondo a partire dal quale Dio si costituisce come Persona vivente e si rivela. Da questo abisso di tenebra Dio emerge, trionfando sull’oscurità e attestando la vittoria della luce sulle tenebre. Il modo in cui questo rivelarsi di Dio si attua non è però senza lotta; questo fondo oscuro su cui Dio trionfa rappresenta l’atto negativo del divenire umano. In questo fondo oscuro trova la propria radice il male e nella vittoria su di esso la libertà manifesta la propria possibilità di scegliere nella luce il bene e l’amore.
“La scienza della natura toccherebbe il massimo della perfezione se giungesse a spiritualizzare perfettamente tutte le leggi naturali in leggi dell’intuizione e del pensiero”.
“La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito è Natura invisibile”.
(Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling)
Anche l’antroposofo Rudolf Steiner21, nelle sue innumerevoli conferenze, si sofferma spesso sul significato di natura e sul rapporto dell’uomo con essa, affermando: “… una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo. Sorge nell’uomo come una necessità del cuore, … e può essere pienamente giustificata se soddisfa questo bisogno interiore”.
“Possa la mia anima rifiorire innamorata per tutta l’esistenza”.
“Tutta la natura sussurra i suoi segreti a noi attraverso i suoi suoni.
I suoni che erano precedentemente incomprensibili alla nostra anima, ora si trasformano nella lingua espressiva della natura”.
“Ciò che è necessario per continuare a fornire buona cura alla natura è completamente caduto nell’ignoranza durante l’era del materialismo”.
(Rudolf Steiner)
Tornando nello specifico al rapporto tra l’uomo e la montagna è molto significativo l’insegnamento di Milarepa22 ed a questo proposito è importante riflettere anche sul significato di montagna sacra in oriente. Il significato sacro nella montagna lo rinveniamo in tutti I continenti; in particolare nel Tibet troviamo il monte Nanda Devi (7.817 mt.) chiamato la “Dea benedetta”, sita nel cuore dell’Himalaya, montagna sacra molto venerata dagli indù. Ma è soprattutto il monte Kailash (6.714 mt.) ad essere considerato la montagna più bella e più sacra di tutta l’Asia. Essa è venerata da oltre mezzo miliardo di persone in India, Tibet, Nepal e Bhutan; è infatti sacra ai fedeli di quattro religioni. Il Kailas è il centro mitico del continente-mondo, visto come un fiore di loto a quattro petali della cosmogonia vedica ed è venerato appunto da quattro religioni.
Per i tibetani, il Kailash è il “gigante di cristallo”, “reggia della divinità”.
Gli induisti lo considerano la dimora di Shiva e per questo punto di contemplazione della vita, regno di Dio e delle pratiche ascetiche, dove nella distruzione c’è trasformazione e rinascita.
Per i buddhisti, è la dimora della divinità tantrica, centro di un mandala, o sacro cerchio, che rappresenta lo spazio divino dove possono recarsi per apprendere la potenza e la saggezza che li renderanno liberi dalla schiavitù della sofferenza. Nel buddhismo, il Monte è il “mandala della sublime benedizione”; per un cercatore spirituale ha il significato di respingere il concetto di “conquista di un cima”, perché è la montagna che conquista l’uomo.
I jainisti lo adorano come Monte e Luogo dove il grande saggio e fondatore della religione ricevette l’illuminazione e raggiunse il nirvana.
Per questo motivo è considerato da tutte le religioni la preziosa gemma o gioiello delle nevi, il “Centro dell’Universo”, e fonde insieme gli estremi dell’ascetismo spirituale e della ricchezza e bellezza materiale.
Sin dall’alba dei tempi, quando i primi saddhu23 attraversarono l’Himalaya e si affacciarono sull’altopiano tibetano, ai loro occhi apparve una slanciata piramide innevata. Giochi di luce ed ombra tracciavano il simbolo del sole sulla parete di cristallo: erano giunti al Monte Meru, il mitico asse del mondo. Per ogni viaggiatore è il compendio di ogni montagna sacra.
Ma perché proprio questa montagna e non un’altra? Nel libro La via delle nuvole bianche, Lama Anagarika Govinda spiega che una montagna diviene sacra quando ha una personalità dalla quale sprigiona una forza che attrae gli uomini. La personalità consta in qualità come la consistenza, l’armonia ed una singolarità di carattere. Quando queste qualità si concentrano in un essere umano egli diviene un grande saggio, come il Signore Buddha24. Quando si manifestano in una montagna essa si trasforma in un contenitore di potere cosmico. Il Kailash occupa un posto così preminente fra le montagne del mondo perché è il luogo più alto dell’altipiano tibetano; uno slancio fisico verso il cielo. Qui nascono anche i grandi fiumi che, scorrendo nelle quattro direzioni, simbolizzano i legami religiosi fra i popoli di questo continente, racchiudendoli in un unico e gigantesco abbraccio.
“Tutti gli oggetti che possiedi accumulandosi formano una torre sotto i tuoi piedi, che ti allontanano sempre di più dalla terra/verità.
Se vuoi raggiungere la verità dovrai abbandonare poco alla volta tutti i tuoi oggetti”.
(detto sadhu)
Per tutti, la via del Kailash è una pista che risale l’ampia valle del Brahamaputra: più di millecinquecento chilometri fra pascoli, costeggiando le scintillanti vette dell’Himalaya ed infine, valicati vari passi, a settentrione, elegante, splendente ed imponente, svetta il sacro Kailash.
Ogni pellegrino affronta questo percorso come vuole; alcuni cantando, altri recitando mantra, altri progredendo con prostrazione, altri camminando soli concentrati sulle preghiere, altri procedendo festanti in compagnie liete e felici di aver finalmente raggiunto questo luogo sacro. Tutti legati ai luoghi ed alle vicende di Milarepa. Come ricorda Lama Govinda, questo rappresenta l’inizio di un qualcosa di nuovo: “un rinascere per la seconda volta”.
Il pellegrinaggio alla montagna significa quindi raggiungere il centro stesso dell’universo, il punto cosmico dove ogni cosa ha inizio e fine, la sorgente divina di tutto ciò che esiste e ha significato.
I pellegrini, sia i laici che i lama, compiono lunghi viaggi di settimane o anche di mesi verso la montagna sacra per apprendere la rivelazione che mostrerà loro la via per trascendere le passioni e le illusioni di questo mondo.
Il percorso circolare che viene compiuto (in senso orario) attorno alla montagna sacra, è la meta finale del pellegrinaggio, occorrono di solito tre giorni, con frequenti soste ai santuari ed ai templi per pregare e compiere riti. Alcuni pellegrini tibetani, per accrescere il merito religioso della loro impresa, impiegano molto più tempo, prostrandosi a terra lungo tutto il percorso attorno alla montagna, imperturbabili di fronte alle asperità del terreno e del clima. Il punto culminante del pellegrinaggio è un valico situato sul versante nordorientale del monte Kailash, a ben oltre cinquemila metri di altezza, adorno di bandiere di preghiera infilate tra rocce e massi. Appena prima del valico i tibetani lasciano indietro qualcosa di sé: un capo di vestiario, una ciocca di capelli, un dente, come simbolo della propria morte e della rinascita ad una nuova vita più spirituale.
Intorno al Kailas visse Milarepa, cibandosi di sole ortiche e radici e vestendosi di cotone nei rigori estremi del clima tibetano, grazie alla sua capacità di generare il calore interiore che si sviluppa attraverso la meditazione. Milarepa non possedeva nulla e si sottopose a privazioni tremende.
Lo stesso spirito di Milarepa anima l’ascetismo del jainismo, i cui seguaci sono strettamente vegetariani e fanno penitenza digiunando.
Durante il mese sacro i jainisti non consumano verdura in foglia, radici ed acqua non bollita. Nell’ultimo giorno di penitenza chiedono perdono per avere offeso una qualsiasi creatura vivente. I monaci, in prevalenza, trascorrono l’esistenza in un’ascesi totale, completamente nudi, rinunciando a tutti i beni terreni, o indossano una mascherina che, coprendo la bocca, serve ad evitare di inalare accidentalmente gli esseri viventi.
Lo stesso Gandhi sentì in modo particolare l’influsso di questi insegnamenti. Aveva accettato l’arte del non far male (pratica della non violenza), come base della sua politica e della sua vita; si accontentava di una semplice copertura ai lombi e poteva digiunare fino alla morte (presso i jaina, il suicidio per fame rappresenta la massima vittoria dello spirito sulla cieca materialità e volontà di vivere) perché l’incarnazione di un Grande Spirito o Grande Anima è materia (carne) di redenzione.
Questa montagna è un archetipo radicato nell’inconscio: “L’Illuminato dice in verità che questa montagna di neve è l’ombelico del mondo… Qui si può raggiungere la Perfezione trascendente”.
Dall’altopiano intorno al Kailas nascono il Gange, l’Indo, il Brahmaputra. Sulle sue pendici cresce la famosa e mitica “soma”, la bevanda della non-morte, l’elisir di lunga vita che dà l’immortalità bevendo, appunto, il succo divino della “soma”, che va raccolta nelle notti di luna piena ed a cui sono stati dedicati ben 120 “Veda”25 (le antiche scritture sacre dell’India), termine che significano letteralmente conoscenza.
Il devoto, immerso nella quiete, si cimenta (sempre in senso orario) nel pellegrinaggio intorno al Kailas, dal quale dovrebbe ottenere un coinvolgimento emotivo con risultati spirituali più profondi. Ma non dimentichiamo che ogni pratica spirituale ha un suo effetto in base alla disposizione d’animo della persona.
Il Kailas non è solo una montagna, è una vetta immacolata (mai scalata), che i popoli locali considerano dimora degli dei; essa vibra di arcano, di miti e simboli, è lì che ti parla. Devi solo accettare il suo invito e uscirai mutato dall’esperienza. Come con ogni montagna, bisogna passarle accanto percependone il sussurro, riconoscendo la sacralità dei luoghi e la sottile presenza; bisogna avvicinarla con rispetto, tendendo l’orecchio alla sua voce più profonda, cercando di indirizzare lo sguardo oltre la realtà più scontata.
La montagna è meditazione sul problema della vita. La montagna gioca un ruolo importantissimo nella mistica di tutti e tempi e di tutti I popoli. Basti citare il monte Sinai, il monte Tabor, il monte degli Ulivi degli ebrei (detto anche monte Oliveto o monte della Sommità), il monte Meru degli induisti, il monte Fujiama dello scintoismo, i monti citati della catena himalayana e tibetana, nonché l’Olimpo dei greci.
“… Il prezioso Monte Meru lo Stupa26 al centro dell’Universo, a Sud emana una luce di puro turchese; Essa è il grande ornamento del Firmamento…”.
(da I centomila canti di Milarepa)
Milarepa, che era uomo delle montagne, diceva: “Nelle vaste regioni del continente settentrionale, sognai che c’era un’immensa montagna, la cui vetta toccava il cielo. Attorno a questa cima si muovevano il sole e la luna, i loro raggi illuminavano i cieli più in basso…”; così Milarepa inizia a raccontare uno dei suoi sogni rivelatori. Le citazioni su Milarepa sono piene di riferimenti alla montagna che qui rappresenta l’insegnamento, la scuola, dove l’altissima vetta, tanto da toccare il cielo, rappresenta la meta inestimabile dell’Illuminazione e dell’Amore.
Milarepa stesso parla delle montagne in modo assai concreto: “Andare per monti selvaggi, è una via alla liberazione”.
Basta leggere una qualunque delle biografie della vita di Milarepa per rendersi conto di quanto fosse importante “la montagna” per un uomo tibetano.
Essa risale le correnti ascensionali dello spirito per assurgere ad elemento simbolico e veicolatore di significati esistenziali e spirituali.
Milarepa fugge dal suo villaggio natale, dalla casa familiare nella quale, subito dopo la morte dei suoi genitori, subisce infami ingiustizie. Fugge per cercare la vendetta, una vendetta attraverso l’arte della magia nera. Sperimenta la magia nera vendicando atrocemente le ingiustizie subite. Tuttavia, nel corso in questa ricerca di vendetta, egli vive profondamente il proprio e l’altrui dolore, il comune penare dell’esistere. Comprende la natura negativa di questi insegnamenti, e viene mandato dal Guru e Maestro Marpa27 (1012-1079) per apprendere l’insegnamento sul come neutralizzare il karma negativo accumulato attraverso la pratica della magia nera.
Lo stesso insegnamento lo abbiamo in occidente da Immanuel Kant.
“Nella conoscenza di sé stessi, solo la discesa agli inferi, può condurre all’aposteosi”.
Milarepa si pente e si affida con umiltà al grande Guru e Maestro Marpa, giurandogli fedeltà eterna ed obbedienza in cambio della liberazione da questo inestinguibile soffrire. Prima di liberarsi da questo terribile fardello Milarepa, per ben sei anni, viene trattato come un servo e gli fu ordinato di svolgere lavori che mettevano alla prova il suo fisico e la sua mente con difficoltà insostenibili. Gli fu addirittura ordinato di costruire e distruggere ripetutamente una torre di nove piani. Non lasciandosi scoraggiare dai progetti alquanto mutevoli di Marpa, Milarepa riuscì a completare il lavoro (e la torre da lui costruita svetta tuttora in Tibet).
Giunse alla fine degli anni di lavoro, durante i quali il karma negativo di Milarepa venne esaurito grazie al duro insegnamento e comportamento del suo insegnante Marpa, che poté finalmente iniziare ad istruirlo. Lo preparò ad una vita di meditazione solitaria attraverso l’insegnamento da “bocca” del maestro a “orecchio” del discepolo.
Tale insegnamento era molto diffuso nella tradizione indiana: “La scienza impartita dalle labbra di un maestro è efficace, diversamente è priva di frutto, debole, e addirittura pericolosa”.
Lo stesso insegnamento lo troviamo anche nelle scuole gnostiche e misteriche della tradizione occidentale; l’insegnamento della Conoscenza, non è mai stato scritto. Esso fu trasmessa solo per via orale, da maestro ad allievo, al fine che ogni allievo fosse condotto ad essere il maestro di se stesso.
Il Maestro Marpa mandò a meditare Milarepa in totale isolamento per un anno nelle caverne d’alta montagna. Al suo ritorno Marpa convocò i suoi principali discepoli e trasmise a ciascuno di essi uno degli insegnamenti ricevuti dal suo maestro Naropa: il corpo illusorio, la luce radiante, lo stadio intermedio, il controllo del sogno ed il trasferimento della coscienza. A Milarepa venne trasmesso il potere del calore miracoloso che consente di non usare vesti di lana: da quel giorno gli fu dato il soprannome “vestito di tela”.
Milarepa si impegnò nella meditazione con ardore e devozione, sino a raggiungere la completa illuminazione. Presto la sua fama si diffuse e molta gente iniziò a cercarlo per ascoltare i sublimi canti, per mezzo dei quali esprimeva la sua realizzazione.
Il tema della montagna diventa sempre più ricorrente nella vita di Milarepa. Egli si ritira in meditazione fra le montagne sperdute del Tibet, rinunciando a volte anche al bisogno elementare di nutrirsi pur di perseguire lo scopo della spiritualità, il raggiungimento della conoscenza totale e dell’illuminazione.
Le montagne più e più volte compaiono nei sogni del saggio e ne influenzano ancor di più la sua formazione interiore, rafforzandone lo spirito e la consapevolezza.
“… durante la notte, nei miei sogni, potevo attraversare senza impedimenti l’universo in qualsiasi direzione, dalla cima del Monte Meru alla sua base e distinguevo chiaramente ogni cosa…”.
(Milarepa)
Milarepa sembra raggiungere la propria illuminazione anche attraverso l’ascesi fisica, oltre che simbolica, delle montagne del Tibet. E chi va in montagna conosce bene l’effetto spirituale dello scalare o del semplice passeggiare, fosse anche solo quel breve tempo di riflessione in cui ciascuno di noi riesce finalmente a non essere altro da sé pur essendo un tutt’uno con l’universo.
“… Se vuoi conoscere il tuo passato, sapere che cosa ti ha causato, allora osservati nel presente, perché il presente è l’effetto del tuo passato.
Se vuoi conoscere il tuo futuro, sapere che cosa ti porterà, allora osservati nel presente, perché il presente è la causa del tuo futuro…”.
(Siddharta28)
La liberazione dello spirito inizia da una comprensione profonda. Secondo Krishnamurti29, l’aspetto più importante della comprensione è l’essere coscienti di non sapere nulla.
“C’è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all’angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni (alle paure) in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente”.
(J. Krishnamurti)
Celebre e significativa è la sua affermazione “la Verità è una terra senza sentieri”, che può ben rappresentare il nocciolo del suo insegnamento che ha spronato l’uomo a liberarsi da ogni strada già tracciata, dal passato, dai dogmi, dalle ideologie, guardando la realtà senza alcun condizionamento.
“Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. … e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la Verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero. Se lo comprendete, vedrete che è impossibile organizzare una fede. La fede è qualcosa di assolutamente individuale, e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una religione che viene imposta ad altri”.
(J. Krishnamurti)
“Non c’è guida, non c’è maestro, non c’è nessuno che possa dirvi cosa fare” ripeteva sempre Krishnamurti.
Nessun “maestro”, nessun “iniziato” può trasmettere al candidato la Verità, dicevano le scuole misteriche e gnostiche, poiché egli deve raggiungerla abbattendo numerosi ostacoli interiori, attraverso un processo di trasformazione, di rinascita dell’anima, di Trasfigurazione.
La Gnosi (dal greco: gnosis) è l’alta conoscenza che incita l’uomo a scoprire in se stesso la scintilla Divina tramite la quale può dirigersi verso l’assoluto. La “conoscenza diretta di Dio” è ricevuta come risultato di uno sviluppo interiore, del quale si parla nel Nuovo Testamento come di “rinascita dall’Acqua e dallo Spirito”. Questa è l’immutabile e universale legge d’amore. È la Luce che non ci abbandona mai se non siamo noi stessi ad abbandonarla. Dio viaggia in noi per parlare di Dio.
Un contributo ulteriore è dato dalla lettura di questi aforismi:
“Per sua essenza, l’uomo non è schiavo né di se stesso né del mondo, ma è un essere amante.
La sua libertà, il suo compimento, sono nell’amore, che è un altro nome della conoscenza perfetta”.
“Nel momento in cui la piccola scintilla di verità che alberga nella nostra anima finalmente si accenderà, nulla resterà più nascosto per noi, né la realtà segreta delle cose, né il loro splendore, né l’Amore che le abita”.
(Rabindranath Tagore30)
“… Tutto l’universo obbedisce all’amore…” (alla legge dell’amore).
(Franco Battiato31)
Il concetto di montagna sacra lo troviamo anche nel cosiddetto “tappeto a preghiera”, caratteristico nella ritualità islamica (con il tappeto l’uomo ha imparato a volare verso ciò che è oltre), ma in realtà le radici sono molto più antiche. Infatti il motivo a preghiera prende forma nel mito della montagna cosmica che si perde nella notte dei tempi con il Monte Meru, il Monte Tabor, il Monte Carmelo, il Monte Sinai, il Monte Olimpo, ecc…
La montagna, per tutte le tradizioni spirituali, è dunque simbolo di ascensione, della ideale scalata dal mondo fisico a quello metafisico attraverso il Fuoco dell’anima e dello spirito.
“Vado alla ricerca di oasi, dove il pensiero e i sogni camminano parallelamente.
Mi capita spesso di voler bloccare un sogno, di fermare il tempo.
La corda di canapa sale lentamente.
Alla sua estremità è legato un vecchio montanaro.
Egli conosce la vita, conosce il mondo, conosce me”.
(Fausto De Stefani32)
Un ottimo contributo sulla montagna viene portato da Francesco Tomatis33 e dal suo libro Filosofia della montagna, edito da Bompiani, che raggiunge una ricchezza di contenuti ed uno spessore spirituale molto elevati e che così sviluppa la riflessione del rapporto uomo-montagna: “Non c’è ascesa senza ascesi, continuo esercizio, costante rinuncia, faticoso cammino, disciplinata via, fedele amore, insonne preghiera di abbandono a ciò che, a tutto superiore, attende”.
L’esito di questa riflessione consiste nella trasfigurazione in simbolo mistico e nella liberazione da tutti quei pesi che ci incatenano alla realtà di tutti i giorni.
Già Plotino34 diceva: “Spogliati di tutto”, perché tutta la creazione discende dall’Uno, l’uomo deve abbandonare ogni cosa per ricongiungersi all’Uno, superare il mondo duale essendo l’Uno all’origine di tutto e del Tutto. Concetto di estasi che sta ad indicare l’unica via attraverso la quale l’uomo può fare esperienza e conoscenza diretta dell’Uno, cioè di Dio.
“L’insegnamento giunge solo a indicare la via e il viaggio; ma la visione sarà di colui che avrà voluto vedere”.
“Tutte le cose sono piene di segni, ed è un uomo saggio chi riesce ad imparare una cosa da un’altra”.
“Il nostro impegno non è rivolto a liberarci dal peccato, ma ad essere Dio”.
(Plotino)
È un insegnamento a superare il senso di colpa (mea culpa, per mia colpa) che soffoca la vita, nella semplice consapevolezza di conoscere se stesso come uomo rigenerato nell’evoluzione e nella crescita morale e spirituale.
Il risultato della mistica della montagna è una sorta di “svuotamento” fisico e meta-fisico in tutti i sensi. Il rapporto con Dio è certo di preghiera, ma non inteso solo come richiesta di qualcosa, bensì come conoscenza trascendente dell’anima di essere liberata. In essa ella chiede a Dio di liberarla da tutto: da ogni cosa del mondo, da ciascuna persona, anche da se stessa e persino da Dio. Non è un concetto paradossale, la liberazione da Dio va intesa come liberazione da Dio espresso dalla parola, in quanto la parola vuol definire l’indefinibile, esprimere l’inesprimibile e, quindi, rinchiude l’infinito nel finito.
L’esito della mistica, come diceva già Platone nel Simposio, consiste nell’identificazione dell’amante con l’amato, identificazione che può essere solo esperita e non detta. La montagna è simbolo perfetto della trascendenza. Essa richiede la fatica della salita con tutti i pericoli che comporta, ma non solo per giungere alla vetta. Infatti, se la vetta viene intesa come scopo ultimo ed unico, comporta frustrazione e disillusione; la vetta deve portarci a comprendere ciò che sta oltre, ciò che è ad un tempo “più dentro” e “più fuori” di noi e, quindi, ispira il senso della trascendenza. La montagna rispecchia il senso metafisico dell’uomo stesso; l’uomo che si estende tra terra e cielo, tra visibile ed invisibile. La mistica e l’esperienza alpinistica non sono una fuga dal mondo, ma una tra le più forti e più radicali esperienze per un recupero del mondo nel suo vero significato.
Già Platone aveva anticipato questo concetto in modo mirabile.
L’uscita dalla caverna, la salita per l’erta via, il sorpasso della barriera che divide il sensibile dal soprasensibile e, dunque, la visione del Bene Assoluto, comportano per l’uomo la necessità morale di tornare alla caverna, per portare aiuto agli amici e fratelli e, quindi, per dare un nuovo significato alla caverna stessa ed ai suoi abitanti. La liberazione si completa non solo con la salita, ma con il “ritorno al mondo”.
I due pensieri sintetici che seguono esprimono molto bene questi concetti con lo stile del filosofo Eraclito35: “Solo l’uomo cammina ai confini di ciò che non ha confini, sa vedere il mistero, ascoltare il silenzio, esperire l’infinito”, e ancora: “Abitare illimitatamente il limite è già pensare, porsi in cammino nell’illimite”.
La montagna ed il suo ambiente in tutti i suoi molteplici aspetti, esaminata da una prospettiva filosofica e spirituale, ma anche ermeneutica36, aiuta a comprendere ed a risolvere le questioni centrali della vita umana, perché sulle vette tutto riesce ad essere colto compiutamente, con profondità e con partecipe distacco come in una prospettiva dall’alto. È una visione, un pensiero che ritrova una dimensione di libertà e di pace, in grado di porre in dialogo anche le differenti culture della Terra perché, come ebbe a dire un alpinista d’altri tempi: “La montagna è dei buoni”. È il raggiungimento di alcune tappe di un vero percorso spirituale. Un viaggio verso le montagne viste non solamente come luogo, ma anche come spazio temporale per lasciare fluire i pensieri; montagne come tempo senza tempo in cui ritrovare le sensazioni più profonde, luogo privilegiato per prendere coscienza dei limiti, delle paure, dei rischi per non esserne schiacciati, ma, anzi, come stimoli per percorrere sentieri mistici verso le montagne più grandi del pensiero. I pensieri stessi, fluendo senza interruzioni, diventano montagne sulle quali scoprire i propri sentieri.
È interessante anche la considerazione attenta ed esperta di un grandissimo alpinista, Reinhold Messner37; egli intende la montagna come esercizio dell’uomo al pericolo ed al continuo rischio, e così annota: “Senza il pericolo la montagna non è montagna, ma è un gioco sterile.
Posso far costruire una montagna artificiale anche in una grande sala, e lì fare degli allenamenti o delle gare. Questo si fa oggi, ed è una forma di abilità nell’arrampicarsi. Però non è quello che è l’alpinismo.
All’alpinismo è necessaria la difficoltà, l’esposizione, l’essere fuori nella wilderness, in un ambiente selvaggio e desolato, e anche rischioso.
Il fascino delle montagne è dato dal fatto che sono belle, grandi, pericolose”.
La montagna è riflessione e religiosità, la natura è bellezza divina. La montagna è la Coscienza Cosmica che ha proiettato se stessa in questo mondo. Il mondo è Coscienza Cosmica. La Divinità Suprema stessa si mostra nella forma del mondo come coscienza per risvegliarci dall’ignoranza e raggiungere uno stato di suprema beatitudine.
La montagna (come elemento) con il suo semplice stare, suggerisce l’ascesi, la salita, l’andare oltre il piano puramente terreno del quotidiano. Come luogo d’incontro tra cielo e terra, la montagna è dimora degli dei e culmine dell’ascensione umana. Il suo carattere centrale e la sua verticalità hanno generato una “mistica della montagna” che tende a collocare sulla vetta, sia essa reale o mitica, il luogo a cui giungere o da cui partire per penetrare nel divino. In questo riconoscimento di Dio l’uomo pratica la meditazione di Dio.
Questa meditazione, che non ha nulla di tecnico, chiama l’uomo a compiere un impegnativo e coinvolgente percorso dell’intelligenza del cuore attraverso il sentiero Evangelico delle Beatitudini, vero e proprio ribaltamento dei valori mondani.
È una riscoperta dei valori più profondi su cui fondare il vivere personale e sociale, per ritrovare la possibilità di guardare al futuro con una speranza solida, lontana dalla paura o dal lamento sterile come da ogni vacuo ottimismo; per divenire capaci di scelte coraggiose e autentiche, libere da conformismi che assoggettano agli imperativi delle mode correnti.
Nel nostro mondo sperimentiamo un decadimento dell’etica e di ogni principio morale, e molti si chiedono dov’è Dio e se Egli esiste, ma siamo noi uomini che ci siamo allontanati da Lui.
Dio ci ha donato un aiuto inestimabile per avvicinarci di nuovo a Lui: è la Via Interiore, che possiamo applicare nella vita quotidiana, in ogni situazione. È la Via che porta alla libertà. Non è una via che si orienta su precetti di fede, dogmi o maestri. È semplicemente la Via che conduce a Dio con il Cristo, poiché attingiamo alla fonte interiore della forza che è Dio.
È, quindi, una via pratica aperta ad ogni persona, un’offerta fatta a tutti coloro che sono disposti ad avvicinarsi a Dio per poter sperimentare che Egli esiste.
Quello della montagna è un cammino che, anche nelle situazioni più marginali o estreme della vita in ambiente alpino, ritrova una dimensione di libertà e pace, d’amore tra e per ogni forma di realtà e vita, capace di porre in dialogo un linguaggio quotidiano e simbolico, concreto e sperimentale; la “filosofia della montagna” rivela un tangibile significato spirituale in tutto ciò che è naturale: dai fiori coloratissimi alla fatica alpinistica, dalla neve su cui scivolare alla laboriosità frugale delle popolazioni montane. È il mondo alpino diviso tra selvatichezza, impervietà, simboli di arroccamento e di separatezza con la loro rocciosa alterità, ma anche di legami vitali, armonicamente coordinati nella coerenza quantistica della natura viva, di vita fraterna, sincera e di accoglienza delle genti che vi passano e vi sostano.
“Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capirne la differenza”.
(Epitteto38)
Una frase che richiama la regola aurea della felicità, una formula per una vita vissuta felicemente e con pienezza.
“Non le cime, non le difficoltà, non il record mi interessano, ma quello che succede all’uomo quando si avvicina alla montagna”.
(Reinhold Messner)
Queste parole di Messner sono citate nel libro Meditazioni delle Vette di Julius Evola39, dove il filosofo ci fa comprendere il rilievo che il testo assume sia per gli amanti della montagna, che per gli studiosi della Tradizione.
Messner può offrire una via d’accesso per comprendere il significato, niente affatto marginale, che la montagna assume nel pensiero e nell’esperienza di Julius Evola.
Il testo rileva come l’alpinismo evoliano sia da considerare elitario, cioè assai differente dagli esibizionismi o dai tecnicismi oggi di moda.
Reinhold Messner viene definito non solo il più grande alpinista vivente, ma anche, probabilmente, il tipo di alpinista ideale prefigurato da Evola. A questo punto si può ben comprendere come la frase dello scalatore altoatesino non sia affatto fuori luogo ed assume un significato che è del tutto spirituale, contrapposta da ogni ossessione di tipo sportivo o, peggio ancora, di stampo turistico-massificante.
L’andare per i monti è infatti, per Evola, soprattutto liberazione, è una catarsi, uno svegliarsi, un rinascere in qualcosa di trascendente, di divino. Affermazione, questa, che riecheggia il celebre detto del saggio tibetano Milarepa, per il quale “andare per montagne selvagge, è una via alla liberazione”: non a caso Evola traduce e commenta in Meditazioni delle Vette “Il canto della gioia” da cui è tratta tale citazione.
Alpinismo, quindi, come via per il superamento dei limiti della condizione umana, come “compimento interiore” e “intima trasfigurazione” nella forma dell’azione e della contemplazione, che divengono “due elementi inseparabili di un tutto”. Un’ascesa, pertanto, che si trasforma in ascesi, in eroica ascesi. Espressione, l’alpinismo, di una “volontà eroica che cerca altri sbocchi oltre la rete degli interessi pratici, delle passioni e delle cupidigie che ogni giorno si serra sempre di più”.
È, ancora, fuga dalle bassure della quotidianità, ricerca del contatto con l’elementare, il primordiale, l’originario, il non addomesticato che si disvela e rileva nelle altezze inviolate, nella tormentata purezza dei ghiacciai, nell’incontaminata asprezza del paesaggio montano. Ove, appunto, l’uomo si ricongiunge alla sua “natura umana più profonda, che è quella stessa delle forze elementari della terra, la cui purità possente e calma si fissa nelle vette ghiacciate e lucenti”. L’esperienza dell’alpe, quindi, non si riduce in Evola solo a mero contemplativismo estetico borghese, né tantomeno, a lotta per la conquista della montagna.
Come ben rileva Luisa Bonesio40, non si tratta tanto, nell’alpinismo metafisico della Tradizione, di “vincere la montagna, quanto di vincere se stessi”. E questa vittoria su se stessi trova per Evola il suo ambiente più adatto in quel mondo dell’alta montagna che va a parlare all’eredità primordiale dell’uomo, facendo emergere lentamente in lui il senso di quella libertà più che umana, che non significa evasione, ma è principio di una forza pura che si realizza nel lucido dominio della parte irrazionale dell’essere umano.
Le terre alte e le vette che si stagliano all’orizzonte come una visione simbolica appaiono, pertanto, essere un altro mondo rispetto alle bassure della pianure, un mondo nel quale è possibile realizzare il Sé anche nei perigliosi percorsi dell’età oscura. Non è un caso che Evola metta bene in rilievo come la montagna esiga un comportamento o, meglio, uno stile che si contrapponga a quello cittadino della civilizzazione contemporanea. Innanzitutto la castità della parola e dell’espressione.
La montagna insegna silenzio. Disabitua dalla chiacchiera, dalla parola inutile, dalle inutili, esuberanti effusioni. Essa semplifica ed interiorizza. Poi la disciplina interna, il controllo completo dei riflessi che mira ad una concentrazione lucida conforme allo scopo. E, infine, l’alta montagna è luogo propizio al manifestarsi dell’impersonalità attiva, in quanto ci abitua ad un’azione che fa a meno degli spettatori, di un eroismo che rifugge dalla retorica e dal gesto.
Evocatrice, anche, la tacita e luminosa maestà della montagna. E la massima evocazione di idee e di simboli compare nel testo Meditazione delle Vette, laddove Evola, di fronte al grandioso spettacolo di cime e di ghiacciai che si affacciano alla vista dall’alto del Monte Bianco, è insensibilmente portato a pensare all’“idea di una superiore, immateriale unità, del fronte invisibile di tutti coloro che oggi lottano in ogni terra una stessa battaglia, che vivono una stessa rivolta e sono i portatori di una stessa intangibile tradizione. Forze apparentemente isolate e disperse intese a custodire l’ideale assoluto dell’Imperium e a prepararne l’avvento, dopo che il ciclo relativo a questi tempi oscuri sarà chiuso”.
Le vette qui parlano, allora come oggi, a chi sa cogliere il loro linguaggio, contrassegnato dal sigillo dell’eternità.
La montagna è una categoria unificante dell’esistenza e del pensiero, un luogo verso il quale confluiscono innumerevoli corsi di indagine e di esperienza umana che puntano, dai più svariati gradi e modi d’orizzonte, verso una verticale di senso, che vanno dalla filosofia occidentale e orientale alla religione, dalla poesia alla mistica, dalla vita vissuta alla vita sognata; dai drammi dell’umanità alle questioni centrali per l’uomo: la libertà, la pace, il rapporto con gli altri, l’origine del linguaggio ed il futuro della vita, il perché del male e l’esperienza del nulla e del divino tangibile attraverso ogni minima creatura. La montagna è altamente istruttiva, può suggerire soluzioni ai più complicati interrogativi filosofici e spirituali, ai nostri problemi quotidiani spesso non ritrovabili altrove. La montagna non solo insegna, ma anche appassiona; perché in ogni modo la si percorra, da qualsiasi prospettiva la si veda, essa è sempre profondamente vera, secondo una ricchezza semplice ed inesauribile, sperimentalmente esemplare per ciascun uomo e per tutte le creature.
Bibliografia consigliata e di riferimento:
− Notte oscura, San Giovanni della Croce, Editore OCD.
− Salita del monte Carmelo, San Giovanni della Croce, Editore OCD.
− Vita di Milarepa, Rechung-Dorje-Tagpa, Oscar Mondadori.
− La vita di Milarepa, Gtsang-Smyong He-ru-ka, Ed. Utet.
− La montagna e l’ospitalità. Il mondo alpino tra selvatichezza e accoglienza, Bonesio Luisa, Arianna Editrice.
− Meditazioni delle Vette, Evola Julius, Edizioni Mediterranee.
− Filosofia della montagna, Tomatis Francesco, Ed. Bompiani.
− Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia, Bodei Remo, Ed. Bompiani.
− La Montagna Divina (Iconografia e mito), Alessandra Campoli, Edizioni Ev-K2-CNR Pubblications. Alessandra Campoli, storica dell’arte che si occupa di iconografia, di psicologia estetica ed antropologia dell’arte, collabora con la Cattedra di Iconografia ed Iconologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel settore dell’iconografia magica tra Oriente e Occidente in Asia meridionale.
Per l’Associazione Comitato Ev-K2- CNR la Dott.ssa Campoli è responsabile di un progetto sull’estetica della corporeità, svolgendo ricerche sul campo in area himalayana.
Note:
1 Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile 1724 – Königsberg, 12 febbraio 1804) filosofo. Fu uno più importanti esponenti della filosofia tedesca.
2 Alce Nero (dicembre 1863 – agosto 1950) fu uno sciamano e figura messianica presso gli Oglala, una tribù delle praterie della famiglia Lakota Sioux nell'America del Nord.
3 Mario Rigoni Stern (Asiago, 1 novembre 1921 – Asiago, 16 giugno 2008) è stato uno scrittore italiano, e un grande amante delle montagne dell'Altopiano di Asiago, autentico appartenente alla cultura dei Cimbri.
4 Bernardo di Chiaravalle o Bernard de Clairvaux (Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153) Santo, religioso, abate e teologo francese, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux.
5 Orfica: Scuola Misterica dell’antica Grecia del VI sec. a.C.
6 Giovanni della Croce, Santo e mistico spagnolo (Fontiveros, 24 giugno 1542 –Ubeda, 14 dicembre 1591), è stato un presbitero fondatore dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi. San Giovanni della Croce è, accanto a Santa Teresa d'Avila e Santa Teresina di Lisieux, uno dei più grandi santi carmelitani, mistico e dottore della Chiesa. Rifondò l'Ordine dandogli la nuova forma di Ordine dei Carmelitani Scalzi (1568). Venne canonizzato nel 1726, e dichiarato Dottore della Chiesa nel 1926.
7 Monte Carmelo, i Carmelitani sono sorti ad opera di un gruppo di cristiani che alla fine del XII secolo si erano stabiliti in Palestina sul Monte Carmelo; di qui il loro nome. Questo gruppo di monaci vi si ritirò iniziando una vita di contemplazione: da questi monaci nacque l'Ordine del Carmelo.
8 Le Beatitudini sono il modello per vivere secondo gli insegnamenti di Gesù, sono il manifesto del discepolo, la “magna carta” del cristiano.
9 Paolo (o Saulo) di Tarso, più noto come San Paolo (Tarso, 5-10 d.C. – Roma, 64-67), è stato l'”apostolo dei Gentili”, ovvero il principale (sebbene non il primo) missionario del Vangelo di Gesù tra i pagani greci e romani.
10 Socrate (Atene, 469 a.C. – Atene, 399 a.C.) è stato tra i più importanti filosofi dell’antica Grecia.
11 Platone (Atene, 427 a.C. – Atene, 347 a.C.) è stato un filosofo greco antico, uno dei maggiori della storia del pensiero occidentale.
12 Caspar David Friedrich, (Greifswald, 5 settembre 1774 – Dresda, 7 maggio 1840) pittore tedesco, maggiore esponente dell'arte pittorica romantica.
13 Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo tedesco. Goethe è considerato il più importante uomo di lettere proveniente dalla Germania e uno degli ultimi "uomini universali".
14 Giulio Carlo Argan (Torino, 17 maggio 1909 – Roma, 12 novembre 1992) è stato un critico d'arte e politico italiano, Argan fu negli anni Settanta un esponente di prestigio della Sinistra Indipendente e fu anche sindaco di Roma.
15 Christian Johann Heinrich Heine (Düsseldorf, 13 dicembre 1797 – Parigi, 17 febbraio 1856) è stato il maggior poeta tedesco del periodo di transizione tra il romanticismo e il realismo.
16 Johann Christoph Friedrich von Schiller (Marbach am Neckar, 10 novembre 1759 – Weimar, 9 maggio 1805) è stato un poeta, drammaturgo e storico tedesco.
17 Novalis pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, (Schloss Oberwiederstedt, 2 maggio 1772 – Weissenfels, 25 marzo 1801). Poeta, teologo, filosofo e scrittore tedesco, figura di spicco del Romanticismo tedesco.
18 Johann Christian Friedrich Hölderlin, (Lauffen am Neckar, 20 marzo 1770 – Tübingen, 7 giugno 1843). Poeta tedesco figura di spicco del Romanticismo tedesco.
19 Johann Gottfried Herder (Mohrungen, 25 agosto 1744 – Weimar, 18 dicembre 1803) è stato un filosofo, teologo e letterato tedesco.
20 Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (Leonberg, 27 gennaio 1775 – Bad Ragaz, 20 agosto 1854) è stato un filosofo tedesco, il secondo dei tre grandi esponenti dell'idealismo tedesco, successore di Fichte e predecessore di Hegel.
21 Rudolf Steiner (Donji Kraljevec, 27 febbraio 1861 – Dornach, 30 marzo 1925) è stato un filosofo, esoterista e pedagogista austriaco. È il fondatore dell'antroposofia e di un personale stile pedagogico, oltre che l'ispiratore dell'agricoltura biodinamica e della medicina antroposofica.
22 Milarepa (1051 – 1135) è stato uno dei principali maestri del buddhismo tibetano. La sua fu una vita di meditazione solitaria in totale isolamento per un anno nelle caverne d'alta montagna. Si impegnò nella meditazione con ardore e devozione, sino a raggiungere la completa illuminazione. Condusse una vita molto semplice, impartendo insegnamenti ad una cerchia ristretta di discepoli.
23 Sadhu dal sanscrito “uomo di bene”, “uomo santo”, “uomo venerabile” (uomini senza ombra) sceglie, per accelerare questo processo e realizzarlo in questa vita, di vivere una vita di santità; i sadhu sono dei rinuncianti, cioè troncano ogni legame con la loro famiglia, non possiedono nulla o poche cose, si vestono con una tunica di color zafferano gialla o bianca che simbolizza la santità, e talvolta con qualche collana, non possiedono nulla e passano la loro vita a spostarsi dall'India al Nepal, nutrendosi dei doni dei devoti.
Nella loro ricerca dell'assoluto, i sadhu praticano la recitazione di mantras, rituali magici, il controllo del respiro, lo yoga unificatore di corpo e anima, il voto di silenzio, la meditazione e l’astinenza sessuale. Essendo l'energia sessuale una fonte primaria di tale energia spirituale, l'astinenza permette di aumentarla. Queste pratiche tendono ad aumentare la loro energia spirituale permettendogli di raggiungere uno stato di semi-divinità.
24 Gautama Buddha, al secolo Siddhartha Gautama, religioso, monaco, asceta, fondatore della religione Buddhista, è considerato da secoli una delle più importanti figure spirituali e religiose dell'Asia. Gautama Buddha (approssimativamente a Lumbini, Nepal, aprile o maggio 558 a.C. - Kusinagara, India il 478 - 486 - 487 a.C.)
25 I Veda sono un'antichissima raccolta di opere sacre di estrema importanza presso la religione induista, che consistono essenzialmente in canti rituali, recitazioni e preghiere, le quali hanno lo scopo di vitalizzare e spiritualizzare ogni fase della vita e dell'attività dell'uomo. Si ritiene che siano il Testo sacro più antico che sia pervenuto ai giorni nostri.
Il termine “Veda” dal sanscrito significa letteralmente "conoscenza", e sta qui ad indicare la suprema conoscenza di Dio, o Brahman.
Fra tutti gli immensi testi dell'India, i Veda sono le uniche Scritture alle quali non viene attribuito alcun autore. Il Rig Veda riconduce gli inni ad un'origine celeste e ci dice che essi sono stati tramandati da “tempi antichi” e rivestiti di un linguaggio nuovo. Divinamente rivelati di era in era ai rishi (considerati dei veri e propri veggenti) i quattro Veda sono detti possedere “validità senza tempo”.
26 Stupa, tumulo usato dai buddisti per collocarvi reliquie o per indicare un luogo sacro. Uno Stupa è un monumento buddhista, la cui funzione principale è quella di conservare reliquie. Il termine deriva dal sanscrito (in tibetano Chorten) che letteralmente significa "fondamento dell'offerta". È il simbolo della mente illuminata (la mente risvegliata, divinità universale) e del percorso per il suo raggiungimento. Se si usano soltanto due parole, la migliore definizione di Stupa è "monumento spirituale". A livello simbolico, lo Stupa rappresenta il corpo di Buddha, la sua parola e la sua mente che mostrano il sentiero dell'illuminazione.
27 La successione dell’insegnamento da bocca a orecchio nel rapporto maestro-discepolo della tradizione indiana ha avuto questi principali Maestri Guru: Tilopa - Naropa – Marpa - Milarepa.
Il Monte Meru è la montagna sacra della mitologia induista e buddista posta al centro dell'universo. Essa rappresenta il luogo dove sarebbero sconosciuti il dolore e la miseria. Simbolo della Montagna Cosmica, cioè il centro del mondo, il magico ombelico da cui si dipartono e si regolano le forze dominanti tra cielo e terra.
28 Siddharta è un romanzo dello scrittore tedesco Hermann Hesse edito nel 1922.
Hermann Hesse (Calw, 2 luglio 1877 – Montagnola, oggi Collina d'Oro, 9 agosto 1962) è stato uno scrittore, poeta e pittore tedesco naturalizzato svizzero. Ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1946. La sua produzione, in versi ed in prosa, è vastissima e conta quindici raccolte di poesie e trentadue tra romanzi e raccolte di racconti. I suoi romanzi più famosi sono Peter Camenzind (1904), Il lupo della steppa (1927), Il gioco delle perle di vetro, (1943) e Siddharta (1922). I suoi lavori rispecchiano il suo interesse per l'esistenzialismo, lo spiritualismo, il misticismo, non meno della filosofia indù e buddhista.
29 Jiddu Krishnamurti; Madanapalle, 12 maggio 1895 – Ojai, 18 febbraio 1986 è stato un filosofo apolide. Di origine indiana, non volle appartenere a nessuna organizzazione, nazionalità o religione.
30 Rabindranath Tagore (noto anche con il nome di Gurudev), (Calcutta, 6 maggio 1861 – Santiniketan, 7 agosto 1941) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo e filosofo indiano. Mentre Gandhi, con la disobbedienza civile, organizzò il nazionalismo indiano sino a ricacciare in mare gli inglesi, Tagore si propose di conciliare e integrare Oriente ed Occidente.
31 Franco Battiato (Jonia, oggi Riposto, 23 marzo 1945) è un cantautore, regista, pittore e scrittore italiano.
32 Fausto De Stefani è nato nel 1952 in provincia di Mantova, alpinista, naturalista, fotografo. Negli anni '70 matura esperienze in ambienti montani extra-europei, con importanti salite in Africa, nelle Americhe, in Asia. Oltre che dal punto di vista tecnico, le sue spedizioni si mettono in evidenza soprattutto per l’essenzialità dell’attrezzatura e per l'attenzione che rivolgono ai temi ambientali.
Nel 1983 sale il K2, la sua prima vetta sopra gli 8000 metri. In seguito rende assidua la sua frequentazione in Himalaya e nel Karakorum, dove, tra i pochi al mondo, sale senza ossigeno le 14 montagne più alte della terra.
Alpinista di chiara fama, è conosciuto soprattutto per l'infaticabile impegno in campo naturalistico. Sempre in prima linea, anche nelle manifestazioni di denuncia del disprezzo ambientale, è tra i fondatori dell’associazione internazionale “Mountain Wilderness”, di cui è garante internazionale, ed attualmente presidente della sezione Italia.
Da anni svolge attività divulgative a favore della conoscenza delle tematiche naturalistiche e dei problemi ad esse connessi, con conferenze e mostre didattiche in scuole ed università. Partecipa a numerosi lungometraggi e documentari che narrano del rapporto tra uomo e territorio.
Ampio rilievo ha assunto l'attività di fotografo, per la quale è conosciuto come un raffinato e poetico documentarista di natura e persone. Le sue immagini sono state esposte in numerose città europee e pubblicate su riviste specializzate internazionali.
Negli ultimi anni, il suo impegno è rivolto alla realizzazione di progetti umanitari in Nepal, costruendo scuole e promuovendo sviluppo culturale.
Mountain Wilderness annovera tra i suoi soci molti dei più famosi alpinisti del mondo, ma non si tratta di un club elitario. Anzi, l'associazione vive ed opera grazie al coinvolgimento entusiasta di tanti appassionati di alpinismo, escursionismo, ma soprattutto di amore per la natura.
33 Francesco Tomatis è nato a Carrù nel 1964 e insegna Ermeneutica filosofica all’Università di Salerno. È stato ricercatore della von Humboldt-Stiftung all’Università di Freiburg, professore ordinario allo Studio teologico di Fossano e ospite nelle Università di Córdoba, Mendoza, Madrid. Fondatore a Cuneo del seminario Angelus Novus, collabora con “Avvenire”. Tra i suoi scritti: Kenosis del logos (1994), Ontologia del male (1995), L’argomento ontologico (1997), Escatologia della negazione (1999), Pareyson (2003), Schelling (2004).
34 Plotino; Licopoli, 205 – 270, fu uno dei più importanti filosofi dell'antichità, erede di Platone e padre del neoplatonismo, a volte identificato in toto col suo pensiero.
35 Eraclìto di Efeso (Efeso, 535 a.C. – 475 a.C.) è stato un filosofo greco antico, uno dei maggiori filosofi presocratici.
36 L'ermeneutica è in filosofia la metodologia dell'interpretazione, l'arte dell’interpretazione, della traduzione, del chiarimento e della spiegazione. Essa nasce in ambito religioso con lo scopo di spiegare la corretta interpretazione dei testi sacri. In seguito il termine assume un respiro più ampio tendente a dare un significato a tutto ciò che è di difficile comprensione. In questo senso può essere vista come la teoria generale delle regole interpretative.
37 Reinhold Messner (Bressanone, 17 settembre 1944) è un alpinista ed esploratore italiano alto atesino di lingua madre tedesca, da molti considerato il miglior alpinista di sempre. Il suo nome è legato a innumerevoli esplorazioni ed arrampicate ma è noto al grande pubblico per essere stato il primo alpinista ad aver scalato tutti gli ottomila, le quattordici cime che superano gli 8000 metri sul livello del mare.
38 Epitteto (Ierapoli, 50 – Nicopoli d'Epiro, 120) è stato un filosofo greco antico, esponente dello stoicismo.
39 Julius Evola (Barone, pseudonimo di Giulio Cesare Andrea Evola), Roma, 19 maggio 1898 – Roma, 11 giugno 1974, è stato un filosofo e pittore italiano.
40 Luisa Bonesio, insegna Estetica nell'Università di Pavia. Studiosa del pensiero di Nietzsche, Spengler, Jünger e di estetica del paesaggio, si sta dedicando da alcuni anni all’elaborazione di un pensiero geofilosofico delle differenze territoriali, con particolare attenzione alla montagna e alle regioni alpine. Numerosi sono i suoi scritti e le pubblicazioni editoriali.