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La mente che apprende Di: Prof. P. Krishna |
Il
tema generale della nostra Convention
è una domanda – se siamo ricettivi e pronti alle verità della Teosofia. Per
essere così attenti dobbiamo avere un contatto diretto con esse. Come ci è
stato spiegato nel brillante discorso tenuto dal prof. John Algeo (vedi The Theosophist, febbraio 2006, n.d.t.),
le verità teosofiche non sono opinioni o idee ma fatti riguardanti ciò che è. La verità è una gemma dalle molte
facce splendenti, che esiste a livelli diversi di sottigliezza e nessuno di
noi, forse, è in grado di arrivare in contatto con la sua totalità. Pertanto
quello che percepiamo di solito è parziale, soggettivo, dipende dalle nostre
capacità, sensibilità, dalle limitazioni sia dei sensi che della mente. Così mi
chiedo: “Che cosa blocca la mia
percezione?”
Ma
allora, cos’è questo “me stesso”?
Posso imparare qualcosa al riguardo, riguardo ai blocchi della percezione che
sono dentro di me, e liberare la mia percezione da essi, arrivando a contatto
diretto con quelle verità, dato che non c’è altro modo di viverle? Se non si
percepisce la verità della fratellanza universale dell’umanità, essa rimane
soltanto un concetto, un’idea della mente. Uno può voler praticare la
fratellanza, ma non essere in grado di farlo, poiché gli manca la saggezza
necessaria. Finchè per noi non diventa un fatto, c’è solo la nozione del
considerare l’altro come nostro fratello, e non funziona. Ma la percezione
della verità funziona perché agisce sulla coscienza ed ha un significato
completamente diverso nelle nostre vite.
Nel
1925, Mr C.W. Leadbeater mise in rilievo questo concetto in un articolo: “Non ho mai visto nessuno fare un progetto
sul presupposto che l’acqua scorre su per la collina, poiché tutti sanno per
certo, e lo considerano un fatto, che la gravità attrae le cose verso il basso,
e che le cose lasciate a se stesse non vanno verso l’alto”. Ma se pensiamo
alla religione, la gente afferma molte verità, sebbene non le rifletta poi
nella propria vita. C’è una grande differenza tra il modo in cui vive e e
quello che professa. Ugualmente, se le verità teosofiche restano solo concetti
e noi non le viviamo davvero, questa diventa ipocrisia.
Ogni
bambino nasce con una straordinaria capacità di apprendimento. Nel linguaggio
usato dal dr Edi Bilimoria l’apprendimento è strettamente collegato al nostro
cervello. Immaginate quanto indifeso è un bambino appena nato. Non può nemmeno
focalizzare la vista o afferrare un oggetto. Deve imparare a fare tutto questo.
Perciò l’apprendimento è stato programmato dalla Natura nel cervello umano e,
se non ci sono danni, ogni bambino nei primi cinque anni acquisisce una
straordinaria quantità di nozioni. I genitori possono solo agevolare tale
processo. Il bambino impara ad afferrare, a stare seduto, a camminare, a
coordinare i muscoli, impara il linguaggio e a parlare. E’ davvero un miracolo
della Natura, parte dell’ordine cosmico, dell’intelligenza della Natura, ma noi
non la percepiamo così poiché la vediamo ogni giorno attorno a noi.
Successivamente il bambino frequenta la scuola e il college, se i suoi genitori
possono permetterselo, e acquisisce molte capacità e conoscenze, tutte basate
su una forma di esercitazione della memoria.
Per
esempio, noi abbiamo la capacità di usare consapevolmente la nostra coscienza
per imparare a guidare. Ma, con un po’ di pratica, guidare diventa un
automatismo e così possiamo chiacchierare con gli altri, mentre lo facciamo. Se
osserviamo il modo in cui andiamo in ufficio tutti i giorni, scopriamo che spesso
non lo facciamo coscientemente. Automaticamente svoltiamo, guidiamo, parliamo o
pensiamo a qualcos’altro, mentre ci arriviamo. Questa capacità ci viene dalla
Natura, altrimenti saremmo costretti a pensare tutto il tempo a come tenerci in
equilibrio.
Ma
un giorno, magari quando stanno riparando la strada, una persona può tornare
conscia, sia guardando la cartina che ricordando gli itinerari alternativi. E
così noi abbiamo la capacità di fare le cose meccanicamente e anche
l’intelligenza di pensare a nuovi modi di compiere qualcosa. Tutte queste
capacità sono utili – la conoscenza, l’esercizio della memoria e l’intelligenza
di usare ciò che sappiamo in nuove situazioni. La vera educazione aiuta ad
esercitarle tutte.
Sfortunatamente,
quello che il bambino impara mentre si fa adulto non sono le sole capacità, ma
anche una particolare cultura, i concetti accettati nel suo ambiente riguardo
ciò che è vero e ciò che è falso, giusto e sbagliato, e tutto quello che si
fissa nella sua memoria diviene i suoi condizionamenti – la mia famiglia, la
mia religione, la mia cultura, il mio paese, tutto quello che è identificazione
con il “me” e il “mio”.
In
seguito molto spesso l’intero scopo della vita diventa non imparare o scoprire
ciò che è vero o falso, ma proteggere e giustificare il “me” e il “mio”,
accumulando profitti e piaceri – materiali, intellettuali ed emozionali – per
il me ed il mio. Tale è la trappola dell’interesse per se stessi – il processo
del pensiero viene monopolizzato dalla promozione del proprio tornaconto. La
mente agisce come un avvocato personale per il me ed il mio. Così il
cervello, il cui scopo reale era di imparare e scoprire la verità, è ora
consumato nel trovare sicurezza attraverso l’attaccamento al conosciuto, alla
personalità, al contenuto della coscienza, che chiamiamo la nostra cultura. Di
conseguenza perdiamo obiettività.
Come
può il pensiero scoprire qualcosa di nuovo? Viene sempre dal passato ed è
soggetto a questo processo dell’ego. Noi dobbiamo distinguere tra l’invenzione
che mette insieme due cose conosciute per far qualcosa di nuovo e la creatività
che rompe completamente col passato, sia che si tratti di arte, musica o
scienza. Come può uno scienziato scoprire qualcosa che non fosse assolutamente
conosciuta prima? Naturalmente la sua conoscenza e la sua formazione nelle
scienze, gli esperimenti che ha studiato, hanno creato la domanda nella sua
mente. Ma da dove viene la risposta?
C’è
ovviamente un processo, diverso dal pensiero, di cui è capace la coscienza.
Potremmo chiamarlo intuizione. E’ una percezione diretta di qualcosa che viene
dall’ignoto e, dopo essere stata portata al conosciuto attraverso l’intuizione,
viene descritta tramite la conoscenza, attraverso il pensiero. Un uomo come
Einstein potrebbe essersi posto una domanda e poi avere avuto questo lampo di
intuizione che lo spazio e il tempo non sono indipendenti uno dall’altro e che
noi viviamo in un continuum
spazio-temporale.In seguito tutto ciò è stato spiegato attraverso le equazioni
e la matematica e comunicato agli altri. Ma la scoperta iniziale avviene sempre
attraverso un lampo di intuizione. E’ lo stesso caso di qualcuno che crea un
nuovo genere di arte. E’ necessaria una rottura con il passato.
Se
il pensiero non è lo strumento adatto a scoprire la verità, allora c’è una
qualche altra facoltà della coscienza che sia libera dal condizionamento? Sì,
abbiamo la facoltà della consapevolezza, che non è un processo del pensiero.
Proprio in questo momento sto pensando alle parole da usare per esprimere
quello che vi voglio comunicare ma sono consapevole anche della luce in questo
edificio, degli alberi. C’è molta più intuizione nella consapevolezza, che nel
processo del pensiero. Questa capacità di osservare, di essere consci, è libera
dal pensiero e pertanto non soggetta a condizionamento. Dopo aver percepito
qualcosa, quando ci pensiamo, l’interpretazione la diamo in base ai
condizionamenti – e tutti i pregiudizi dei nostri condizionamenti arrivano a
sostenerla. Ecco perché dobbiamo dubitare e non essere mai sicuri delle nostre
conclusioni od opinioni. Come possiamo essere sicuri che qualcosa è vero quando
non abbiamo una sensibilità e una capacità totali di percezione? E perché
dovremmo essere così certi? Non è sufficiente vivere con le domande? E’
importante arrivare a una conclusione, chiamarla la “mia opinione”, attaccarsi ad essa e diffonderla? Quell’opinione
può non essere la verità. Perché non avere l’umiltà di dire: “Questo è ciò che penso ma non so se sia la
verità?”.
E così
ovviamente possiamo imparare qualcosa riguardo al contenuto della nostra
coscienza. Se usiamo la nostra consapevolezza per osservare noi stessi e il
modo in cui la nostra coscienza funziona, possiamo imparare qualcosa sui
fattori che ci condizionano; come dubitando delle nostre opinioni possiamo
rimanere aperti alle nuove idee e percezioni. Ma per questo dobbiamo essere
liberi dai processi dell’ego, che sostiene che quello che penso e sul quale
faccio affidamento mi da sicurezza. Esso cerca sostegno, chiede concordia e di
formare un gruppo nel quale sentirsi al sicuro. Non sta cercando la verità,
perché la verità può essere davvero inquietante. L’ego è un grande ostacolo
all’apprendimento, sebbene esso non esista in Natura, essendo una creazione
della mente e dell’immaginazione. Questo è un problema che affligge solo la
coscienza umana, perché gli animali e le piante non hanno ego. Ma noi sì, a
causa di questo attaccamento, dipendenza ed identificazione con il conosciuto.
L’ego ci rende insensibili e occupa il nostro tempo, con il risultato che
quando un vicino viene a trovarci inaspettatamente noi viviamo questo come
un’interferenza; dargli un po’ del nostro tempo lo sentiamo come un’opera di
benevolenza. Per liberarci da questo processo tutto ciò che serve è una mente
che impara. L’ego impedisce l’apprendimento e noi abbiamo bisogno di comprenderlo
per liberarci da esso. La decisione di essere non incentrati sull’ego non
funziona. Non possiamo decidere di non esserlo ma possiamo osservare come l’ego
si presenta e quel che fa alla vita e alle relazioni di ciascuno. Se percepiamo
che l’ego sta corrompendo la nostra vita, allora esso può dissolversi. La
natura ci ha donato un’intelligenza che ci dice di non toccare il veleno né le
cose pericolose.
Pertanto
non è importante non praticare il non ego ma imparare qualcosa riguardo ad esso
attraverso l’osservazione e percepire tutto quello che esso fa alla nostra vita
e alle nostre relazioni. Così facendo può dissolversi senza necessità di
controllo o di uno sforzo. Senza una certa libertà dai processi dell’ego non
possiamo avere una mente che apprende ed arrivare alla verità.
Possiamo
imparare qualcosa riguardo a noi stessi e liberarci dai nostri condizionamenti
particolari? Dobbiamo scartare tutto dei nostri condizionamenti? Possiamo stare
con questa domanda, osservare, non discutere o ragionare o leggere libri per
trovare risposte da qualche parte? Osservando, scopriremo che ci sono alcuni
dei nostri condizionamenti che sono piuttosto salutari; essi contribuiscono
perfino alla nostra sensibilità. Non producono conflitti o altri disordini
della coscienza come l’odio o la violenza. Essendo cresciuto in una famiglia di
vegetariani il vegetarianesimo può essere per me una abitudine, ma non mi crea
nessun problema. Oppure qualcuno può essere stato educato al concetto che deve
rispettare gli anziani e pertanto avrà una certa considerazione dei genitori e
degli insegnanti. Forse questo è il risultato del condizionamento. Ma abbiamo
bisogno di liberarcene? Similarmente se uno ascolta fin da bambino la musica
classica indiana la mente risponde ad essa e non necessariamente alla musica
occidentale. Perché dobbiamo sbarazzarci di questo?
E così
parte dei nostri condizionamenti può essere sana, mentre altre parti creano
molto disordine. Abbiamo già parlato del processo dell’ego che è una della
maggiori fonti di disordine ma ci sono anche molte illusioni che acquisiamo in
una particolare società e cultura. L’illusione sta nel considerare vera
qualcosa che non lo è, o importante qualcosa quando in realtà importante non è.
Questo produce disordine in forma di gelosia, rabbia, odio, separatezza e così
via. Liberare se stessi da tutto ciò è assolutamente essenziale per un teosofo
poiché è la vera base per la ricerca della verità.
Imparare
qualcosa riguardo a noi stessi, che è auto-conoscenza, richiede lo scoprire da
dove nasce il disordine. Ogni volta che notiamo in noi disordine in forma di
violenza, odio, rabbia, insulti od offese è molto più importante affrontarne le
cause interiori, piuttosto che quelle esteriori, poiché non abbiamo controllo
su queste ultime. Qualcuno può parlarmi in maniera rude e pertanto farmi
arrabbiare. E’ vero che egli non avrebbe dovuto parlarmi in quel modo ma come possiamo
noi fare in modo che gli altri si comportino bene? Pertanto è importante
ignorare la parte esteriore e trovare le cause della rabbia interiore ed
eliminarle.
Le
illusioni che creano disordine nella coscienza si trovano a livelli diversi. Al
livello più superficiale abbiamo le superstizioni, che variano da cultura a
cultura. In India si pensa che se un gatto ci attraversa la strada è un cattivo
presagio. Una forma di superstizione ancora più funesta è il credere che se un
bambino è ammalato è perché gli dei sono arrabbiati e pertanto è meglio pregare
che curarlo. Questo genere di illusioni è superato dall’istruzione e dalla
ricerca scientifica. Nel mondo cristiano poiché Giuda era il tredicesimo
discepolo di Gesù Cristo il numero 13 viene evitato quando si prende una camera
d’albergo e così via.
Più
difficili delle superstizioni sono le illusioni, che creano le divisioni
religiose. Né gli indù né i musulmani sanno cos’è Dio. Entrambi ripetono quel
che è stato detto loro e sono legati alla loro descrizione e al loro modo di
adorare. Pure gli altri sono attaccati al loro particolare credo, ma nessuno di
essi conosce la verità. Eppure non importa quale concetto di Dio noi abbiamo o
se siamo atei, ciò che conta è il modo in cui ci comportiamo.
Come una
persona tratta le donne, i bambini, gli animali, come si relaziona con le
piante e con le persone inferiori e superiori – in questo caso considerandole
per quello che sono e non catalogandole come musulmane o indù. Accettare o
giudicare qualcuno per la sua etichetta è irrazionale. In realtà, informazioni
come il modo di adorare di una persona e quale particolare tempio o moschea
frequenti sono più o meno tanto importanti quanto sapere in quale club vada a giocare a tennis. Quel che
importa è se egli sia gentile, buono. Fa una qualche differenza se frequenta un
tempio o una moschea o se medita semplicemente a casa? Dobbiamo porci queste
domande come teosofi, peché questo crea divisioni e non un senso di
fratellanza. La fratellanza universale dell’uomo non deve diventare solo un bel
concetto che ci fa sentire più buoni e del quale parlare negli incontri
teosofici. Questo non è vivere le verità della Teosofia.
Ci sono
state troppe discriminazioni contro le donne, in varie parti del mondo. Il loro
ruolo è limitato al far crescere i bambini e a stare in casa; esse non possono
far sorgere desideri nella mente degli uomini e pertanto devono essere velate;
non possono prendere parte a nessuna attività o andare in bicicletta. Tutti
questi concetti hanno limitato e ristretto la loro libertà e tale
discriminazione continua ancora. Le bambine non sono trattate allo stesso modo
dei maschietti; spesso alle ragazze nono viene data un’istruzione ma solo ai
ragazzi. E poiché mettere in pratica le verità della Teosofia ha un significato
profondo, se nelle nostre famiglie le donne vengono discriminate e dominate
dagli uomini e questo viene tollerato in nome di una particolare cultura, noi
non siamo teosofi, anche se iscritti alla Società Teosofica.
Se abbiamo
il desiderio di approfondire e osservare tutto ciò, possiamo vedere la crudeltà
e l’infelicità della donna, l’ingiustizia, e agire di conseguenza. Molti dei
nostri concetti ed idee sono crudeli. Dobbiamo mettere in discussione il fatto
che il matrimonio debba essere onorato all’interno della propria casta. Le
persone buone esistono solo nella propria casta e non nelle altre? Ci
preoccupiamo della felicità di nostra figlia dopo il matrimonio o di quello che
la gente della nostra comunità dirà, se lasciamo che sposi qualcuno di un’altra
casta? Tutto questo deve essere esaminato e lasciato da parte nelle nostre vite,
se vogliamo renderci idonei ad essere definiti teosofi. E questa è una faccenda
seria, non una cosa poco importante quale entrare a far parte di un qualche
circolo o ascoltare delle conferenze. Un vero teosofo deve risolverla nella sua
vita quotidiana.
Per
riassumere, le caratteristiche di una mente che apprende sono le seguenti: per
prima cosa sa di non sapere, che la sua percezione è parziale. Essa è comunque
interessata ad apprendere qualcosa riguardo la verità e fa affidamento
sull’indagine e l’osservazione; vive con le domande e sostiene tutte le
opinioni senza troppa rigidità. Non essere troppo attaccati ad un’opinione
richiede libertà dai processi dell’ego ed esso sentirà la necessità di lasciar
cadere un’opinione, nel momento in cui percepirà che è falsa. Bisogna esaminare
ogni questione da capo, piuttosto che confidare sulle conclusioni del giorno
precedente. La mente che apprende è anche la mente religiosa, poiché la
religione è questa indagine nella verità. Non possiamo indagare nella verità se
non abbiamo una mente che apprende. La mente che impara deve considerare la
verità come una cosa sconosciuta e imparare osservando se stessa nella vita
quotidiana. La religione non è separata dalla vita quotidiana. Se così è allora
è ipocrita, una fuga, non vera religione. Se non è parte della nostra vera vita
allora non stiamo vivendo le verità teosofiche.
Conferenza tenuta in occasione della Convention Internazionale di Adyar, Chennai (India), il 29 dicembre 2005.
Il Prof. P. Krishna è membro della Società Teosofica da molti anni, insigne scienziato, scrittore e conferenziere in tutto il mondo.