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Krishnamurti e la Teosofia
Di: P. Krishna e R. Burnier
Dialogo tra il prof. P.Krishna, rettore del Rajghat Education Centre di Varanasi (India) e Mrs Radha Burnier, presidente mondiale della Società Teosofica, che ha avuto luogo al Quartier Generale della Sezione Teosofica Indiana di Varanasi, il 29 marzo 2008.
P.K.:
Ho letto che Madame Blavatsky e la signora Besant affermarono entrambe che
R.B.:
Non solo Madame Blavatsky e la signora Besant, ma anche molti eminenti membri della
Società Teosofica che vennero dopo di loro, hanno affermato che Teosofia è una parola facile da tradurre
ma difficile da definire. Osserviamo il termine stesso: Sophia significa saggezza. E’ molto difficile per noi, che non
siamo persone sagge, che facciamo ogni genere di cose stupide, che soffriamo,
che non godiamo del senso di beatitudine che appartiene a colui che è saggio,
dire chi lo sia o che cosa sia la saggezza. Non lo sappiamo davvero. Poi c’è la
parola Theos che possiamo tradurre
con divino. Pertanto il, significato
delle due parole insieme è saggezza
divina. Talvolta Theos viene
tradotto con Dio. Ciò dipende da che
cosa si intende con la parola Dio, poiché è di un genere molto dubbio. Dio può
significare ogni cosa, dalla pietra che si usa per l’adorazione a qualcosa che
non può realmente essere tradotto in parole. Ma lo si capisce col proprio
cuore. Pertanto divino è in un certo
senso una parola più adatta.
P.K.:
E così, se vogliamo indagare più profondamente su tutto ciò, dobbiamo investigare
sia su quello che è il possibile significato di divino che su quello di saggezza,
essendo pienamente coscienti che un’accezione proiettata dalla nostra mente
potrebbe non rappresentare la realtà. Invece di definire in senso positivo
quello che la saggezza “è” potremmo approcciarla in senso negativo, poiché,
forse, è più facile dire quello che non è? Vorresti dire che una mente in preda
alle illusioni, che significa preda di immagini fatte da essa stessa, non potrà
essere saggia finché non sarà in contatto con il reale?
R.B.:
Questo porta proprio a comprendere innanzitutto quanto sia sbagliato affermare
che
P.K.:
Capisco la difficoltà nell’esprimere e comunicare una verità poiché tutto
questo avviene attraverso le parole, che sono cariche di significati, che
possono anche essere diversi tra popoli differenti. Tali sono le complessità
della comunicazione. Mettiamo che io abbia percepito qualcosa di profondo e che
voglia comunicarlo. Come posso fare? Questa è la difficoltà ad esprimersi e
comunicare. E la tua capacità di percepire ciò che io a mia volta ho compreso è
soggetta alle difficoltà della tua immaginazione e della tua mente nel
proiettare tali percezioni e tutto quello di cui abbiamo discusso negli ultimi
giorni. Ma non ci sono verità eterne riguardanti l’umanità, la coscienza umana,
che sono universali? Proprio come direbbero gli scienziati le verità
riguardanti la natura non le conosciamo completamente, sebbene siano
universali. Possiamo non comprendere appieno la gravitazione, o come essa
operi, ma essa non può essere diversa tra un essere umano e un altro, e perciò
questo sottende una verità. La nostra difficoltà è, per prima cosa, come venire
in contatto con essa, diventarne consapevoli, percepirla come verità e poi, in
un secondo momento, come esprimerla, come comunicarla. Per fare questo nel
campo scientifico usiamo il linguaggio universale della matematica e lo
troviamo molto utile. Ma essenzialmente stiamo presupponendo che ci siano
verità, riguardanti la natura, che sono universali, attive, eterne, non
pienamente conosciute, che chiamiamo leggi di natura e che cerchiamo di
scoprire.
Potremmo dire qualcosa di simile riguardo
R.B.:
Penso che questo sia un modo di vedere più sottile e sfuggente di come lo
intendiamo. Nel campo scientifico molto è stato detto riguardo alla stessa
cosa, se vista come un’onda o come una particella. Si presuppone che quando si
vede la particella essa sia anche un’onda, ma questa è solo una supposizione,
poiché non puoi vedere i due aspetti allo stesso tempo. Quando diciamo che
percepiamo una verità ci riferiamo solo ad alcune sue parti. Questa è la
difficoltà nell’esprimerla. E’ così sottile! Pertanto mi sembra che non la si
possa manifestare a parole. Se qualcuno che si è fatto qualche idea sulla
verità di tanto in tanto cerca di trasmetterla ad altre persone, egli potrà esprimerne
solo una parte. Ciò è molto difficile da comprendere, poiché la verità, come
appare in quel dato momento, è proprio reale per la persona coinvolta. A
quest’ultima sembrerà che l’intera verità si esprima in tale forma, ma non è
così. Essa si potrà manifestare in forme diverse in momenti diversi.
P.K.:
Perché può essere solo un aspetto del tutto.
R.B.:
Basandoci su questo fatto, si dice che perfino la persona più saggia sia
caratterizzata da molte cose che possono essere espresse in parole ma molte di
più che non possono esserlo. E allora, come può comunicarle? Non può. Prendiamo
per esempio Krishnaji(1): sono convinta che sapeva molte cose sia nei
dettagli che nei principi fondamentali, che non poteva trasmettere alle
persone. Ma egli forse proponeva quello di cui avevano bisogno a quell’epoca.
C’è qualcos’altro, però, in ciò che disse, che suggerisce esservi un intero
mondo di significati che dobbiamo trovare da soli.
P.K.:
Sì, egli affermò esplicitamente che c’è molto altro, oltre ciò che vediamo, che
è insondabile, indescrivibile e che non avrebbe nemmeno cercato di descrivere.
Egli metteva in rilievo solo quelle che erano le barriere da abbattere, così da
aprire la finestra, una volta compreso che tali barriere sono state da noi
stessi create e determinate da un modo superficiale di pensare. Ma tale è solo
l’inizio dell’esplorazione, non si sta ancora indagando sulla verità, ma solo sullo
spazio angusto di quello che potremmo definire pensiero condizionato e se non
rompiamo tali barriere non ha senso parlare di quel che è vasto,
incommensurabile e così via, poiché la mente limitata tradurrà sempre tale
percezione nel conosciuto, che potrebbe pertanto essere falso. Anche gli
scienziati hanno capito questo, seppure nell’ambito di una cosa così semplice
come la realtà fisica, senza prendere assolutamente in considerazione la
coscienza, che è ben più complessa ed intricata e di cui non capiscono niente o
quasi. Essi non possono nemmeno definire cos’è la coscienza, sebbene la usino
per le loro indagini scientifiche! Ma perfino riguardo alla nostra concezione
della realtà materiale fisica, al tempo, allo spazio ed all’energia, essi hanno
capito che quello che possiamo concepire è limitato dalla nostra propria
esperienza, che a sua volta è limitata dai sensi. Per esempio: non abbiamo mai
visto la connessione tra spazio e tempo, sebbene essi siano legati in un modo
che non siamo in grado di percepire, poiché nella nostra esperienza spazio e
tempo sono sempre state due entità distinte e separate. Per esempio, si dice
che lo spazio sia curvo, ma è molto difficile per noi immaginare questo.
Pertanto molto tempo fa gli scienziati hanno abbandonato quelle che una volta
erano considerate delle certezze e chiamate verità auto-evidenti, come per
esempio le due linee parallele che non si incontrano mai e hanno affermato che
ciò è vero in un certo tipo di spazio piano di cui siamo consapevoli; ma in
realtà lo spazio non è così, è curvo, con tutte le conseguenze del caso. Se si
tracciano due linee parallele su una sfera esse si incontreranno, come due
longitudini si incontrano al Polo Nord o Sud. Questo significa che la nostra
concezione della realtà anche solo del piano fisico è molto limitata ed essi stanno
dicendo: non fidarti del tuo pensiero perché è limitato. Per esempio non potrai
mai veramente spiegare ad una persona cieca dalla nascita cosa siano davvero i
colori.
Cos’è veramente un elettrone? Dicono che in
realtà non lo sappiamo. Può aiutarci immaginare un elettrone come fosse una
palla da biliardo, e chiamarlo particella; questo spiegherebbe alcuni suoi comportamenti;
ci aiuta anche immaginarlo come un’onda, cosa che può spiegare altri suoi
comportamenti. Ma sono solo modelli concettuali che ne favoriscono la
comprensione: la verità è che è entrambi! Non sono in grado di capire questa
verità fondamentale, in quanto non ho mai visto un’entità che sia particella
oltre che onda. Dicono che la nostra capacità speculativa abbia dei limiti, pertanto
non usatela troppo, piuttosto usate la matematica! La matematica è una sorta di
linguaggio universale che è stato ripetutamente messo alla prova e trovato
applicabile in natura.
Allo stesso modo in cui ci sono queste
limitazioni fisiche, ci sono anche quelle intellettuali. Vedo un parallelo tra gli
ostacoli incontrati nel fare scienza e quelli del pensiero che Krishnaji ha messo
in rilievo nella questione religiosa. Pensiamo solo in termini di conosciuto e
quest’ultimo è così limitato! Pertanto il pensiero non potrà mai comprendere il
non conosciuto e che ci sono grandi verità al di fuori di esso, che possono
essere percepite solamente quando saremo liberi da queste limitazioni e saremo
fuori dalla prigione del conosciuto. La libertà dal conosciuto non è la fine
del conosciuto stesso, ma non-dipendenza da esso. Abbiamo dato troppa
importanza a quel poco che sappiamo e cerchiamo sempre di interpretare tutto alla
luce di tale conoscenza, ma questo blocca la percezione di ciò che non
conosciamo. Un vero progresso nella scienza è venuto anche dai cambiamenti di
paradigma, risultato di una profonda riflessione intuitiva sul non conosciuto,
che va ben oltre il pensiero convenzionale.
R.B.:
il conosciuto può essere un’illusione. Ciò che io conosco, può non essere la
stessa cosa per una persona la cui coscienza è molto più sottile, profonda e
così via. Anche ciò che è conosciuto, cambia forma continuamente. Diventa così
difficile comprendere un universo in cui ogni cosa sta cambiando secondo il
livello della nostra percezione. Solo se una persona può vedere qualcosa nella
sua totalità, vedrà la verità. Ma nel dire questo, sento che c’è un errore,
perché potrei non essere consapevole della mia limitazione. Dunque, cos’è il
conosciuto, cos’è il conoscibile, e cos’è il non conosciuto? Queste sono tutte
domande profonde che rimangono sempre.
P.K.:
effettivamente è importante capire che siamo parte di un grande mistero, che
tale mistero è molto profondo e che gli scienziati stanno cercando di
comprendere solo uno dei suoi aspetti, ma la maggior parte rimane comunque un
mistero. Esso si estende forse ben oltre ciò di cui noi siamo consapevoli e spesso
nell’orgoglio della nostra conoscenza perdiamo la consapevolezza di tale
mistero.
R.B.:
questo ci riporta alle finalità della Teosofia. Se consideriamo il secondo
scopo della Società Teosofica, vediamo che parla di filosofia, scienza e
religione. Lasciamo fuori la filosofia per il momento ed esaminiamo solo
scienza e religione. A mano a mano che ci addentriamo nella scienza,
sopraggiunge un sentimento religioso di bellezza, unità, meraviglia e mistero,
simile a quello del vero uomo di religione. Con questo non intendo dire un uomo
religioso secondo l’induismo, il cristianesimo, il buddhismo o quant’altro, ma
colui che ha saputo andare oltre tutte queste forme ed è giunto ad una
percezione più profonda ed ampia dell’unità e totalità dell’esistenza, una cosa
che non possiamo esprimere a parole ma che ha una sacralità, una santità che
può essere percepita. Essa è oltre tutte le speculazioni della scienza e le
forme religiose. Quando si va così in profondità, allora le scoperte
scientifiche possono corrispondere a quella che è conosciuta come vera
religione. Io sento che c’è una realtà, che è sia scienza che religione, che
può essere percepita, ma non espressa o comunicata.
P.K.:
probabilmente questo accade perché sia la materia che la coscienza sono parti
di una realtà unica: la coscienza esiste e così pure la materia e l’energia. La
scienza probabilmente non è in grado di indagare profondamente nella coscienza,
poiché essa non è misurabile. Le ricerche scientifiche sono limitate a ciò che
può essere misurato e pertanto gli scienziati stanno ancora cercando di
comprendere la natura dello spazio, del tempo, della materia e dell’energia. Ma
la loro descrizione è necessariamente incompleta, poiché hanno lasciato fuori
la coscienza. Essi usano la coscienza, per le loro ricerche scientifiche, ma
tale scienza non può spiegare che cosa stiano usando! Mi vengono in mente le
parole di Schroedinger(2), lo scienziato che ha inventato la meccanica
ondulatoria ed è stato il precursore della meccanica dei quanti odierna. Egli
era anche un filosofo che aveva approfonditamente studiato il Vedanta. Non era un uomo religioso ma
uno studioso. La sua vita personale era una gran confusione, ma
intellettualmente era un genio. Egli disse qualcosa di davvero profondo, che
vorrei condividere con voi: “Considero la
scienza come parte integrante del nostro impegno a comprendere l’unica grande
questione filosofica che abbraccia tutte le altre: chi siamo? Credo che questo
sia non uno dei compiti ma IL compito della scienza, l’unico che conta”.
Per rispondere a questa domanda dobbiamo chiederci
cos’è il corpo, la sua origine, i suoi componenti, la sua forma e funzione ma
non solo, dobbiamo anche spiegare la consapevolezza e coscienza che operano in
tale corpo, il loro modo di funzionare ecc. Schroedinger considerava sia la
scienza che il Vedanta come parte
della filosofia e capiva la necessità di integrarle e non separarle, altrimenti
si sarebbe sempre ottenuta una visione parziale della vita e della realtà. Per
esempio i fisici ritengono non ci sia bisogno della vita, essi la trattano come
un accadimento occasionale che non comprendono.
Ma torniamo a Krishnamurti e
R.B.:
Penso alle difficoltà di comprendere realmente cosa sia
P.K.:
Ma l’ignoranza come illusione o immaginazione è comune a tutto il genere umano
e pertanto, che differenza fa se tale ignoranza è di tipo cristiano, oppure
riguardante
R.B.:
Noi riteniamo che una differenza ci sia. Chi si è immerso in Krishnamurti (sto
usando questo termine deliberatamente) ritiene di conoscere ciò che è vero e
ciò che non lo è meglio degli altri.
P.K.:
Ma la verità è qualcosa che non può essere conosciuta! Lo abbiamo detto prima,
non può essere conosciuta né descritta.
R.B.:
Alla stessa maniera, molti teosofi credono di sapere cos’è
P.K.:
Credo sia estremamente importante restare consapevoli di questo pericolo,
perché fondamentalmente abbiamo la stessa coscienza di tutti gli altri esseri.
E la coscienza umana ha ripetutamente fatto gli stessi errori, sia che si
trattasse di cristiani, buddisti, indù, teosofi o persone appartenenti alla
Krishnamurti Foundation. Non ci vedo tanta differenza. Un uomo come Gesù ha
toccato qualcosa di molto profondo, anche se non sappiamo come, ma tutto ciò
deriva da un totale stato di consapevolezza basato sull’amore, la compassione o
qualsiasi altra parola vogliate usare. Da quello stato egli cerca di comunicare
tale verità, con le parole che troviamo nel Sermone
della montagna, ma i suoi seguaci “portano
giù” quella verità, creando una chiesa, una religione, dicendo fai questo e
non fare quello. E’ lo stesso tra gli indù: essi non hanno scoperto la verità
espressa nelle Upanishad o nel Vedanta, ma continuano le loro varie
piccole performance senza venire in contatto con la verità. E tutto ciò si
trova pure nel buddhismo: ciò che oggi si compie nel suo nome è ben altra cosa
rispetto alla verità insegnata dal Buddha. Pertanto dobbiamo essere sempre
consapevoli di questo pericolo, considerando quello che le persone in tutto il
mondo compiono, riducendo a una cosa familiare la verità e poi concentrandosi
su di essa, perché risulta più facile. Questo diventa un processo dell’io, che
cerca sicurezze. L’idea che stai progredendo ti dà una bella sensazione ma
diventa un impedimento alla percezione della verità perché le tue energie
vengono dissipate in ogni genere di attività superficiale che non è
assolutamente il vedere.
R.B.:
E’ importante capire che il sentiero stesso è una metafora, che non si
riferisce veramente ad un cammino con un principio ed una fine. Esso non ha
inizio poiché ogni cosa gli appartiene e pertanto non ha fine. Questo mi fa
venire in mente qualcosa che si trova nelle Lettere dei Mahatma, riguardante il
Maestro K.H. (che uno creda o meno nei Maestri in questo momento non ha
importanza). Egli va in un certo tipo di samadhi
perché deve fare un lungo viaggio interiore e non deve essere disturbato a
livello fisico. C’è un riferimento a questo ne
P.K.:
Penso che Krishnaji abbia espresso la stessa cosa, sebbene con parole in
qualche modo diverse, quando affermava che la libertà sta all’inizio
dell’apprendimento, non alla sua fine, poiché l’apprendimento non inizia finché
le percezioni vengono distorte dai processi dell’io, dalla colorazione
individuale che esso dà a tale percezione. Pertanto non possiamo percepire la
verità. E se percepire la verità significa imparare, allora tale apprendimento
non può andare molto in profondità finché non siamo liberi, ma questa libertà
secondo me non è un punto fisso a cui arrivare. La possibilità di percepire la
verità senza distorsione alcuna è sempre esistita nella coscienza umana: ecco
perché è possibile, anche per una persona che abbia dei condizionamenti, distinguerne
un barlume. Per esempio, perfino un imperatore tanto crudele quanto Ashoka(3)
poté avere un momento di profonda intuizione così da cambiare completamente,
dopo la guerra di Kalinga. Pertanto il nostro io non è completamente escluso
dalla capacità di avere delle intuizioni profonde.
R.B.:
Ecco perché anch’io sento che l’essere umano ha questa capacità di pura
consapevolezza, attraverso la quale può cogliere la realtà, ma egli tende a
tradurre tutto ciò nel vecchio modello dei suoi condizionamenti, che è il suo
conosciuto. Egli deve liberarsi da tale limitazione e percepire attraverso la
sua vera consapevolezza. Le persone come Krishnaji, penso, vengono al mondo per
aiutare gli esseri umani ad uscire dalla propria individualità limitata e
condizionata e capire che c’è qualcosa di più grande e più bello, che manca
loro finché rimarranno confinati nel mondo dei loro pensieri.
P.K.:
Questo per me significa che quando Krishnaji si ribellò nel 1929 o nel 1933, più
o meno in quel periodo, non fu contro l’essenza della Teosofia, ma verso la
tendenza alle incrostazioni che facevano diventare
R.B.:
La vera mente teosofica è sia scientifica che religiosa, in tal senso.
P.K.:
Non dobbiamo provare antipatia per nessuna religione, o condannarla, o qualcosa
del genere. E’ semplicemente un fatto incidentale, che siamo nati dove si
pratica una certa religione. Ci sono cose buone in essa, altre più
superficiali, come pure delle superstizioni. Dobbiamo andare oltre tutto
questo. Io non voglio rimanere limitato a questo, rimanervi attaccato o
difenderla. Può avermi aiutato, quando ero piccolo, a crescere ma non mi deve
limitare in alcun modo nella mia indagine di ciò che è vero e ciò che è falso.
R.B.:
Pertanto una vita veramente teosofica è quella che ci permette di crescere
nella verità e scoprire una saggezza sempre più grande.
Note:
1. Jiddu
Krishnamurti, (1895-1986).
2. Erwin
Rudolf Josef Schroedinger (1887-1961) Nobel per
3. Ashoka
detto il Grande, imperatore indiano fra il 273 ed il
Tratto da The Indian Theosophist luglio-agosto 2008.
Traduzione di Patrizia Moschin Calvi.