Hélène Blavatskij e Annie Besant:

due modelli di santità laica femminista

 Di: Lucetta Scaraffia

Le fasi storiche di profonda trasformazione, quelle in cui è piùintenso il cambiamento individuale, sono periodi in cui è più marcato l’interesse verso biografie e autobiografie, viste come modelli di vita che aiutano ad orientarsi.

Gli anni tra fine Ottocento e il Novecento, che hanno visto porre le basi per un radicale cambiamento dell’identità femminile, sono stati caratterizzati da un fiorire di questo genere letterario, che ha conosciuto una straordinaria fortuna soprattutto fra le lettrici. È ben nota, infatti, l’importanza e la grande diffusione di percorsi biografici “modello” pubblicati in questo periodo: per citare solamente i più noti, Una donna di Sibilla Aleramo e le Memorie di Simone de Beauvoir, o Il gruppo di Mary MacCarthy, affiancati anche da un nuovo interesse per biografie di donne importanti del passato come Caterina da Siena, che ha attirato molte femministe, anche protestanti come Josephine Butler, autrice di una sua biografia.

Al di fuori dell’ambito strettamente intellettuale e femminista, ci sono state due donne, Hélène Blavatskij e Annie Besant, che in questo periodo hanno goduto di un eccezionale successo e le cui biografie, lette da migliaia di persone in tutto il mondo, hanno giocato sicuramente un ruolo non secondario nel modellare nuovi esempi di autonomia e di potere femminili.

Si tratta di due personaggi che hanno conosciuto una forte notorietà tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento (la Besant è morta nel 1933), anche se ora se ne è persa quasi notizia, tranne che negli ambienti delle società esoteriche che continuano a pubblicare e a vendere i loro scritti. Nella prima metà del Novecento, però, sono state veramente celebri, autrici di innumerevoli libri tradotti in tutte le lingue e addirittura oggetto di una sorta di culto. Hanno costituito quindi un primo e importante esempio di autorevolezza femminile in un campo - quello dell’esoterismo - che era stato fino ad allora dominio di esperti maschi - primi fra tutti i massoni - e hanno intrecciato il loro percorso di leaders esoteriche con quello dei movimenti femministi dell’epoca.

All’interno di quel vasto e condiviso “senso di insofferenza nei confronti dei limiti di una esistenza umana ormai solo mondana e demitologizzata, così come di un mondo ormai travolto dal suo disincanto”1 che caratterizza la cultura europea di questo periodo, esse si sono presentate come autorevoli guide spirituali, come profonde conoscitrici di una “dottrina segreta” che avrebbe permesso agli adepti di accedere a un inedito progresso spirituale, prima tappa per una vera e propria redenzione del mondo. Hélène Blavatskij, con il sincretismo della sua “Teosofia”, riuscì infatti a dare l’interpretazione più comospolita e influente dal punto di vista internazionale dell’idea di una tradizione spirituale occulta.

La sua influenza culturale e religiosa è stata mondiale e il suo tentativo di fondere religioni orientali con quelle occidentali e con le tradizioni dell’occultismo ha avuto senza dubbio il merito di far conoscere - anche se magari solo superficialmente - culture non ancora note in Europa e negli Stati Uniti, esercitando un’importante influenza ideologica e religiosa che arriva fino all’odierna New Age.

Entrambe le leaders spirituali hanno esercitato un’influenza non secondaria anche in ambiti culturali estranei all’esoterismo: la Blavatskij particolarmente sugli ambienti artistici (per esempio nei riguardi di Kandinskij e Yeats), la Besant su quelli politici, come testimonia il ruolo da lei giocato nell’indipendenza dell’India2.

Anche in Italia queste due donne hanno goduto di un certo seguito: nei primi decenni del Novecento la Società teosofica italiana (fondata nel 1898) vendeva ai suoi iscritti non solo i libri di Blavatskij e Besant, quasi tutti tradotti da solerti socie, ma anche dei loro ritratti fotografici, utilizzabili come supporti per la meditazione. I periodici legati alla Società riportavano notizie di carattere agiografico relative alla loro vita, accompagnate, per quanto riguarda la Besant, da richieste di contributi finanziari per la sua vita e i suoi viaggi3.

Come si era creata questa situazione di culto a sante viventi o, nel caso della Blavatskij, morte di recente? Quale contributo avevano dato loro stesse alla creazione di questa immagine mitica, diventata quasi oggetto di devozione?

Le vicende di queste due protagoniste, seppure accomunate dal ruolo di dirigenti della Società teosofica (della quale la Blavatskij è anche co-fondatrice), sono molto diverse, e così anche la costruzione della loro immagine pubblica, a cominciare da un fatto: della Blavatskij esistono solo biografie devote, scritte da persone a lei molto vicine, mentre per la Besant esiste anche una autobiografia, oltre a biografie più libere.

Hélène Blavatskij

Anche se non ha scritto nessuna memoria autobiografica, Hélène Blavatskij ha costruito la sua immagine con attenzione, straordinario acume e senso dei tempi: gran parte della sua vita è rimasta immersa nel mistero anche per le persone a cui era legata più strettamente, soprattutto per quanto riguarda il suo soggiorno in Tibet, dove sarebbe stata iniziata al sapere esoterico da alcuni sapienti.

Descritta nel 1885 da un rapporto della Society for Psychical Research (spr) come una volgare avventuriera, la fondatrice della Società teosofica - fondata a New York nel 1875 insieme con il colonnello Olcott, che rimase sempre a lei devoto fu autrice di libri esoterici lunghi e confusi che conobbero uno straordinario successo di vendite in molti paesi, fu direttrice di svariate pubblicazioni di tipo esoterico, fra cui la rivista impudentemente intitolata Lucifer, ed esercitò un indubbio fascino sui suoi contemporanei, soprattutto su coloro che la conobbero personalmente.

La Società teosofica da lei fondata si proponeva di riconciliare scienza e religione, di creare, in un certo senso, una religione adatta ai tempi moderni che avrebbe dovuto aiutare gli adepti a raggiungere l’illuminazione. In coerenza con i principi romantici, alla base della sua attività era la convinzione che “la salvezza non nasceva dalla fede o dalle opere, ma dalla conoscenza e dalla volontà, e quest’ultima era di gran lunga più potente di quanto in generale non si ritenesse”4.

Il programma della Società era:

1. formare il nucleo di una fratellanza universale dell’Umanità, senza distinzione di razza, credenza, sesso o colore;

2. promuovere lo studio comparato delle religioni, delle filosofie e delle scienze;

3. istituire ricerche sulle leggi meno note della natura e sulle facoltà latenti nell’uomo.

Secondo la Teosofia, alla base di tutte le religioni c’è un’unica e universale “sapienza divina”; il richiamo iniziale alla fraternità sembra derivare dalle sue probabili origini massoniche5.

Il progetto, illustrato da Olcott nel discorso inaugurale, partiva dal presupposto che “dietro di noi, dietro alla nostra, per quanto modesta organizzazione, vi è una forza possente, alla quale nulla può resistere - la Forza della verità - [...] sento come sincero teosofo che saremo in grado di dare alla scienza tali prove della verità dell’antica filosofia e dell’antica scienza che la tendenza all’ateismo sarà arrestata e che i nostri scienziati, come disse H. P. Blavatskij, ‘si accingeranno ad apprendere il nuovo alfabeto della Scienza nel grembo della Natura’ [...] Noi siamo studiosi, non Maestri”6.

La missione della Blavatskij conobbe in breve tempo uno straordinario successo: la società si diffuse rapidamente dal mondo anglosassone a quello francese e tedesco, e dall’Europa all’India, dove la Blavatskij stessa si recò, insieme al colonnello Olcott, per fondare ad Adyar, vicino a Madras, la sede centrale e dove stabilì per lungo tempo la sua dimora. Alla diffusione delle dottrine teosofiche la nobile russa dedicò tutte le sue energie, nonostante la salute critica - fu per più volte considerata in fin di vita - e si prodigò con viaggi, conferenze, incontri, e soprattutto con le sue opere Iside Svelata e La Dottrina Segreta, tradotte in moltissime lingue e tuttora ristampate e lette avidamente.

Scrittrice dotata, collaborò a diversi giornali, anche russi, e diresse la rivista ufficiale della Società, The Teosophist, e successivamente una nuova rivista, Lucifer, sempre dedicata allo svelamento dell’occulto.

Nata in Ucraina da una famiglia della nobiltà russa (cui restò sempre legata), dopo un precoce matrimonio con il generale Blavatskij presto finito, trascorse anni viaggiando in Oriente - diceva in particolare di avere soggiornato a lungo in Tibet (di certo sembra essere solo il soggiorno in Egitto) - sfruttando le sue indubbie qualità medianiche. Pare anche che sia vissuta per un certo tempo a Parigi allieva del celebre occultista Alain Kardec. Si narrava anche che avesse combattuto - vestita da uomo - nella battaglia di Mentana accanto a Garibaldi. Ella rappresentava quindi un misto di fascino orientale - il Tibet, in quegli anni era chiuso agli occidentali, mentre il fascino dell’esotismo egiziano si diffondeva in quel periodo in Europa, soprattutto in Francia - e di modernizzazione.

Come donna e come asiatica, Hélène Blavatskij si proponeva quale portatrice dell’antica saggezza orientale in un mondo sofferente dei mali causati dalla società industriale. Il paradigma evoluzionistico applicato anche alla sfera religiosa aveva fatto nascere l’attesa per una nuova religione moderna, di cui, per molti, la medium russa era depositaria, dal momento che sembrava in possesso delle risposte alle domande spirituali che non trovavano più risposta nelle religioni tradizionali.

Blavatskij sembrava infatti in grado di conoscere la vita dopo la morte e si vantava di trasmettere conoscenze spirituali scientifiche ed empiricamente verificabili.

Si presentava quindi come una commistione di mistero e di scientificità, carica di un’autorevolezza che le consentiva di esibire senza reticenze una personalità enigmatica e controversa7.

I membri più rispettabili della società facevano fatica ad accettare la sua franchezza, la sua volgarità, il suo rifiuto di ogni etichetta. Le sue stesse fattezze pesanti - lei stessa si descrive come “bellezza Calmucca” o “Tibetan Yak” - di asiatica-europea, i suoi vestiti mezzo tibetani mezzo “night-dress fashion”, la rendevano difficilmente assimilabile alla rispettabilità vittoriana, e ne facevano una figura al di fuori di ogni convenzione. Ella si proponeva quindi come modello a metà fra Oriente e Occidente, fra donna e uomo: da una parte, la forte fumatrice di sigarette, che lei stessa arrotolava, capace di orribili parolacce, la donna di potere senza marito né figli, la celebre scrittrice, dall’altra, la medium passiva, pura trasmettitrice dei messaggi che le inviavano misteriosi Mahatma.

Le biografie scritte da Olcott e dalla duchessa di Wachmeister8, che hanno convissuto con lei per lunghi periodi, non si impegnano a decifrare questi enigmi: lasciano il mistero delle sue vicende biografiche, di cui lei stessa rimane l’unica fonte. Essi vi aggiungono solamente la descrizione ammirata dei prodigi straordinari di cui questa donna misteriosa era capace.

Olcott ne dà un ritratto vivace e intrigante, ma pur sempre misterioso: “Io l’ho conosciuta come compagna, come amica come collega e come mia uguale [...] Tutti gli altri colleghi sono stati suoi discepoli, oppure amici occasionali o semplici corrispondenti: nessuno l’ha conosciuta come me, perché nessuno l’ha vista come me in tutte le fasi del suo umore, del suo spirito e del suo carattere [...]. Ella non poteva essere per me, che la conoscevo così bene, ciò che ella è stata per tanti altri: una specie di divinità immacolata, infallibile, uguale ai Maestri di saggezza. Per me ella è una donna straordinaria, divenuta il canale di grandi insegnamenti, l’agente incaricato di un compito grandioso. Ed è appunto perché la conoscevo meglio di chiunque altro che lei mi sembrava un grande mistero, più grande di quanto sembrasse agli altri [...]. In che misura la sua vita cosciente fosse quella di una personalità responsabile, e in che misura il suo corpo fosse diretto da un’entità esterna, io non lo so [...]”9.

Proprio questa conoscenza ravvicinata dovrebbe fare di Olcott un testimone attendibile dei prodigi che accompagnavano la vita dell’inquietante russa: “Era una cosa curiosa e indimenticabile guardarla lavorare” - scrive narrando il periodo in cui la Blavatskij era impegnata nella scrittura della sua prima opera, Iside svelata. La sua penna volava sulla pagina; poi, all’improvviso, lei si fermava, guardava in aria con la fissità vaga dei chiaroveggenti e poi sembrava leggere qualcosa di invisibile davanti a sé - e si metteva a copiarlo. Finita la citazione, i suoi occhi riprendevano la loro espressione abituale e lei ricominciava a scrivere normalmente finché la cosa non si ripeteva. Ricordo molto bene due occasioni in cui anch’io ho potuto vedere e toccare nel loro doppio astrale dei libri dai quali ella aveva copiato le citazioni e che dovette materializzare per dimostrarmene l’esattezza10.

Dello stesso tenore sono le testimonianze di Constance Wachmeister, che assisteva la Blavatskij durante la stesura della sua seconda opera importante, La Dottrina Segreta. La Wachmeister era di origine inglese ma viveva in Svezia, dove si era dedicata allo spiritismo e ha raccontato lei stessa, in un piccolo diario, Reminiscences of H.P. Blavatskij, il suo rapporto con la fondatrice. L’aveva incontrata nel corso di una sua visita a Londra, ricevendone una impressione profonda: “meravigliosi occhi grigi penetranti e tuttavia calmi e imperscrutabili, che brillavano di una luce serena che sembrava intuire e ridestare i segreti del cuore”11. Da lei abbiamo una descrizione precisa del modo misterioso con il quale la Blavatskij otteneva la documentazione necessaria al suo lavoro:

Quando cominciai ad aiutare Madame Blavatskij come amanuense ed ebbi modo di farmi un’idea della natura del suo lavoro, fui stupefatta nel constatare la povertà della sua biblioteca. I suoi manoscritti erano pieni di citazioni, referenze, riferimenti di ogni genere, tratti da un’enorme quantità di opere rare e recondite su soggetti di tutti I generi. Poteva allora capitare che ella avesse bisogno di verificare un passaggio di un libro reperibile soltanto in Vaticano o qualche documento di cui solo il British Museum possedeva una copia. Aveva bisogno unicamente di controllare e verificare: il contenuto che aveva riportato, in qualunque modo lo avesse avuto, non poteva certo averlo ricavato dai pochi libri che aveva portato con sé. Poco tempo dopo il mio arrivo a Wurzburg, mi chiese se conoscevo qualcuno che potesse andare per lei alla Bodleian Library. Per caso conoscevo una persona in grado di farlo, così il mio amico controllò il passaggio che H.P.B. aveva visto nella luce astrale, con la citazione corretta del libro, del capitolo, della pagina e delle illustrazioni12.

La vita di Hélène Blavatskij, nonostante l’indubbio successo personale e quello della Società teosofica da lei fondata, non fu facile, né esente da conflitti e critiche: a chi la adorava si contrapponeva chi la calunniava, descrivendola come una avventuriera mentitrice o una spia degli inglesi o dei russi. Più volte i discepoli più stretti si ribellarono, intentando processi, portando le prove di frodi e di menzogne: Hélène risolveva il problema con una pronta partenza, cercando di affascinare nuovi discepoli, pronti a mantenerla, a subire i suoi capricci e a diffondere la sua immagine santificata.

Le biografie scritte negli anni successivi sono tratte da queste due fonti, e dalla corrispondenza della Blavatskij stessa con le donne della sua famiglia, e sono tutte opera di autori legati alla Società teosofica: si tratta quindi di pubblicazioni dall’indubbio carattere agiografico, che probabilmente non sono lette al di fuori di questi ambienti. Esse ricostruiscono la vita della Blavatskij secondo parametri affini a quelli del genere agiografico: vocazione precoce (già nella prima infanzia si manifestano i suoi poteri paranormali), vita di sacrificio, segnata da sofferenze e malattie, finalizzata alla sua missione spirituale: diffondere il messaggio dei Maestri per elevare spiritualmente l’umanità del suo tempo.

Come per i santi, anche la sua vita fu imitata: Alice Bailey, vicina agli ambienti teosofici statunitensi, si disse anch’essa ispirata da maestri misteriosi e, come Blavatskij, scrisse in poco tempo molti libri di contenuto spirituale e fondò - insieme con il marito che morì molti anni prima di lei - una associazione esoterica, The Arcane School, ancora esistente13.

Le idee diffuse dalla Blavatskij, dalla reincarnazione al karma, dall’anima degli animali alla speranza di rigenerare spiritualmente l’umanità, stanno all’origine di molti movimenti religiosi contemporanei come la New Age.

La sua influenza anche in ambiti artistici e letterari fu importante: si attribuisce alla lettura delle sue opere l’inizio dell’arte astratta in Kandinskij e Mondrian, e molti furono gli scrittori, come Herman Hesse e Antonio Fogazzaro, che ne trassero ispirazione.

Questa donna misteriosa, detta “la Sfinge”, con il suo tipo di vita così diverso da quello delle contemporanee, era femminista di fatto: non ci stupisce quindi sapere che fu proprio grazie a una sua donazione che nel 1890 fu fondato a Londra il primo circolo per operaie. Del resto, le critiche che essa rivolgeva alla Chiesa cattolica erano incentrate sul dominio maschile del clero, e questo suo modo di considerare il cristianesimo una religione oppressiva nei confronti delle donne influenzò senza dubbio il pensiero anticlericale del tempo.

Annie Besant

Diversa invece la costruzione biografica di Annie Besant, che le succedette nella direzione della Società. La Besant, donna molto nota che veniva dal mondo dell’impegno politico - era stata militante del Libero pensiero e del socialismo fabiano - era decisamente femminile: non solo era stata sposata, ma aveva avuto due figli, il suo aspetto era molto gradevole, e si occupava del suo abbigliamento con grande attenzione. Di lei esistono molte fotografie, raccolte in una sorta di biografia per immagini dal suo discepolo angloindiano Arundale, poi suo successore alla direzione della Società teosofica, che testimoniano la sua trasformazione da bella ed elegante fanciulla ottocentesca, con un vestito ornato di pizzi che le stringe la vita, a una autorevole donna matura, che si inventa una nuova foggia di abiti, ispirati al vestire degli uomini indiani. L’eleganza e l’originalità dei vestiti della Besant - che colpirono sempre molto i contemporanei - sono rivelatori dell’attenzione che ella dedicava alla costruzione della propria immagine, di cui si occupava con la consapevolezza del leader politico che era stata.

La Besant conobbe la Blavatskij, subito dopo avere recensito entusiasticamente la Dottrina segreta, a 43 anni14. Aveva già una vita burrascosa alle spalle: giovane moglie di un pastore e madre di due figli, aveva affrontato una separazione e si era impegnata nella vita pubblica come militante del Libero Pensiero prima, della lega malthusiana a favore del controllo delle nascite poi. Esperienze militanti che le costarono la perdita della custodia dei due figli: anche lei, come Sibilla Aleramo e Maria Montessori, dice di rinunciare ai figli in nome di una maternità che si allarga all’umanità intera15.

Nell’ultima fase della sua esperienza politica militò nel partito socialista fabiano, diresse e appoggiò sul suo giornale la lotta delle operaie dei tabacchi di Londra, ottenendo un importante successo politico. Abituata a tenere conferenze, a scrivere articoli di battaglia e pamphlets e a gestire rapporti politici, si rivelò subito di grande aiuto per la Società, tanto che sembra che la Blavatskij l’avesse designata come successore.

Anche durante la sua militanza teosofica, la Besant non venne mai meno alla militanza femminista, contribuendo ad organizzare manifestazioni delle suffraggette. Nel giugno del 1911, per esempio, un nutrito gruppo di teosofi ha marciato sotto le bandiere della Universal Co-freemasonery, accanto alla Lega per il Suffragio, alle donne fabiane, alla Church League for Women’s Suffrage. Questa manifestazione per il suffragio era stata infatti organizzata dalla teosofa Kate Harvey16.

Proprio per questo impegno femminista fu accusata di avere dato un’impronta troppo femminile alla Società teosofica: in realtà, durante la sua presidenza, le iscritte alla Società aumentarono decisamente, e fra queste vi erano molte femministe, come l’inglese Susan Gay che, nel suo volume Womanhood in Its Eternal Aspect (1879) aveva teorizzato l’importanza del ruolo femminile nella vita spirituale. La Gay fu anche autrice di un importante articolo sulla rivista Lucifer - una sorta di manifesto teosofico-femminista - The future of Women, che fondava l’uguaglianza sulla teoria della reincarnazione, secondo la quale tutti avevano vissuto incarnazioni nei due generi.

I critici avevano perciò buoni motivi per accusare la Besant di avere squilibrato la Società teosofica a favore del lato femminile, cioè passivo, mistico e devozionale, a discapito della via dell’occultismo, considerata maschile dagli adepti17. Senza dubbio, la Besant chiedeva ai soci una forma di devozione cieca che molti non si sentivano di garantire, specie se uomini, e questo suo atteggiamento fu una causa non secondaria dell’allontanamento di molti uomini seguaci della Teosofia, che fondarono poi associazioni concorrenziali, come l’angloindiano Sinnet e soprattutto come Steiner, segretario della Società teosofica tedesca.

Durante il suo lungo periodo di guida della Società, l’influenza teosofica si avvertì sensibilmente anche all’interno del movimento femminista, in cui si cominciò a utilizzare un lessico intriso di spiritualità, parlando così di “sacra causa” e di “servizio all’umanità”18.

Da alcuni considerata maestra di vita spirituale, da altri abile avventuriera, profonda conoscitrice delle religioni orientali o abile divulgatrice di testi altrui, Annie Besant ha tenuto banco nella società colta del mondo, non solo occidentale, dei primi decenni del Novecento proponendosi come modello di donna nuova. L’unico approccio storico “neutro” alla sua vita riguarda il primo periodo, anteriormente all’avventura teosofica: è una raccolta dei suoi pamphlets politici - pubblicata negli Stati Uniti - scritti nel periodo precedente alla sua conversione teosofica19,in cui è definita come “a major figure in the young socialist movement”. Anche l’autobiografia, Annie Besant. An autobiography, uscita in prima edizione a Londra nel 1893 (la seconda fu pubblicata nel 1908) riguarda solo il primo periodo della sua vita, prima della conversione alla Teosofia o, per meglio dire, si ferma a quel momento20.

Questo testo, tradotto ed edito in migliaia di copie, ebbe l’importante funzione di indirizzare in senso femminista la linea ideologica dei teosofi e di costituire un modello di trasgressione per le donne del suo tempo.

L’autobiografia era stata scritta per contrastare le critiche di chi le rinfacciava un passato in contraddizione con la militanza teosofica, ed essa infatti, abile scrittrice, ottiene l’effetto voluto colorando di afflato religioso e spirituale anche la sua militanza atea e socialista: in ogni esperienza, ella scrive “cercavo la verità”. Anche questo testo - malgrado sia scritto con uno stile brillante e da un punto di vista chiaramente femminista - presenta una struttura che ricorda gli scritti agiografici: nel periodo precedente la conversione - cioè l’incontro “fatale” con la Blavatskij - l’autrice si descrive come anima inquieta, in cerca di una via spirituale che troverà solo nella Teosofia. Si propone quindi come un romanzo di iniziazione, che traccia una via di salvezza spirituale che tutti potranno ripercorrere mettendosi sotto la sua guida.

A differenza della Blavatskij, la Besant - pur vantandosi anch’essa di ricevere messaggi “precipitati” dai Mahatma - non era dotata di poteri medianici, non operava prodigi, ma era capace di esercitare una leadership intellettuale, spirituale e politica grazie alla sua straordinaria capacità oratoria, alla sua facilità di scrittura, alla sua personalità carismatica.

Negli anni della presidenza Besant la Società teosofica conobbe un notevole ampliamento: il numero degli iscritti era cresciuto considerevolmente dopo la prima guerra mondiale, fino ad arrivare, nel 1921, a 50.000, ripartiti in 33 società nazionali. Quando, nel 1925, alla celebrazione del mezzo secolo dalla fondazione, ad Adyar convennero tremila delegati da tutte le parti del mondo, ella propose come nuovo progetto la costituzione di una Religione mondiale, una Università mondiale e un Governo mondiale. Benché quasi ottantenne, godeva ancora ottima salute: nel 1927 visitò dodici paesi, tenendo in venti giorni circa cinquanta conferenze; due anni dopo tenne la presidenza del Congresso teosofico di Chicago, e in questa occasione ricevette l’omaggio del presidente Hoover, nel 1930 visitò per l’ultima volta l’Europa - dove si recava ogni anno - e presiedette il congresso teosofico mondiale di Ginevra.

Ma la sua non fu certo una presidenza tranquilla: pesanti conflitti portarono alla nascita di Società parallele e contribuirono ad appesantire le critiche intorno alla presidente, a cui i fedelissimi risposero con una intensificazione del suo culto. Il primo scandalo coinvolse nel 1906 uno dei suoi più stretti collaboratori, il vescovo della Chiesa cattolica Liberale d’Inghilterra Leadbather, dotato di poteri medianici, accusato di corruzione dei minorenni di cui era insegnante. La pesantezza delle accuse - lei stessa alluse a “metodi degni della più severa riprovazione”21 - costrinse la Besant, seppure a malincuore, ad allontanarlo per un po’, ma due anni dopo fu invitato nuovamente a collaborare al suo fianco, provocando le dimissioni di molti soci inglesi (tra i quali Sinnet e Mead, due alti dirigenti, che fondarono altri gruppi, sottraendo soci alla Besant) e la fondazione di una Sezione internazionale indipendente della Società Teosofica con sede a Benares, che riconosceva alla presidente autorità solo sulle pratiche amministrative e organizzative. Il caso Leadbather provocò un terremoto nel mondo teosofico: anche in Italia il gruppo “Roma”, che pubblicava la più importante rivista teosofica italiana, Ultra, aderì alla Sezione indipendente.

Leadbather giocò un ruolo fondamentale nella scelta del giovane indiano Krishnamurti che avrebbe dovuto diventare il nuovo Messia. Egli lo allevò, insieme al fratello, e lo fece studiare nei migliori istituti inglesi. A poco a poco la preparazione dell’avvento del nuovo messia cominciò ad assorbire tutte le energie della Società teosofica, che nel 1911 fu per di più affiancata dal nuovo ordine della Stella d’Oriente, con Alcyone, nome iniziatico di Krishnamurti, come capo nominale, e Annie Besant come protettrice. Questo ordine si proponeva di preparare un clima di venerazione e simpatia nei confronti dell’“Istruttore supremo del mondo” che stava per manifestarsi.

Il caso Alcyone provocò il distacco di Rudolf Steiner, dal 1902 segretario della sezione tedesca della Società, che fondò l’antroposofia.

La differenza con Steiner consisteva nel diverso peso dato alla tradizione orientale, alla quale Steiner - pur non negandone l’importanza - preferiva quella cristiana. Ma forse, dietro a questo conflitto, si nascondeva anche la difficile convivenza fra due personalità troppo ingombranti: Steiner, infatti “era troppo ricco interiormente, la sua visione spirituale era troppo personale e originale, le sue esperienze dirette troppo profonde perché egli potesse identificarsi in modo completo con qualunque altra corrente”22. Il confronto fra i due leader avrebbe dovuto avvenire durante il Congresso teosofico internazionale di Genova, dal 17 al 21 settembre 1911, ma la presidente decise di rinviarlo, senza spiegarne la ragione.

Steiner pronunciò ugualmente a Milano la relazione che aveva preparato in cui, pur senza nominare la Besant, allude chiaramente alla sua gestione della Società: “È importante che la ‘Scienza dello Spirito’ venga oggi esposta in modo da fondarsi il meno possibile sulla sola fede nell’autorità”23.

Steiner non fu l’unico: lo seguirono anche i gruppi della Sezione teosofica indipendente, contrari al sorgere di quella che si poteva ben definire una nuova religione. La rivista italiana Ultra avverte che “l’antagonismo tra i seguaci di Mrs. Besant e quelli del dr. Steiner è bell’e scoppiato e, ci dicono, una separazione dell’elemento in prevalenza tedesco da quello in prevalenza inglese, nella Società teosofica è inevitabile”24.

È significativo che questa spaccatura avvenisse proprio alla vigilia della prima guerra mondiale.

Il caso Alcyone si chiuse definitivamente solo quando lo stesso Krishnamurti, raggiunta nel 1929 la maggiore età, sconfessò il proprio ruolo di messia e sciolse l’ordine della Stella d’Oriente, generando nuovi sismi nella Società teosofica.

Sempre nel 1913, anno in cui Steiner uscì dalla Società, un altro personaggio famoso prese la stessa decisione, l’alsaziano Eduard Schuré, che era entrato nella Società teosofica nel 1884, dopo avere incontrato la Blavatskij e poi, uscitone dopo il “caso Coulomb”25, era stato eletto nel 1907 membro onorario dopo il successo de I Grandi iniziati. Anche questa frattura si può attribuire a una difficoltà maschile ad accettare una leadership femminile: Schuré infatti è anche autore di un altro volume di successo, Donne inspiratrici, quasi un contrappunto agli iniziati. A differenza dei protagonisti del volume dedicato agli iniziati - Krishna, Gesù, Platone ecc. - le donne a cui dedica appassionate biografie non sono personaggi autonomi, ma figure totalmente dedite ad aiutare il genio di un uomo. Mathilde Wesendonk, Cosima Liszt, e soprattutto Margherita Albana Mignaty, la sua personale ispiratrice - “essa fu per me la Suscitatrice del Dio Ignoto; colei che nel rivelarci i profondi misteri dell’Anima ci addita il nostro proprio ideale”26 - donne che vivono per suggerire intuizioni e vie spirituali a un artista, senza pensare neppure per un momento di poter occupare il posto in primo piano esse stesse.

Fra gli avversari della Besant bisogna ricordare anche i gesuiti di “Civiltà cattolica”, che dedicarono lunghi articoli alla confutazione delle sue teorie, in particolare del volume dedicato all’esoterismo cristiano27: fu senza dubbio l’unica donna a essere presa tanto seriamente in considerazione - sia pure come avversaria - in questo contesto.

Nei lunghi anni di vita in India, la Besant svolse un’intensa attività politica a sostegno dell’indipendenza di questo paese, sempre però prevista all’interno dell’orbita inglese, tanto da essere sospettata di essere un’agente del governo britannico28: nel 1914 fondò il giornale The Commonwealth e il quotidiano New India, nel 1915 ebbe un ruolo importante nella formazione del primo parlamento di Madras, e diede vigore al congresso panindiano, tanto da essere confinata, per un breve periodo, dal governo inglese. Nel 1917 fu eletta quasi all’unanimità Presidente del Congresso panindiano, carica alla quale le succedette Gandhi nel 1920, del quale - come sostenitrice di un’indipendenza da conseguirsi per via costituzionale - non condivideva la linea di disobbedienza civile.

Nel 1957, in occasione della celebrazione del 110° anniversario della sua nascita, il capo del governo dell’India Nehru, che era stato socio della Società teosofica, inviò ai Teosofi indiani un messaggio che ricordava le benemerenze della Besant nei confronti del suo paese: “Per la generazione più giovane forse essa non è che un nome e forse neppure un nome. Ma per la mia generazione più anziana, essa era una personalità gigantesca che ci influenzò grandemente. Non vi è dubbio che nella lotta per la libertà dell’India, essa ebbe una parte considerevole; oltre a ciò essa era una di quelle personalità che attrasse l’attenzione del mondo sulla nostra eredità spirituale nazionale, rendendocene orgogliosi. Dobbiamo ricordare questa grande personalità e tributare il nostro omaggio riverente alla sua memoria”29.

Senza dubbio, almeno per quanto riguardava i rapporti con l’India, la Besant aveva seguito e arricchito la linea già espressa dalla Blavatskij: valorizzazione e diffusione della cultura tradizionale indiana, ma sempre nell’ambito del colonialismo inglese. Per la democratica Besant, poi, non erano ammissibili né l’esistenza della casta degli intoccabili, né l’inferiorità delle donne indiane nella vita pubblica: oltre a creare scuole per gli intoccabili, ella si adoperò anche, e con un certo successo, a far nascere un movimento femminista indigeno e a fondare scuole femminili. È chiaro, comunque, come da ciò non poteva che nascere un conflitto con i tradizionalisti indù, da una parte, e con coloro che volevano una totale autonomia dell’India come Gandhi dall’altra.

Il messianesimo femminile

Certamente Blavatskij e Besant seppero cogliere l’aria del tempo, presentandosi come “messia donna”, venuto nel mondo per rigenerare spiritualmente l’umanità. Si trattava di un mito creato dalla cultura ottocentesca antimoderna che, durante l’Ottocento, e soprattutto in Francia, aveva contrapposto alla società borghese industriale, secolarizzata e razionale, un movimento dai caratteri religiosi e centrato su una figura femminile. Tramiti privilegiati di questa nuova sensibilità furono soprattutto gli scrittori o, più ancora, scrittrici come George Sand e George Eliot: furono infatti romanzi come Spiridion di George Sand, Romola di George Eliot, o gli scritti di Yeats, Lessing, fino a Huysmans e D. H. Lawrence, a diffondere il pensiero di un’umanità in cerca di perfezione spirituale capace di autorinnovarsi continuamente.

Una figura femminile che guida il rinnovamento spirituale è infatti al centro di molti romanzi scritti da donne: Corinna, protagonista del Voyage en Italie di madame de Stäel, che porta una corrente di spiritualità e sensibilità artistica nella vita prosaica di un giovane uomo, costituisce un personaggio di tipo nuovo ripreso dai romanzi già citati di George Sand e George Eliot, entrambi centrati su un nuovo modello femminile, quello della donna che - delusa nella sua vita affettiva - sceglie di divenire madre dell’umanità decaduta per rigenerarla. Modello che sarà fatto proprio da molte eroine del secolo. Forte infatti è la valenza mistica che traspare dalle biografie di molte militanti femministe: “si vedevano e si comportavano quasi come missionarie, portatrici di una verità, ciascuna la propria, che avrebbe redento il genere umano”30.

La conversione a questa missione veniva segnata, talvolta, addirittura da un nuovo nome o pseudonimo, come nel noto caso di Sibilla Aleramo. La femminista filantropa milanese Alessandrina Ravizza veniva chiamata la “madonna dei poveri”31, e Maria Montessori, in una lettera, riconosceva a proposito di un’altra benefattrice delle donne, Ersilia Majno, “che la sua figura sia circondata di religiosità e ne ispiri è un fatto vero”32.

Queste idee, fatte proprie dal romanticismo francese, erano all’origine di quella che Bénichou chiama l’“eresia romantica”, che consiste nel “far dipendere da una agente femminile la nuova redenzione e nel redimere anche Satana”33. Questa missione era rivendicata alla donna proprio in nome di quelle sue caratteristiche di sensibilità, devozione e carità ispiratrice che l’avevano esclusa dalla società capitalistica industriale. Di fatto, la riabilitazione delle caratteristiche considerate naturalmente femminili operata dal romanticismo creava un’uguaglianza di valore fra i sessi che per molti si sarebbe dovuta estendere - a differenza di ciò che accadeva nel cristianesimo - anche alla sfera religiosa.

Nei primi decenni dell’Ottocento, l’utopia sansimoniana si propone di inaugurare una nuova era religiosa, in cui la funzione sacerdotale sarebbe stata esercitata da una donna e da un uomo.

Secondo Enfantin, maestro del movimento e teorico della nuova religione, sarebbe arrivata una madre redentrice, una donna-messia che avrebbe portato a termine la rivoluzione spirituale appena iniziata. La donna nuova avrebbe ripetuto il beneficio di Maria, che Enfantin considera modello e patrona anche della sua dottrina sociale.

I sansimoniani cercarono nella società dell’epoca una figura femminile che potesse impersonare la “messia”: dopo avere offerto questo ruolo a George Sand, che lo declinò, mandarono - senza molto successo - degli emissari in Egitto per riconoscere fra le donne di questo paese l’incarnazione femminile della divinità.

Enfantin, che progettava un’emancipazione femminile aperta alla libertà sessuale, si spinse fino ad affermare che la coppia sacerdotale sarebbe stata investita dalla missione di controllare la vita sessuale dei fedeli e di prendervi parte secondo le necessità34. Le donne sansimoniane (circa un centinaio partecipavano regolarmente alle riunioni), sebbene non raggiungessero mai, per numero e per influenza, gli uomini all’interno dell’élite di potere del gruppo, vi svolsero un ruolo non secondario.

L’influenza dell’ideologia sansimoniana sulla cultura politica del XIX secolo - anche sul femminismo anglosassone e su John Stuart Mill - è stata ampiamente riconosciuta: “persino dopo la sua scomparsa, il saintsimonismo rimase una delle più potenti influenze emotive ed intellettuali nella società del XIX secolo, vaga, diffusa, ma sempre presente e penetrata nei posti più impensabili”35.

Sempre dalla cerchia dei seguaci di Saint-Simon nasce un’altra pseudoreligione che privilegia la figura femminile: il positivismo di Auguste Comte, fondato su un’estrema fiducia nel progresso scientifico, grazie al quale l’umanità arriva a prendere il posto di Dio. Egli istituisce una nuova trinità - Umanità, Cielo e Terra - e crea un culto femminile incentrato su una Vergine-Madre36. In questa deificazione del femminile era senza dubbio influenzato dal lungo rapporto che ebbe con Clotilde de Vaux, sua ispiratrice e destinataria di una ricca corrispondenza.

Anche un altro pensatore romantico, Jules Michelet, nell’Histoire de la Révolution dichiara che Dio è “l’onnipotente Generatore di universi, o meglio la Grande Madre, feconda, che a tratti genera i mondi e i cuori”37 rivelando il suo progetto teologico, cioè quello di conferire una natura materna alla divinità suprema. Anche in lui la scelta di una divinità femminile nasce da una ripulsa del severo padre biblico - quello impersonato dai Gesuiti - a favore di una divinità materna che favorisce la vita e la libertà.

L’unica donna che nella prima metà del XIX secolo si è impegnata in una missione politica umanitaria, Flora Tristan, rivoluzionaria e femminista militante, ha lasciato al momento della morte gli appunti per un libro sull’emancipazione della donna all’abbé Constant. Da essi si evince che credeva nel ruolo redentore della donna come guida o messia dei tempi moderni, agente di una rigenerazione sociale.

Accanto al progetto liberale di emancipazione politica e sociale delle donne rappresentato dal libro di Stuart Mill (scritto in collaborazione con la moglie Harriet) per tutto il pensiero politico utopista ottocentesco è serpeggiata l’immagine di una dea rigeneratrice dell’umanità. Il progetto di emancipazione femminile, caricato della speranza di un progresso morale e spirituale dell’umanità che ha costituito una parte integrante del pensiero femminista, ha influenzato movimenti spirituali, artistici e perfino, in un certo senso, la Chiesa cattolica per cui l’Ottocento ha significato una grande ripresa del culto mariano.

La dea salvatrice compare anche in un contesto più inquietante: quello degli occultisti, che prendono le mosse dalle teorie esoteriche dello svedese Swedenborg e dalla scoperta delle religioni orientali - specialmente quella egiziana38 - con cui li pone in contatto il colonialismo, unite alla tradizione gnostica cristiana che suppone l’esistenza di un livello nascosto, esoterico, nelle tradizioni religiose.

Il clima generale, cioè la profonda convinzione di stare vivendo un periodo cruciale nella storia dell’umanità, per gli occultisti prendeva la forma di attesa di un evento escatologico. L’occultismo si proponeva di dare la chiave del senso nascosto delle Scritture nel momento in cui le scienze sembravano incapaci di uscire dal vicolo cieco del materialismo.

Il più importante contributo teorico in questo senso viene da un personaggio complesso, l’abbé Alphonse-Louis Constant, uscito dal seminario di saint Sulpice, prima devoto di Maria39 e militante dell’estrema sinistra successivamente, ma, dopo il 1848, celebre occultista autore di opere esoteriche con il nome di Eliphas Levi. Egli afferma di avere tratto ispirazione dalle opere mistiche di madame Guyon e dal romanzo Spiridion di George Sand, in cui si diceva chiaramente che il nuovo tempo sarebbe stato il tempo della donna. Maria costituisce la figura centrale della sua interpretazione della storia: in quanto madre dell’umanità, identificata con la donna della fine dei tempi, riassume in sé tutte le figure femminili della Scrittura. Il suo rovesciamento della teologia tradizionale vede al centro Satana, assolto perché ribelle in cerca della libertà, alleato della donna che, mangiando il frutto proibito, si rivela ispiratrice di una gloriosa nobilitazione dell’umanità40.

L’umanità sarà redenta da Satana e da un angelo femminile, Ariel, il genio dell’amore, con il beneplacito di Maria Vergine: per Constant, Maria tende ad assumere il ruolo di Cristo nell’economia della salvezza41.

L’emancipazione della donna e la promozione teologica di Maria, secondo Constant, avrebbero determinato la cancellazione del peccato e la riconciliazione degli ebrei con l’ultimo dei papi.

Satana, per mediazione di Maria perdonato anche da Gesù, riprenderà il nome glorioso di Lucifero e diventerà il genio del progresso. I libri di Constant-Levi presentano quindi un sistema umanitario esplicitamente innestato in una reinterpretazione teologica del culto mariano e della figura diabolica. Come si sa, questa ammirazione per Satana è condivisa da molti artisti romantici dell’epoca42, per cui diventa l’angelo liberatore, colui che porterà gli esseri umani a una società più giusta dove i valori saranno rovesciati, e dove la donna troverà finalmente un posto degno del suo rango.

Altri bizzarri “sacerdoti di Satana” esercitarono una notevole influenza sull’ambiente letterario francese (ma non solo, basti pensare al poeta irlandese Yeats)43: Barbey d’Aurevilly, che ebbe come discepoli Huysmans, Bloy, Peladan, Lorrain ai quali bisogna aggiungere Stanislas de la Guaita, un prete spretato, l’abbé Boullan, che si rifugiò a Lione, dove viveva un mago eretico, Vintras, di cui si dichiarò successore.

La sua nuova religione, che ammetteva nel clero anche le donne, riconosceva come sacerdotessa Julie Thibault, che aveva percorso a piedi l’Europa per visitare tutti i santuari della Vergine44. Nelle sette sataniche ritroviamo quindi gli stessi elementi che costituivano il nucleo centrale delle religioni umanitarie: il sacerdozio femminile, che sottintende una emancipazione socioculturale della donna, e un’attrazione per il culto mariano.

L’Abbé Constant-Eliphas Levi fu il principale ispiratore non solo di Flora Tristan, ma anche della teosofa visionaria inglese Anna Kingsford (1846-1888) la cui rivelazione del senso ultimo delle scritture - La vita perfetta (1882) - ha ispirato molte femministe spiritualiste del mondo anglosassone45.

Ella presenta un Gesù non storico, un Cristo non cristiano, ma una sorta di principio astratto che poteva essere accettato da tutti gli esoterici46.

La Kingsford, femminista e giornalista ma anche seguace della teologia progressista del Newmann, vide nel posto crescente che la Chiesa dava a Maria un segno dei tempi nuovi. Il messianismo femminile - scrive Laurant - ha costituito “un passaggio immaginario fra la funzione profetica tradizionale e la nuova società”47. Questo passaggio ha svolto una funzione determinante per far sì che, a fine secolo, delle militanti femministe fossero poste alla guida di nuovi gruppi religiosi.

I modelli biografici di queste due protagoniste, Blavatskij e Besant, si formano e trovano eco favorevole, quindi, in un contesto di attesa per un messia donna che salvi l’umanità dalla degenerazione verso la quale la sta portando la società moderna. Queste due figure si propongono entrambe come una sorta di profetessa, investite da una missione di salvezza per l’umanità che prevede, però, anche la liberazione della donna.

Esse presentano, al femminile, quelle caratteristiche dell’uomo romantico che, secondo il filosofo Isaiah Berlin, costituiscono il lascito principale del romanticismo alla società contemporanea: la “nozione di volontà indomabile” dell’individuo, a cui tutto sembra possibile, e il fatto che questo nuovo essere umano può creare il proprio universo senza sottomettersi a regole e schemi stabiliti48.

Straordinariamente abili nel costruire il proprio personaggio di donna forte e carismatica, esse hanno cercato di imporsi come creatrici della novità più significativa: una religione nuova e una nuova cosmologia.

Caricate di un’autorevolezza che nasce dal loro ruolo spirituale, Blavatskij e Besant avranno soprattutto l’effetto di diffondere un nuovo modello di donna forte e degna di attenzione, finanche di devozione, che esercitò senza dubbio una funzione emancipatrice nei numerosi contesti in cui si muovevano (India compresa).

Note:

1. J.W. Burrow, La crisi della ragione. Il pensiero europeo 1848-1914, Il Mulino, Bologna 2002, p. 366.

2. Cfr. in proposito l’introduzione di L. Scaraffia ad A. Besant, Autobiografia. Una mistica femminista fra Otto e Novecento, Le Lettere, Firenze 2002.

3. Cfr. L. Scaraffia, A. Isastia, Donne ottimiste. Femminismo e organizzazioni borghesi dell’Italia dell’Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna 2002.

4. Burrow, La crisi della ragione, cit., p. 360.

5. Cfr. R. Guénon, Il teosofismo. Storia di una pseudo-religione, Delta Arktos, Torino 1987, 2 voll.

6. E. Bratina, Chi sono i teosofi, Accademia studi teosofici, Trieste 1995, p. 5.

7. Notizie tratte da S. Cranston, Hélène Blavatskij. La straordinaria vita e il pensiero della fondatrice del movimento teosofico moderno, Armenia, Milano 1994. Si tratta di una biografia di tipo agiografico ma ricca di notizie.

8. H.S. Olcott, Old Diary Leaves, Londra 1898, 3 voll.; C. Wachmeister, Reminiscences of H.P. Blavatsky, Theosophical Publishing Society, London 1893.

9. Olcott citato in P. Giovetti, Helena Petrovna Blavatskij e la società Teosofica, Edizioni Mediterranee, Roma 1991, p. 55.

10. Ivi, p. 49.

11. Ivi, p. 93.

12. Ivi, p. 97.

13. Il recente volume di G. Wehr, Novecento occulto. I grandi maestri dell’esoterismo contemporaneo, Neri Pozza, Vicenza 2002, contiene la biografia della Blavatskij e della Bailey, raccontate con un certo equilibrio, ma ancora lontane da un vero esame storiografico.

14. Per la biografia della Besant cfr. A. Taylor, Annie Besant: a Biography, Oxford University Press, New York 1985.

15. Cfr. A. Bravo, Madri fra oppressione ed emancipazione, in A. Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo, L. Scaraffia, Storia sociale delle donne nell’Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001.

16. J. Dixon, Divine feminine. Theosophy and Feminism in England, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London 2001, p. 5.

17. Dixon, Divinefeminine, cit., pp. 78-9.

18. Ivi, p. 177.

19. J. Saville (ed.), A selection of the social and political pamphlets of Annie Besant, A.M. Kelley, New York 1970.

20. Edizione italiana più recente: A. Besant, Autobiografia. Una mistica femminista fra Otto e Novecento, Le Lettere, Firenze 2002.

21. A. Besant in “Theosophical Voice”, maggio 1908, Chicago.

22. Giovetti, Helena Petrovna Blavatskij, cit., p. 151.

23. R. Steiner, Il Buddha e il Cristo, in Le conferenze di Milano, Milano 1912.

24. Ultra, 1912, n. 1.

25. Nel 1886 la stampa missionaria di Madras accusa la Blavatskij di essere una fraudolenta ciarlatana, e l’inchiesta Coulomb avviata nei confronti della teosofa russa dalla Società di Ricerche psichiche di Londra conferma le frodi (poi smentite qualche anno dopo). Sui rapporti fra Società teosofica e colonialismo inglese cfr. Dixon, Divine feminine, cit.

26. E. Schuré, Donne inspiratrici, Laterza, Bari 1930, p. 145.

27. Cfr. Scaraffia, Isastia Donne ottimiste, cit.

28. Guenon, Il teosofismo, cit.

29. Il testo del messaggio è riportato da Bratina, Chi sono i teosofi, cit., p. 54.

30. A. Buttafuoco, Vite esemplari. Donne nuove di primo Novecento, in A. Buttafuoco, M. Zancan, Svelamento. Sibilla Aleramo, una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano 1988, p. 157; cfr. anche in proposito R. Fossati, Élites femminili e nuovi modelli religiosi nell’Italia fra Otto e Novecento, Quattroventi, Urbino 1997.

31. V. Brocchi, La santa laica, in Luce di grandi anime. Ricordanze, Mondadori, Milano 1961, pp. 30-61.

32. Buttafuoco, Vite esemplari, cit., p. 153.

33. P. Bénichou, Il tempo dei profeti. Dottrine dell’età romantica, Il Mulino, Bologna 1997, p. 476.

34. Ivi, p. 342.

35. F. Manuel, The prophets of Paris, Harpers & Row, New York 1962, p. 153.

36. Bénichou, Il tempo dei profeti, cit., p. 349.

37. Ivi, p. 621.

38. A. Youssef, La fascination de l’Egypte. Du rêve au projet, L’Harmattan, Paris 1998.

39. La sua prima opera è una raccolta di leggende, preghiere e poesie dedicate alla Vergine.

40. Bénichou, Il tempo dei profeti, cit., p. 487.

41. F.P. Bowman, Il Cristo delle barricate, 1789-1848, Morcelliana, Brescia 1991, p. 201.

42. M. Milner, Satana e il romanticismo, Bollati Boringhieri, Torino 2000; J.B. Russel, Il Diavolo nel mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1988.

43. A. Billy, L’époque 1900, Tallandier, Paris 1951.

44. Ivi, p. 172.

45. J.P. Laurant, La femme, figure messianique au XIX siècle, in M. Casenove, La face féminine de Dieu, Noesis, Paris 1998.

46. P.A. Riffard, L’ésoterisme, Robert Laffont, Paris 1990, p. 877.

47. Laurant, La femme, cit., p. 39.

48. I. Berlin, Le radici del romanticismo, Adelphi, Milano 2001, pp.

Tratto dalla rivista: Dimensioni e problemi della ricerca storica, Vol. 2/2002, pp. 113-132

Lucetta Scaraffia è Professore di Storia Contemporanea al Dipartimento di Studi Storici dell’Università La Sapienza di Roma

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