Teosofia pratica e pratica della Teosofia

 Di: Diego Fayenz

 

Care Sorelle e cari Fratelli,

il Seminario di Studi Teosofici di Jesolo ha per tema quest’anno La chiave della Teosofia, libro tra i più semplici, ma non per questo meno importanti, di H.P.B.

Il Segretario Generale A. Girardi mi ha invitato ad affrontare l’argomento “Teosofia pratica e pratica della Teosofia” che troviamo specificatamente nel 12° capitolo.

Il capitolo inizia trattando il “dovere”… il che motiva la mia presenza qui per parlare e la vostra pazienza ad ascoltare.

Mettere in pratica la Teosofia è cosa che c’impegnerà in questa e nelle prossime vite, ma è dovere di tutti cercar di capire, quanto più ci è possibile, le profonde verità della Teosofia per migliorare noi stessi nella lunga strada del ricongiungimento con Dio, ma soprattutto per poter dare a chi ci è vicino questo nostro miglioramento come aiuto e supporto al suo proprio evolvere.

Dobbiamo vedere il lato buono delle situazioni, anche quelle più tristi, e saper rispondere in modo chiaro e semplice alle domande che ci vengono fatte sulla Teosofia.

Un esempio: l’emblema della S.T.

Siamo in grado di spiegarlo semplicemente a chi ci chiedesse informazioni in proposito?

Simboli ed archetipi stimolano l’intuizione, unica vera comunicazione con l’Assoluto. Questo spiegherebbe perché molti di noi lo tengono addosso in forme diverse (spille, ciondoli, ecc.).

- I due Triangoli intrecciati non sono un segno di religione ebraica, ma il simbolo del triplice aspetto di Dio nella sua duplice manifestazione. Il triangolo bianco con vertice verso l’alto rappresenta le tre persone divine, Padre, Figlio e Spirito Santo, Brahma, Vishnu e Shiva, Oro, Iside e Osiride. Il triangolo nero con vertice in basso rappresenta la discesa del Divino nella materia. A Amore, Sapienza e Potenza, si oppongono Odio, Ignoranza, Impotenza.

- La Croce ansata (Ankh = vita in egizio) indica la resurrezione dello Spirito dalla materia, il trionfo della vita sulla morte.

- Il Serpente è simbolo di saggezza. Nel cristianesimo sarebbe simbolo di tentazione, però Gesù dice ai discepoli di essere saggi come serpenti.

- La Svastika, parola sanscrita che significa “essere benedetto, prospero”, è un talismano, un portafortuna; indica con il movimento a destra (braccia) ed a sinistra (uncini) evoluzione e dissoluzione.

- Il Monogramma sopra l’emblema rappresenta le tre lettere sanscrite “AUM” pronunciate “OM”. Indica il Logos creatore e fa parte di mantra ed inni sacri indiani e tibetani.

- L’iscrizione attorno all’emblema “Non vi è religione superiore alla verità” è la traduzione approssimativa del motto del Maharajah di Benares “Satyat nasti paro dharmah”, dove dharmah, parola intraducibile nelle lingue occidentali, è resa come verità, ma indicherebbe piuttosto dovere religioso, o dovere morale, come disse A. Besant nel suo libro, “adempimento del dovere”.

E con questo, siamo ritornati al primo punto del 12° capitolo de La Chiave della Teosofia.

Ho detto che è importante vedere il lato positivo anche nelle cose tristi, anche nei luoghi comuni, come per esempio la necessità di rinnovamento in una società che cambia velocemente per l’accelerazione delle scoperte scientifiche. È da 50 anni che sento ripetere queste frasi, da politici e religiosi in conferenze e programmi televisivi.

Ricordo però che negli anni ‘60 Edoardo Bratina, prima ancora di diventare Segretario Generale, diceva, riferendosi alla Società Teosofica nel mondo, che si sentiva un’aria fresca di rinnovamento. Edoardo Bratina è per me esempio d’impegno teosofico e punto di riferimento costante, non solo bibliografico, delle mie relazioni, anche di questa. Mi sento coinvolto nei luoghi comuni ed allora “repetita iuvant”: la presunzione dell’uomo considera tempo massimo per la realizzazione di una cosa gli anni tra la sua giovinezza e la sua vecchiaia. Non sono questi i tempi del Logos.

Con estrema serenità possiamo quindi riferirci per sapere cosa dovrebbero fare i membri ed i Gruppi della Società Teosofica a quanto scritto da H.P.B. nel 1889 ne La Chiave della Teosofia e più specificatamente nel capitolo 12°. Cito:

“… In primo luogo applicarsi a studiare ed a comprendere le Dottrine teosofiche, affinché siano in grado di insegnarle agli altri, specialmente alla gioventù…”.

“… In secondo luogo cogliere ogni occasione per parlare agli altri di Teosofia e spiegare loro ciò che Essa è e ciò che Essa non è, in una parola sopprimere gli errori ed ispirare interesse a Suo riguardo…”.

“… In terzo luogo aiutare a divulgare la letteratura teosofica, comprando libri, prestandoli e regalandoli e persuadendo gli amici a fare altrettanto… A questo proposito H.P.B. aggiunge - un buon libro che offra agli uomini il modo di pensare, che fortifichi ed illumini l’intelligenza e li renda capaci di afferrare le verità che essi sentono solo vagamente, ma non riescono ancora a formulare - …”.

“… In quarto luogo difendere, con tutti i mezzi legittimi, la Società dalle calunnie ingiuste sparse contro di essa…”.

“… In quinto luogo, ed è il più importante di tutti, insegnare la Teosofia con l’esempio della propria vita…”.

Con queste parole H.P.B. ha tracciato un programma pratico di attività per i Gruppi ed i singoli membri volonterosi e per svolgerlo non basta una vita intera.

Cerchiamo di esaminare e di approfondire il primo e l’ultimo punto di questo programma indicativo. Dobbiamo prima precisare il significato dei termini: cosa intendiamo per Teosofia, studiare, apprendere, insegnare, vivere la Teosofia. Sembrerebbe quasi inutile chiedere in questa sede cosa intendiamo con la parola Teosofia, ma è probabile che ognuno di noi darebbe una definizione diversa. Il termine ha un suo preciso ed inconfondibile significato dal quale non dobbiamo scostarci per non essere fraintesi. La parola Teosofia nasce con i filosofi neoplatonici di Alessandria d’Egitto, Ammonio, Plotino, Giamblico, Origene ecc. per indicare un sincretismo, una sintesi tra la filosofia di Platone ed il misticismo orientale. Nei dizionari troviamo la definizione che afferma la Teosofia essere una dottrina filosofica o religiosa che ritiene la scienza delle cose divine essere infusa nell’uomo: in altri termini, che l’uomo può giungere alla conoscenza del divino mediante l’approfondimento della vita interiore, perché per il mistico rientrare in sé è come elevarsi a Dio.

Il misticismo infatti altro non è che un apprendimento immediato del Divino mediante un’esperienza intima che conosce la verità con una visione intuitiva interiore. Tale definizione generale nel metodo della conoscenza teosofica può applicarsi a tutti i mistici dall’antichità ai giorni nostri. Le dottrine oggi note con il nome di Teosofia sono una raccolta organica e sistematica delle scoperte dei singoli mistici di tutti i tempi e luoghi ed è opera essenzialmente di H.P.B., che sotto la guida dei Maestri riuscì a presentare al mondo un corpo unitario e coerente di tali insegnamenti che costituiscono la base di tutte le Religioni e Filosofie antiche.

Fino ai tempi di H.P.B. non si poteva ancora parlare di Teosofia intesa come una disciplina organica, ma soltanto come un vago misticismo senza contorni ben precisi e senza rapporti tra le diverse Scuole del pensiero mistico religioso.

Il merito di H.P.B. e dei suoi successori consiste proprio nell’aver creato una nuova scienza con tanti elementi eterogenei della più diversa provenienza in antitesi con le scuole materialistiche, rivalorizzando quanto vi è di essenziale in tutte le religioni.

Per Teosofia oggi possiamo quindi intendere “una teoria unitaria degli insegnamenti fondamentali comuni a tutte le religioni del mondo”. La parola Teoria viene usata nel suo significato specifico di investigazione o di ricerca pura conforme a determinati principi. Da questa definizione risulta evidente che la Teosofia, come ogni altra disciplina, ha due aspetti: quello teorico, oggetto di studio e quello pratico, oggetto di esperienza.

È importante il concetto di avere prima dentro di noi schemi sufficientemente chiari e, nel limite del possibile, semplici per poter insegnare qualcosa a qualcuno, dandogli un primo od un ulteriore stimolo per approfondire un qualsiasi argomento teosofico, perché l’interesse che speriamo diventi entusiasmo, può partire da qualsiasi punto della Teosofia. La spinta maggiore ognuno la troverà nell’argomento che, come per le note musicali, riuscirà a far vibrare gli armonici del proprio sentire soggettivo e personale dando una sensazione di piacere spirituale che alimenta il desiderio di andare avanti, che aggiunge appunto entusiasmo ad interessi e curiosità intellettuale.

La Teosofia, intesa come disciplina e non come un vago misticismo, consiste di diverse parti:

1) Teosofia descrittiva è la formulazione di una teoria unitaria che abbraccia un ramo specifico dello scibile, cioè la documentazione delle analogie tra le credenze dei diversi popoli. La troviamo in tutti i testi teosofici.

2) Teosofia filosofica o speculativa è l’insieme delle deduzioni e speculazioni intellettuali razionali ed intuitive che risultano dalla Teosofia descrittiva, dalla quale rimane ben distinta in quanto espressione di valutazioni individuali anche se condivise.

3) Teosofia morale è l’applicazione alla vita pratica individuale delle norme derivanti dalla filosofia teosofica dedotte da altri e da noi sui testi della Teosofia descrittiva.

Questi tre aspetti della Teosofia spesso s’ignorano a vicenda. Si può conoscere bene la Teosofia descrittiva vista quasi come una scienza, senza ricavarne una filosofia e senza applicarla alla propria vita.

Si può coltivare la mente con la filosofia teosofica, senza conoscere la Teosofia descrittiva e senza applicarla.

Si può vivere teosoficamente senza conoscere la Teosofia descrittiva, senza farsene una filosofia e senza essere nemmeno iscritti alla Società Teosofica.

Chiarito cosa si debba intendere, dal mio punto di vista, per Teosofia, non dobbiamo dimenticare il concetto centrale del suo insegnamento: la Teoria dell’Evoluzione, la teoria cioè per la quale l’Universo e tutte le cose avrebbero uno svolgimento progressivo nel tempo e nello spazio in virtù di un impulso primordiale, il passaggio dall’immanifesto al manifesto e della legge di causa-effetto, passando dal semplice al complesso mediante un incessante processo di differenziazione ed integrazione, attraverso infinite trasformazioni successive, con accumulo di esperienza ed il risveglio progressivo di intelligenza, comprensione fino all’identificazione con l’Uno.

Nel solo concetto di perfettibilità di tutte le cose, cioè dell’evoluzione, sono contenuti quindi tutti gli insegnamenti teosofici: nell’evoluzione è compresa dunque la Legge di causa-effetto, la Reincarnazione, il finalismo con il ritorno all’Uno, ecc. Possiamo quindi farci un concetto abbastanza chiaro di come la Teosofia possa essere studiata come qualsiasi altra disciplina: capire distintamente il concetto alla base dell’insegnamento, le sue premesse e le sue conseguenze e poi raccogliere quanti più dettagli possibile. Le conclusioni risulteranno allora dalle premesse e dai dati raccolti come un’intuizione spontanea.

Dalla teoria generale dell’evoluzione si può arrivare quindi ad una filosofia evoluzionistica che, abbinata alle rivelazioni teosofiche, sarà in realtà una filosofia teosofica che porterà come logica conseguenza ad una morale teosofica, cioè all’applicazione pratica nella vita individuale delle Leggi spirituali scoperte, catalogate ed intuite. Questo è il percorso possibile a chi non ha nella sua natura la possibilità di vita ed esperienza mistica.

Insegnare la Teosofia in questo modo graduale e razionale non è un’impresa facile perché presuppone una competenza specifica, specie didattica, che spesso purtroppo manca in noi stessi e nei nostri Gruppi.

L’ipotesi di una serie di studi-tipo con schemi, lucidi e registrazioni su CD, che la Sede centrale potrebbe prestare ai Gruppi che lo richiedono, sarebbe dal mio punto di vista interessante ed anche un bell’esercizio di vivere teosoficamente (50 anni fa, parlando di questo argomento, Bratina ipotizzava diapositive che tutti avrebbero potuto utilizzare. La tecnologia è avanzata ed io posso parlare di lucidi, ma siamo ancora fermi allo stesso punto!).

Il nostro individualismo ci porta a rifiutare tutta un’ipotesi per un solo punto di critica o di dissenso. Questo varrebbe probabilmente per i singoli studi-tipo e forse anche per gli uomini che tali studi tenterebbero di compilare. Ecco perché sarebbero un bell’esercizio di vivere teosofico. Tali studi dovrebbero trattare dei principale temi teosofici cercando di dimostrare che la Teosofia altro non è che la naturale estensione di nozioni scientifiche già o non ancora acquisite.

Un bell’esempio è la visione del chiaroveggente all’inizio del Novecento, che vedeva la parte più piccola della materia come una doppia catena incrociata e che poi, dopo decenni, il microscopio elettronico ha dimostrato essere la catena del DNA. Ovviamente la parte più importante di tali studi verterebbe sulla natura ed il significato della vita facendo un tentativo di collegare il noto con l’ignoto. Questa in fondo è la ricerca teosofica, dove abbiamo da un lato i fatti sperimentali della scienza e dall’altro le rivelazioni teosofiche. Con la ricerca degli anelli mancanti si può tentare di scoprire i fatti nuovi che possono armonizzare questi due estremi.

Anche in Italia, come del resto nelle Sezioni delle altre Nazioni, si avverte la mancanza di coordinamento tra gli sforzi dei singoli membri e Gruppi. Studi e ricerche interessanti vanno perduti, mentre potrebbero essere la base per ulteriori sviluppi anche in sedi diverse dalla propria. Speriamo che in tempi relativamente brevi l’informatizzazione ci aiuti a risolvere questi problemi.

È quindi evidente che lo studio e l’insegnamento della Teosofia presentano notevoli difficoltà sia per la scarsità di membri dedicati specificatamente al lavoro didattico, sia per la difficoltà stessa degli studi teosofici ed in parte anche per la mancanza di testi riferibili a quanto sopraddetto, cioè alla didattica. È assolutamente necessario pertanto che chi parla di Teosofia, specialmente ai profani, si limiti ad esporre solo quanto gli è praticamente noto e chiaramente esprimibile per non incorrere più che in errori, in facili incomprensioni.

Ogni mistico, anche ignorando completamente le scoperte fatte dagli altri, può pervenire, mediante l’intuizione, alla scoperta delle stesse verità sopraccitate. Questo spiega perché capiti, a chi s’imbatte per la prima volta negli insegnamenti teosofici, che riceva una specie di rivelazione delle cose da lui vagamente intuite. Tutti possiamo avere delle intuizioni generali che ci permettono di entrare astrattamente nella filosofia teosofica e trarre delle conclusioni riferibili alla sua applicazione morale nella vita di ogni giorno, rimanendo però estranei alla Teosofia come disciplina. La Teosofia, in questo senso, è qualcosa di concreto che non basta intuire per poterla insegnare agli altri, ma occorre studiarla e ricordare i particolari anche su un piano più basso, apparentemente banale ma più accessibile a coloro che alle deduzioni filosofiche arriveranno dopo.

Il solo fatto di leggere un libro teosofico o di ascoltare un discorso è già sufficiente talvolta ad ampliare le nostre vedute e ci aiuta ad orientare la nostra attenzione sui grandi problemi della vita. In questo modo riusciamo a comprendere qualcosa delle leggi occulte.

L’ultimo passo lo dovremmo fare comunque da soli poiché la Teosofia non si conosce se non si vivono i suoi insegnamenti e nessuna spiegazione potrà mai sostituire un’esperienza viva e personale.

Il problema riguardante l’applicazione dell’etica teosofica è lo scopo finale dell’insegnamento teosofico. A nulla valgono gli studi e le ricerche se non contribuiscono, in qualche misura, al nostro seppur piccolo e lento perfezionamento morale. Ognuno si avvicinerà ai risultati finali sui quali tutti siamo d’accordo percorrendo strade diverse più lineari o più tortuose in rapporto alla nostra natura ed al temperamento individuale. Il carattere e l’energia potenziale reale che ognuno ha nel proprio serbatoio può portare, una volta espressa, a grandi risultati per sé e per gli altri, ma anche a creare karma negativo. Anche il cristianesimo aveva sempre capito questo problema, basti pensare alla parabola del Figliol prodigo ed al detto “Grandi peccatori grandi Santi”.

Nella letteratura teosofica troviamo diversi manuali etici di grande profondità, ma la mentalità moderna, da una parte semplicemente banale e dall’altra inutilmente contorta, tende a creare difficoltà anche dove non ci sono. Anche la psicanalisi, parte del mio lavoro di psichiatra, deve essere vista come una spiegazione in più che permette di conoscere una parte nascosta di noi stessi e non come una nuova religione che crede di spiegare tutto.

Come vediamo giornalmente, si insiste sempre da più parti sulla necessità di conoscere se stessi, ma tale conoscenza non è il risultato di un esercizio mentale ma soltanto dell’attenta osservazione di se stessi ed è questa attenta osservazione che permette all’uomo di “rientrare in sé”, con riferimento al metodo mistico d’intuizione e che consente di arrivare dove il più alto ed il più profondo coincidono, attingendo la verità spirituale anche in modo intuitivo. Non a caso tali intuizioni formano il corpo delle Dottrine teosofiche, ma comunque devono essere sperimentate individualmente su noi stessi. Solo così la Teosofia può diventare qualcosa di organicamente vivo ed operante, valutando cioè più il suo aspetto psicologico intuitivo che quello occulto rivelazionistico. In questo modo la Teosofia sottolineerà un aspetto dinamico d’immediata applicazione, un’esperienza viva ed attuale che può farci comprendere e superare le piccole e grandi crisi che viviamo tutti i giorni.

Se teniamo ben presenti i tre aspetti descrittivo, filosofico e morale della Teosofia, comprenderemo perché talvolta le spiegazioni descrittive non soddisfino le necessità psicologiche di chi si trova in un momento di crisi. Talvolta la Teosofia descrittiva può avere persino un aspetto negativo distogliendoci con una spiegazione apparentemente soddisfacente da una ricerca più profonda. Ciò naturalmente non è imputabile alla Teosofia bensì all’atteggiamento passivo dell’uomo che, se in quel momento non ci fosse stata la Teosofia, avrebbe cercato in altre dottrine un aiuto alla propria sofferenza. A mio avviso chi si cimenta con l’insegnamento teosofico dovrebbe tenere sempre presenti questi fatti per poter orientare le persone verso l’auto-scoperta, anziché anticipare risposte che ognuno deve scoprire con la propria esperienza psicologica.

Risulta a questo punto evidente che vi sono una Teosofia teoretica ed una Teosofia pratica. Quella teoretica si studia e quella pratica si vive. Dobbiamo però ricordarci che anche la parte teorica è riferibile ad esperienze precedenti altrui trasformate poi in parole dai nostri fondatori.

La parte pratica consiste invece nell’osservare intelligentemente le forze che si muovono in noi per comprenderle e successivamente classificarle. Questo passaggio nel concreto avverrà comunque con una perdita del dinamismo vitale iniziale, dell’entusiasmo che noi abbiamo provato all’inizio del nostro lavoro teosofico, ma potrà servire proprio per il lavoro fatto, per ulteriori progressi nostri od altrui cercando di non creare karma negativo per nessuno.

Una delle attività più importanti dei Gruppi teosofici è quella di organizzare conferenze su problematiche attinenti la Teosofia. Una conferenza ha tre componenti : il pubblico, il tema trattato ed il conferenziere. Il pubblico va ad ascoltare le conferenze per svariati motivi: passatempo, curiosità, desiderio di apprendimento, raramente purtroppo per motivi spirituali più profondi per i quali le spiegazioni non bastano. Nelle conferenze si ripetono spesso gli insegnamenti tradizionali con alcune varianti, ma una volta appresi intellettualmente ci lasciano poco diversi da come eravamo prima. Quando invece vi è un motivo spirituale più profondo che spinge alla ricerca, vi è il pericolo che le spiegazioni della Teosofia descrittiva ci appaghino più del necessario, lasciandoci arenati nelle tranquille acque della soddisfazione intellettuale. Per questo di fronte al pubblico, ma anche ai nostri soci, il conferenziere non deve dimenticare che tutti noi nella nostra vita abbiamo vissuto dei momenti di crisi che però devono essere visti come opportunità per comprendere la nostra natura. Per questo la Teosofia deve essere in grado di orientare la ricerca individuale.

Nel 1962 ad Adyar Sri Ram disse, riferendosi all’argomento da noi trattato: “… la nostra presentazione ad ogni modo deve essere tale da applicarsi ai problemi individuali attualmente ed in relazione all’attività della mente che crea tali problemi… Il nostro dovere, come io lo vedo, consiste nell’indicare la Via alle Verità che sono eterne, non tanto in termini di simboli, che sono surrogati della realtà, ma in relazione alla vita stessa ed alla nostra coscienza interiore…”.

Non tanto in termini simbolici, aggiungerei io, visto che dopo 50 anni continuiamo ad avere gli stessi problemi, ma almeno tentando di capirli.

Il pubblico che affluisce alle nostre conferenze può essere del tutto digiuno dei problemi dello spirito, oppure può avere proprie personali conoscenze. Bisogna cercar di tenere la conferenza ad un livello comprensibile per tutti. Spiegazioni troppo tecniche possono dare alle persone che assistono per la prima volta una falsa impressione, fraintendendo le nostre spiegazioni e portandoli o a respingere la Teosofia come assurda, o accettarla come superstizione.

Il tema da trattare dovrebbe essere più spesso di viva attualità, riguardando problemi che possono essere compresi alla luce della Teosofia pratica.

L’elemento più complesso nelle conferenze è indubbiamente il conferenziere, il quale, talora, può mancare di preparazione specifica, soprattutto di metodo didattico. Mi riferisco ovviamente alle conferenze aperte al pubblico, perché tra di noi la comprensione è, si spera, più facile. Il conferenziere teosofico dovrebbe essere in grado di far nascere spontaneamente la comprensione teosofica con elementi tratti anche da esperienze individuali piuttosto che da formulazioni prefabbricate tratte dai libri, per quanto queste possano essere brillanti. Deve stimolare il concetto che la Teosofia non si conosce se non la si vive in pratica.

Per concludere vorrei dare alcuni spunti di meditazione e discussione sulla Teosofia pratica, che non è solo applicazione dell’etica teosofica alla nostra vita interiore, ma anche servizio per dimostrare che il nostro ideale non consiste solo di parole, ma anche di adesioni a nobili iniziative senza dimenticare il nostro impegno teosofico. Un esempio :la zoofilia. Tutti i teosofi sono zoofili. Soci, Gruppi, Ordine Teosofico di Servizio danno l’adesione della S.T.I. ad iniziative a favore degli animali. Le persone che aiutano gli animali in strutture organizzate nel mondo ammontano a diversi milioni. Queste persone ci sono ideologicamente vicine, perché l’amore per gli animali è una forma di fratellanza universale. Potremmo cercare di dare a questi gruppi una filosofia che giustifichi la loro compassione per le creature sofferenti. Qualcuna di loro forse entrerà in sintonia con il pensiero teosofico. Si potrebbe organizzare una Giornata Nazionale sull’argomento con conferenze contemporanee in tutta Italia sul tema: “Teosofia ed amore per gli animali”. Vi potrebbe essere la speranza, seppur lontana, di un riscontro sulla stampa nazionale che dia visibilità alla S.T.I. su un argomento né politico, né religioso, ma di profonda umanità. Questa iniziativa potrebbe creare qualche polemica anche tra noi e la polemica è il mio secondo spunto di meditazione e discussione sulla Teosofia pratica.

La vitalità della S.T.I. nei primi decenni della sua vita e la rapida diffusione della Teosofia all’epoca non furono estranee all’eterna polemica con tutto il mondo che H.P.B. e H.S. Olcott hanno sostenuto in quel periodo storico.

Il mondo è cambiato, le tecniche devono essere diverse, ma noi oggi temiamo la polemica perché non ci sentiamo preparati ad affrontarla con serenità e competenza. Ripeto serenità e competenza. Sottolineo una terza volta che serenità vuol dire cercare di non creare karma negativo.

Organizziamoci per questo scopo. Una polemica serena e competente impone una disciplina e la fatica dello studio per essere aggiornati e stare all’erta per quanto riguarda principi teosofici e la loro pratica nel mondo d’oggi. Gli eventuali attacchi che potremmo ricevere in risposta a nostre serene osservazioni ci sproneranno ad essere migliori, ci libereranno da automatismi mentali nei quali siamo intrappolati. Noi predichiamo la libertà di pensiero, ma in realtà ci offendiamo quando viene esercitata contro di noi mentre invece dovremmo coltivarla come qualcosa di prezioso che aiuta a migliorare. Questo era il quarto punto citato da H.P.B.

L’atteggiamento del teosofo dovrebbe essere quello di cercare la verità e di sostenerla indipendentemente dalle forme e dai luoghi. Per questo ricerca e polemica possono costituire strumenti indispensabili per il nostro lavoro.

In questo modo, a mio parere, vedremo sorgere nei nostri Gruppi nuova vitalità e rinnovato interesse.

Diego Fayenz è il Presidente del Gruppo Teosofico “Edoardo Bratina” di Trieste.

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