|
UN APPROCCIO SCIENTIFICO ALLE VERITA' RELIGIOSE
Di: Prof. P. Krishna
La
ricerca scientifica e la ricerca religiosa sono sempre state le due grandi
ricerche dell'umanità.
Ma tra
la gente, anche tra gli intellettuali, si è diffusa in certo qual modo la
sensazione che la scienza sia in antagonismo con la religione.
Dovremmo
esaminare se è veramente così o se questa sensazione sorge perché diamo alla
scienza e alla religione un significato piuttosto ristretto.
Lo
scopo della ricerca scientifica è quello di scoprire quale sia l'ordine che si
manifesta nel mondo esteriore dello spazio, del tempo, dell'energia e della
materia e che riguarda sia gli esseri viventi che la materia inanimata.
La
ricerca religiosa è rivolta a scoprire quale sia l'ordine nella nostra coscienza,
che è il mondo interiore della consapevolezza, dei pensieri, delle emozioni,
della mente.
Poiché
la realtà, nella sua interezza, consiste sia di materia che di coscienza,
perché mai la ricerca volta a scoprire l'ordine nel mondo esteriore dovrebbe
essere in antagonismo con la ricerca volta a scoprire l'ordine nel mondo
interiore della coscienza?
A me
sembra trattarsi di due aspetti di una sola realtà, poiché in questo universo
esistono tutti e due.
Proprio
come sento il bisogno di scoprire che cosa è vero e che cosa è reale nel mondo
esterno, sento anche il bisogno di scoprire che cosa è vero e che cosa è reale
nel mondo interiore della mia coscienza.
Sono
due ricerche complementari e tra di loro non dovrebbe esserci antagonismo.
Infatti
ci si potrebbe spingere a dire che tutt'e due fanno parte di un'unica indagine
nella verità e nella realtà.
Dividiamo
il mondo esteriore dal mondo interiore della nostra coscienza solo per
facilitare la descrizione, la comunicazione, l'analisi ma tutt'e due fanno
parte di un solo mondo, di una sola realtà, che è fatta sia di materia che di
coscienza.
Ambedue
le direzioni di ricerca hanno avuto la stessa origine nello spirito indagatore
dell'essere umano.
L'essere
umano è stato il primo animale ad avere uno spirito indagatore, che lo porta a
osservare il suo ambiente e quello che accade dentro di lui e intorno a lui;
l'essere umano osserva per scoprire, ha la tremenda curiosità di risolvere ogni
mistero.
Se ci
chiediamo: "Perché ha questa
curiosità?" non c'è risposta. Non ha sempre uno scopo, è curioso per
natura.
Lo
scopo non è il motore dell'indagine ma è un sottoprodotto; così come la
tecnologia è un sottoprodotto della scienza e non è la ragione della scienza.
La
ricerca scientifica esisteva molto prima che si sviluppasse la tecnologia.
L'uomo
si chiedeva perché il cielo è blu, perché il sole sorge e tramonta, perché gli
alberi crescono, perché esistono tante specie di esseri viventi, perché
accadono le eclissi, molto prima che sorgesse il concetto stesso di tecnologia.
Lo
scopo fondamentale della scienza è quello di scoprire le leggi che operano
nella natura, l'ordine che esiste nel mondo esterno e non quello di sviluppare
la tecnologia.
Allo
stesso modo, le domande nel campo della spiritualità e della religione sono di
questo tenore: "Chi sono io?";
"Qual è lo scopo della vita?"; "Perché dentro di noi c'è tanto
conflitto e tanta violenza?"; "E' possibile scoprire un qualche
genere di ordine nella nostra coscienza?"; "Che cos'è la morte?";
"C'è qualcosa oltre la morte?"
Da
questa ricerca, come sottoprodotto, sono state organizzate le varie religioni.
Ci
sono stati degli esseri umani, capaci di sondare in profondità, che hanno
scoperto una certa verità, un certo ordine nella propria coscienza; quest'ordine
possiamo chiamarlo amore, compassione, umiltà o quello che volete.
Dal
loro stato di chiarezza essi cercarono di comunicare la verità che avevano
scoperto, divennero dei capi spirituali e intorno a loro si costruirono le
chiese.
E poi
i seguaci inventarono vari metodi per raggiungere quelle verità spirituali di
cui sentivano parlare.
E'
così che sono nate le religioni istituzionalizzate; perciò queste sono un
sottoprodotto della ricerca spirituale, proprio come la tecnologia è un
sottoprodotto della ricerca scientifica.
Ma la
religione e la tecnologia, in se stesse, non sono lo scopo della ricerca
spirituale e scientifica.
E per
un lungo periodo, chiunque aveva la cultura necessaria per dedicarsi a questo
genere di ricerca, non faceva differenza tra ricerca spirituale e scientifica,
era interessato ad ambedue.
La
differenza cominciò a delinearsi all'epoca di Galileo e di Newton.
Nel
periodo precedente erano numerosi i grandi ingegni che si interessavano non
solo di matematica e della costruzione di nuovi strumenti ma anche di arte, di
letteratura e di filosofia. La loro indagine si estendeva a ogni campo della
vita.
Solo
nel diciassettesimo secolo, col nascere della sperimentazione, cominciò la
divisione, perché nel campo spirituale non è possibile fare quel genere di
esperimenti che si fanno nel campo scientifico.
A quel
punto la ricerca scientifica prese una svolta significativa, perché da allora
in poi si basò sempre di più sugli esperimenti e non puramente sui processi del
pensiero.
Da
allora, in qualche modo, la sensazione di antagonismo tra ricerca spirituale e
ricerca scientifica è andata crescendo e mi piacerebbe analizzarne le ragioni.
Negli
ultimi trecento anni o giù di lì, la ricerca scientifica è progredita in modo
straordinario, ha cambiato la nostra civiltà, il nostro modo di vivere e con la
tecnologia ha messo nelle mani degli uomini un grandissimo potere; tutti ne
possiamo vedere i risultati nelle telecomunicazioni, nei trasporti, nei
progressi della medicina, nelle applicazioni del potere nucleare.
La
rapidità del cambiamento del nostro stile di vita negli ultimi cento anni non
ha precedenti nella storia e questo a causa della rivoluzione industriale,
anch'essa un sottoprodotto della scienza.
Ma la
ricerca spirituale non ha tenuto il passo; quanto a comprensione di noi stessi,
l'uomo moderno sembra rimasto primitivo quasi quanto il primitivo uomo tribale.
Lo sviluppo delle nostre facoltà non è avvenuto con equilibrio.
L'intelletto
- la capacità di ragionare e di pianificare, l'intelligenza del pensiero - si è
evoluto in modo straordinario e ha aumentato l'abilità e il potere dell'uomo ma
così non è stato per l'intelligenza di usare quel potere in modo saggio.
L'uomo
è ancora primitivo, è ancora in conflitto con il suo vicino; ha la capacità di
andare sulla luna, ma non sa amare il suo prossimo. L'antica divisione tribale
ha preso la forma del nazionalismo.
C'è
ancora la guerra, siamo ancora divisi in gruppi secondo la religione, la casta,
la lingua; l'umanità è ancora infelicemente divisa come lo è stata sempre.
Perciò
il potere e la capacità dell'umanità sono diventati pericolosi, perché quando c'è potere senza saggezza il potere
viene usato male.
Anticamente,
un uomo violento poteva uccidere poche persone con arco e frecce, ora noi
possiamo decimare delle intere nazioni con una sola bomba. L'urgenza di questo
problema è enorme.
Potremmo
dire, in certo senso, che nei tempi nei quali potevamo anche permetterci di
trascurarla, la ricerca spirituale era viva, mentre ora che non possiamo
ignorarla la ignoriamo a nostro pericolo.
Perché
la ricerca scientifica è progredita tanto?
E
perché l'uomo, che pure è diventato così bravo in quel genere di indagine,
quando si tratta della conoscenza di sé, quando si tratta di cercare l'ordine
della propria coscienza, è un completo fallimento?
Se
lasciamo da parte una manciata di persone come Cristo o Buddha, che forse ci
sono arrivati per conto loro, il resto dell'umanità non ci è arrivata.
Da qui
lo sviluppo squilibrato della società, che a sua volta genera la crisi del
mondo di oggi.
Una
delle ragioni del progresso della scienza è lo straordinario ordine che c'è
nella natura.
Se non
ci fosse quello straordinario ordine, se la natura non seguisse delle leggi, se
le cose non accadessero secondo un piano ma accadessero a caso, la scienza non
si sarebbe potuta sviluppare.
La
ragione per la quale un sasso cade a terra è la stessa ragione per la quale i
pianeti girano intorno al sole e la medesima legge della gravitazione agisce
tra le galassie e le stelle nello spazio. Là c'è un tremendo ordine.
La
natura segue un piano, funziona secondo certe leggi che la scienza ha cercato
di scoprire.
Noi
non sappiamo perché le leggi esistano e perché la natura abbia proprio questo
ordine.
Gli
scienziati non hanno idea del perché ci siano dovute essere delle leggi e
perché queste leggi debbano essere universali ma hanno scoperto che è così.
Un
atomo di sodio riscaldato in laboratorio emette la stessa luce che emette lassù
nelle stelle; è per questo che, dalla luce che ci viene dalle stelle, noi
possiamo identificare quell'atomo.
Se
chiediamo: "Perché succede
così?" non abbiamo risposta.
Possiamo
solo dire: "E' una legge; è quello
che possiamo osservare".
Allo
stesso modo, c'è uno straordinario ordine nel mondo animato; ne comprendiamo un
po' in termini di leggi genetiche ma c'è ancora moltissimo che non
comprendiamo.
Poi
c'è un'altra domanda, una domanda quasi religiosa: perché la natura segue
quella particolare forma di logica evoluta dall'uomo, che egli chiama
matematica? Anche qui, non lo sappiamo.
E' una
domanda che ha indotto Sir James Jeans a immaginare che Dio deve essere stato
un matematico!
Questo
perché tutto l'universo nel mondo esterno segue un ordine che siamo stati
capaci di determinare usando degli assunti fondamentali e, con l'applicazione
della matematica e della logica, ne abbiamo ricavato dei risultati.
Abbiamo
scoperto che i risultati così ottenuti combaciano con quello che accade in
natura; ciò significa che in qualche modo nella natura opera la stessa logica.
Ma se chiedete perché è così, non lo sappiamo.
Possiamo
solo dire che tale è la natura dell'ordine che si manifesta nell'universo.
Siamo
studiosi della Natura, che ci ha dato una coscienza che è capace di osservare e
pensare.
Possiamo
scoprire delle relazioni di causa ed effetto ma non possiamo rispondere alla
domanda: "Perché
L'altra
ragione per la quale la ricerca scientifica si è sviluppata così tanto si trova
nel fatto che l'osservatore è separato dall'osservato.
Quando
la mia coscienza o i miei sensi osservano qualche cosa e fanno un esperimento
su quell'oggetto, quell'oggetto è separato da me.
Non
c'è troppa interazione tra l'osservatore e l'osservato e perciò è relativamente
facile essere obiettivi su quello che si sta osservando.
Solo
nel mondo quantico delle particelle elementari non funziona così; per esempio,
quando osservo un elettrone, lo stesso atto di osservarlo influenza lo stato
della particella.
Naturalmente,
lo scienziato è un essere umano e, se egli ha una sua propria teoria, il suo
desiderio di vederla provata come vera può essere così grande che può darsi che
egli osservi solo quei fatti che danno ragione alla sua teoria, ignorando tutti
gli altri.
In questo caso viene considerato un
cattivo scienziato. Qualcun altro ripeterà l'esperimento e scoprirà che quello
scienziato si è sbagliato.
Gli
errori si scoprono presto, perché le conclusioni di un esperimento sono messe
alla prova da altre persone. In questo modo la scienza cerca di eliminare la
soggettività di un particolare osservatore.
Si è
consapevoli del fatto che non si può lasciare che i propri desideri e le
proprie emozioni interferiscano con l'osservazione.
Questo
è relativamente facile nella scienza, perché quando per esempio si osserva un
pesce, si osserva come nuota, come vive, come si riproduce e così via, non si è
particolarmente attaccati a quello che succede e si può rimanere obiettivi.
Ma
quando veniamo alla ricerca religiosa e guardiamo noi stessi, l'osservatore è
l'osservato.
Perciò l'interazione tra l'osservatore
e l'osservato è enorme e diventa assai difficile essere obiettivi, molto più
difficile che nella ricerca scientifica.
E
nella ricerca scientifica non soltanto è relativamente facile essere obiettivi
ma in quel campo la nostra comprensione ha una natura additiva.
Quello
che Newton scoperse in un'intera vita, noi ora lo possiamo imparare in due o
tre anni all'università e partire da quello per fare ulteriori scoperte.
Il
progresso scientifico è diventato come una ruota che va avanti senza fermarsi e
che noi non possiamo fermare più, nemmeno se lo volessimo.
Ci
saranno sempre degli scienziati che, sulla base di quello che è stato scoperto
prima, continueranno a costruire qualcosa di nuovo; è la loro passione.
Perciò
continueranno a comparire sempre nuovi giocattoli, nuovi computer, nuove modalità di telecomunicazione, nuove invenzioni.
La
mente umana in quell'area è sempre innovativa e in quell'area la conoscenza
passata le è di aiuto.
Nella
ricerca religiosa, invece, la conoscenza passata non è di aiuto. Anzi, se c'è
attaccamento al passato, questo può anche essere un ostacolo.
Su
quello che il Buddha scoprì e annunciò io posso leggere dei libri e acquisire
della conoscenza sul buddismo e su tutto quello che è stato detto sul Buddha.
Tutta
questa conoscenza mi porterà a diventare un professore di filosofia buddista,
ma un professore di filosofia buddista non è il Buddha!
Non si
può arrivare a scoprire l'ordine che c'era nella conoscenza del Buddha solo
attraverso la conoscenza.
La
conoscenza di quello che il Buddha aveva visto è solo una descrizione della
verità che lui scoperse. Leggendo dei libri otteniamo solo una descrizione, non
la verità.
Perciò
lo studioso del Buddha deve ricominciare tutto daccapo, deve riscoprire quello
che il Buddha scoprì, per scoprire quell'ordine nella propria coscienza. Non lo
può imparare attraverso la conoscenza.
Quello
che serve è qualcosa che è al di là della conoscenza, cioè un insight nella verità. Senza quell'insight, che è la diretta percezione
della verità, non c'è mutazione nella nostra coscienza.
L'intellettuale
può avere tutte le domande e tutte le risposte nella sua memoria ma nella sua
coscienza non c'è trasformazione.
E' per
questo che c'è una grande differenza tra una persona erudita e un vedente, ma non c'è una differenza tanto
grande tra uno studioso della relatività, che ha imparato tutto quello che ha
scoperto Einstein e lo stesso Einstein.
Una
differenza c'è, nel senso che la sua mente può non avere quello stesso insight nella natura dello spazio, del
tempo, della materia e dell'energia che ebbe la mente di Einstein, ma quell'insight non è così essenziale.
Se
egli ne capisce le prove e le equazioni, può lavorare con quelle; nel campo
della scienza e della tecnologia basta essere a conoscenza delle equazioni e
delle prove.
L'insight è essenziale solo per la prima
persona che scopre la verità.
Se
Einstein non avesse avuto un profondo insight
nelle questioni dello spazio, del tempo, della materia e dell'energia, la sua
mente non si sarebbe imbattuta in un concetto totalmente nuovo, che non
esisteva nella fisica classica.
Nella
sua mente c'era tutta la conoscenza della fisica classica ma, allo stesso
tempo, c'era una certa libertà dal conosciuto, perché fosse possibile un insight in una verità che era totalmente
al di fuori dal campo del noto.
Tutte
le grandi scoperte scientifiche sono il risultato di questi insight.
Ma
dopo aver avuto la visione diretta di una verità, lo scienziato mette tutto sotto
forma di equazione, fa delle deduzioni e le sottopone a verifica con la logica.
Da
quel momento in poi, la nuova scoperta viene insegnata attraverso la logica e
non attraverso l'insight; cioè la
scienza viene insegnata agli studenti per mezzo della razionalità e della
logica, non viene ripetuto quello che realmente avvenne.
Nella
conoscenza e nella logica esiste una sequenza ordinata e imparare quella
sequenza è abbastanza, anche se non se ne ha l'insight!
Ma nel
campo della coscienza non è così.
Si
possono leggere tutti i libri che si vuole sulla coscienza e sulla psicologia,
ma tutta questa conoscenza non cambia in modo apprezzabile la nostra coscienza.
Quello
che cambia sono le nostre idee ma non c'è una trasformazione profonda della
nostra coscienza. Questo significa che la conoscenza non può mettere fine alla
violenza, all'avidità, al conflitto nella nostra coscienza.
Per
arrivare a uno stato di virtù, bisogna riscoprire per proprio conto la verità
nella propria vita, altrimenti si rimane alla descrizione, per quanto grande,
di una verità che un'altra persona ha visto.
A meno
di non vedere la verità per proprio conto, quella verità non agisce nella
nostra coscienza, abbiamo solo aggiunto qualcosa alla nostra conoscenza.
C'è
una differenza tra l'avere qualcosa nella nostra conoscenza e averla come parte
del nostro essere.
Per
questo forse Socrate non solo prescrisse: "Conosci
te stesso" ma fece un passo in più e disse che l'unica vera conoscenza
è la conoscenza di se stessi.
Ogni
altra conoscenza egli si rifiutò di accettarla come tale.
In
questo campo, solo quello che abbiamo scoperto per conto nostro è vera
conoscenza e non quello che abbiamo letto da qualche parte.
Naturalmente
bisogna ricordare che a quei tempi non c'era una scienza del mondo esteriore
separata da quella del mondo interiore e che egli si riferiva alla conoscenza
interiore di se stessi.
In
questo campo, la conoscenza ottenuta dai libri, dalle idee di altre persone,
dal proprio guru, ha ben poco valore.
Dico "ben poco" perché ha
almeno il valore di creare nella nostra mente delle domande.
Può
darsi che una certa domanda non sorga spontanea nella nostra mente e che sorga
dalla lettura di un libro ma non è dal libro che possiamo ottenere la risposta.
Se
accettiamo una risposta, questa diventa solo conoscenza nella nostra mente.
Abbiamo
bisogno di imbatterci nella verità per conto nostro e questa è una delle
principali difficoltà della ricerca religiosa.
Anche
nella scienza riconosciamo questa differenza; infatti gli studenti vengono
invitati a fare degli esperimenti in laboratorio per verificare per conto
proprio quello che è stato loro insegnato in classe.
L'altra
difficoltà che si incontra nella ricerca religiosa è che l'interazione tra
l'osservatore e l'osservato è così grande che è terribilmente difficile essere
obiettivi. Si tratta di una indagine molto personale.
Possiamo
illustrarlo con un esempio. Se proviamo a osservare come ci addormentiamo, la
nostra consapevolezza a mano a mano decresce, perché nel sonno non siamo
consapevoli. Perciò la mente non può osservare se stessa mentre si addormenta.
Osservando
se stessi c'è un'enorme interazione tra l'osservatore e ciò che viene
osservato, anche se in realtà non c'è divisione.
Noi
creiamo una separazione dicendo: "Io
sono arrabbiato" come se l'io fosse separato dalla rabbia. Ci sembra
che l'io sia qualcosa di separato e la rabbia una specie di malattia di cui
possiamo sbarazzarci.
Ma
bisogna mettere in questione se le cose stanno veramente così, cioè se la
persona che dice "io sono
arrabbiato" sia separata dalla rabbia. Oppure l'io è la stessa
coscienza in cui c'è la rabbia?
Quando
abbiamo una malattia, c'è un germe o un virus
che è entrato dentro di noi; c'è il nostro corpo e quella cosa estranea che è
entrata dentro.
Si
possono assumere degli antibiotici o altro che uccideranno quel germe e il
corpo se ne sbarazzerà. Avviene così per la rabbia? E per la violenza? E per
l'odio?
E' una
malattia che ci prende e possiamo fare qualcosa per sbarazzarcene? O si tratta
del mio stesso "io"?
Questo
vuol dire che la rabbia, la violenza, l'odio, finiranno solo quando finirà
l'io; perché finiscano, bisogna morire.
Qui
sorge una domanda più profonda: il "me"
psicologico può morire prima della morte del corpo?
Dunque
nella ricerca religiosa ci sono molte difficoltà intrinseche.
La
conoscenza qui non ci aiuta e inoltre mi sembra che non ci sia stata
intelligenza nella ricerca spirituale. Guardate che cosa ha fatto l'umanità!
Ci
sono stati dei grandi scienziati come Einstein, Newton, Galileo, Darwin e così
via, rispettati dagli altri scienziati e così pure ci sono stati dei grandi
maestri spirituali che molte persone rispettano, perché essi hanno scoperto un
certo stato di coscienza che è compassione e amore, che è coscienza universale,
non divisa dal resto del mondo.
Ma che
cosa hanno fatto i loro seguaci?
Hanno
detto: "Questa persona è il nostro guru, il nostro maestro, il nostro salvatore, il
nostro capo spirituale" e ne hanno fatto un oggetto di culto!
Hanno
ripetuto le loro parole e le hanno propagate e per propagarle hanno creato
delle organizzazioni che sono diventate le varie chiese. Si sono dati da fare
per diffondere il loro messaggio che, come abbiamo visto prima, è fatto di
parole, non è la verità.
I
seguaci non hanno scoperto la verità, si sono accontentati di diffondere la
parola. E' più o meno la stessa storia con ogni religione ma prendiamo per
esempio la cristianità.
Cristo
scoprì una certa verità e la descrisse nel Sermone della Montagna; i suoi
seguaci ricevettero le parole del Sermone e diffusero quelle parole, non
cercarono di scoprire quello che aveva scoperto il loro Maestro.
Invece
cominciarono a diffondere le sue parole e a definire delle regole per seguirle;
insomma si diedero da fare per formare un’organizzazione.
Poi cominciarono ad esserci
delle differenze di opinioni e i protestanti si divisero dai cattolici.
Anche solo guardando ai
nostri tempi, sono cinquant'anni ormai che nell'Irlanda del Nord i cattolici e
i protestanti combattono tra di loro e si uccidono a vicenda nel nome di
Cristo!
E' ovvio che questo non ha
niente a che fare con la ricerca religiosa.
La ricerca religiosa è volta
a scoprire l'ordine nella nostra coscienza.
Dobbiamo continuare questa
ricerca, senza organizzarla e trasformarla in una fede, senza imporre regole e
propagare queste regole.
Tutto questo non è
religione, proprio come la tecnologia non è la scienza.
Supponete che gli scienziati
avessero fatto la stessa cosa, avessero costruito un tempio a Newton e avessero
detto: "Noi siamo Newtoniani, Newton
è il nostro capo, solo quello che ha detto Newton è vero e noi lo
propagheremo" e un altro gruppo di scienziati avesse fatto lo stesso
con Einstein e avessero detto: "Noi
siano Einsteiniani"; li avremmo chiamati scienziati?
Certamente no. Avremmo
detto: "Voi dovete studiare la
scienza, dovete scoprire le leggi della natura, dovete arrivare alla
comprensione e alla conoscenza della scienza, solo allora sarete degli
scienziati".
Ma nel campo religioso, noi
siamo facilmente vittime della credulità.
Se una persona indossa un
certo vestito, compie certi riti, accende una lampada in un certo modo e così
via, lo accettiamo come un sant'uomo.
Abbiamo perduto di vista il
fatto che qui si tratta anche di una ricerca, di un'indagine.
Fino a che un essere umano
non scopre che cos'è l'ordine nella sua coscienza, non è un uomo religioso.
L'ordine non ha niente a che
fare con i riti, con i vestiti che indossiamo, con le parole che pronunciamo o
con i libri che leggiamo. Non ha niente a che vedere nemmeno con una certa
abilità o una certa conoscenza che può esserci nella nostra testa.
Ci può essere qualcuno che
sappia spiegare che cosa disse il Buddha meglio del Buddha stesso, ma rimane il
fatto che lui non è Buddha.
Se non ha messo fine alla
violenza nella sua coscienza, è un uomo come tutti gli altri. Può avere una
straordinaria abilità nello spiegare che cosa il Buddha ha detto e può darsi
che il Buddha stesso non avesse quell'abilità.
L'abilità non è importante,
quello che è importante è il cambiamento nella coscienza.
La ricerca religiosa
l'abbiamo fatta diventare una pratica nelle religioni individuali ma questa non
è la stessa cosa della ricerca religiosa.
Non c'è niente di sbagliato
in quello che il Cristo o il Buddha hanno detto ma il nostro approccio è
sbagliato, perché è illusorio; pensiamo di arrivare alla verità leggendo i loro
libri.
Come abbiamo detto prima,
nei libri possiamo trovare un invito a farci delle domande ma dobbiamo trovarne
la risposta (o la verità) per conto nostro.
La vera ricerca religiosa
consiste nell'esaminare queste domande, scoprire per conto nostro, nella nostra
coscienza, che cosa è vero e che cosa è falso, attraverso la nostra propria
osservazione, attraverso la nostra meditazione, attraverso la nostra indagine.
Solo questo porterà ordine
nella nostra coscienza, perché vi porterà comprensione e chiarezza.
Un altro fattore che ha
contribuito a impantanare seriamente la ricerca religiosa è la fede.
Per una persona che cerca la
verità, che cosa significa la fede?
Dovremmo guardarla allo
stesso modo di come gli scienziati guardano una teoria.
La teoria non è la verità;
il modello non è la realtà; dobbiamo fare degli esperimenti per scoprire qual è
la verità.
Ma quanto alla fede, noi
accettiamo qualcosa senza alcuna evidenza e questo ha ben poco valore. Anche
rifiutare totalmente qualcosa non ha valore.
Quando ascoltiamo qualche
cosa e la esaminiamo e cerchiamo di scoprire se quella cosa è vera, il lavoro
che la nostra coscienza fa cercando di stabilire se è una cosa vera ha valore.
Accettare è falso come rifiutare.
E' solo quando ascoltiamo,
consideriamo e non accettiamo né rifiutiamo in fretta, ma viviamo con la
domanda e impariamo attraverso la nostra sperimentazione, attraverso le nostre
osservazioni, che possiamo avvicinarci alla verità.
La ricerca religiosa non è
andata molto lontano perché l'abbiamo interpretata in qualità di fede e di
pratiche rituali. Crediamo che ci darà la pace mentale e che ci porterà al
divino. Questa è un'illusione.
E' come lo sbaglio di
credere che un'aspirina ci guarirà dalla malattia, mentre quello che ci dà è
solo un temporaneo sollievo.
Le pratiche di culto ci
possono procurare per un po' una certa pace della mente ma la stessa ragione
che ha recato disturbo alla mente ieri, le recherà disturbo anche domani,
perché è sempre presente la stessa causa.
Se i problemi non si
dissolvono all'origine, la causa del problema rimane ed è inevitabile
l'effetto.
La terza cosa che ci hanno
dato le religioni istituzionalizzate è un codice morale; che cosa è giusto, che
cosa è sbagliato; che cosa è bene, che cosa è male; che cosa fare, che cosa non
fare. Ogni religione ne impone uno.
Noi dobbiamo esaminare se si
può arrivare alla virtù con la pratica di azioni virtuose. Compiendo degli atti
gentili, arriveremo ad avere la gentilezza nella nostra coscienza?
Supponiamo che io diventi
vegetariano, che io non uccida gli animali, che io dia l'elemosina ai
mendicanti, che io aiuti le persone anziane ad attraversare la strada e che
faccia queste cose in continuazione; tutto ciò porterà la gentilezza nella mia
coscienza?
Oppure la gentilezza è uno
stato della mente, un modo di vedere e tutte quelle azioni seguono in modo
naturale?
Se guardiamo bene, vediamo
che ci sono dei vegetariani che sono estremamente crudeli in altri aspetti
della loro vita. La gentilezza non è dentro di loro e perciò c'è
contraddizione.
In un'area sembra che essi
siano molto gentili, perché in quell'area hanno deciso di essere così, ma la
gentilezza non è entrata dentro di loro e perciò si comportano crudelmente in
altri settori.
Una particolare azione è
diventata un'abitudine e ci si sente virtuosi senza che ci sia virtù dentro di
se. Questa è una seria difficoltà nella ricerca religiosa.
Succede lo stesso con la
violenza. Se sono aggressivo, violento, se dentro di me c'è odio, posso
praticare la non violenza?
Posso essermi fatto l'idea
che la non violenza significa non colpire gli altri e così mi trattengo dal
farlo. Mi arrabbio, vorrei dare un pugno a qualcuno, ma non lo faccio e penso
di non essere violento.
Ma nella mia coscienza c'è
odio, c'è sempre aggressività. Ho solo impedito alla mia mano di colpire. E'
questa la non violenza, o la non violenza è la fine dell'odio nella mia
coscienza?
Sicuramente la violenza
finisce quando non c'è più violenza nella mia coscienza. Finché rimango
violento e pratico la non violenza si tratta solo di autocontrollo e
l'autocontrollo è una cosa totalmente diversa dalla fine della violenza.
I comandamenti religiosi
portano tutti quanti solo all'autocontrollo. Non stiamo facendo obiezione
all'autocontrollo, che può essere necessario ma diciamo che esso non cambia la
coscienza dentro di noi.
Non possiamo raggiungere la
virtù praticando quello che noi pensiamo essere la non violenza.
L'autocontrollo non porterà mai nella nostra coscienza la comprensione e la
fine della violenza.
La virtù è uno stato della
mente; c'è virtù solo quando il disordine finisce e la violenza, la paura, la
gelosia, la possessività fanno tutte parte del disordine della nostra
coscienza.
L'ordine non lo si può
imporre con la disciplina; se facciamo così, questo fa ancora parte del
disordine, perché si tratta semplicemente di autocontrollo e l'autocontrollo fa
sempre parte del disordine.
Il bisogno di imporsi un
ordine sorge solo quando nella nostra coscienza c'è disordine; perciò l'ordine
imposto è in realtà disordine. Il controllore è lo stesso che il "controllato" ed è violento.
La repressione è violenza
contro se stessi; la violenza rimane e niente è cambiato interiormente.
Naturalmente l'azione
esterna ha la sua importanza e l'autocontrollo può rivelarsi necessario ma non
cambia nulla interiormente, dove il solo controllo non toglie il conflitto.
Se reprimiamo e combattiamo
interiormente, quello che un giorno riusciamo a controllare e superare dovrà
essere controllato tutti i giorni e la nostra vita diventa un campo di
battaglia.
Vivere costantemente in
lotta con se stessi non è una vita religiosa e il codice morale complica ancor
più le cose, perché oltre al problema della violenza si aggiunge quello del
senso di colpa; ci sentiamo in colpa ogni volta che ci sentiamo violenti.
E' da vedere poi se il senso
di colpa aiuta la nostra ricerca o è solo una reazione emotiva di rimorso, che
ci porta alla "confessione"
e tutto il resto, che è un altro modo di affrontare la situazione senza capirla
e senza risolverla.
Ogni disordine ha la sua
causa e finché esisterà la causa esisterà il disordine.
Perciò la ricerca religiosa
è un'indagine nelle cause del disordine nella nostra mente.
Proprio come lo scienziato
pulisce i suoi strumenti e le sue lenti per essere sicuro che non distorcano la
sua osservazione, l'uomo religioso deve eliminare il disordine dalla sua mente,
che è lo strumento col quale osserva.
Il disordine è causato dalle
illusioni della mente e l'illusione finisce solo con la diretta percezione
della realtà. Ma è la stessa mente che può osservare come anche creare le
illusioni.
Insomma, sono tante le
difficoltà della ricerca religiosa ma, per quanto difficile, ne abbiamo bisogno
e dobbiamo compierla.
Al giorno d'oggi, non ne
teniamo affatto conto nel campo educativo. Non viene sottolineata l'importanza
dell'autoconoscenza; non le viene dedicata nemmeno un'ora al giorno.
Siamo lasciati a sbrigarcela
da soli, forse, se possibile, con l'aiuto dei genitori o della chiesa.
Alla società non importa che
l'autoconoscenza venga proposta ai ragazzi come materia di studio; tutto quello
che vuole è che imparino come si costruisce un ponte o come si usa un computer.
Lo studente passerà circa
vent'anni tra scuola e università per imparare a usare un computer o a mandare un razzo sulla luna, perché queste cose lo
renderanno idoneo a ottenere un lavoro nella società.
Consideriamo il ragazzo un
materiale grezzo da preparare e condizionare in vista di un lavoro.
Dopo aver studiato otto ore
al giorno per vent'anni lo studente otterrà il diploma di "Master of Science", ma non saprà niente di se stesso.
Non avrà approfondito che
cosa sia il senso della bellezza, il senso della gioia, non saprà se il piacere
è o non è la stessa cosa della felicità; non saprà niente della ricerca
religiosa.
La sua coscienza prenderà
varie direzioni, vivrà nel conflitto e nella confusione, ci saranno rotture di
matrimoni e di relazioni ma alla società non importerà niente, fintantoché il lavoro
che serve alla società verrà compiuto.
Bisogna che noi scopriamo
quale tipo di educazione dobbiamo impartire per fare in modo che la mente possa
essere allo stesso tempo scientifica e religiosa.
Religiosa nel vero senso,
che non è andare alla Messa la domenica mattina in qualche chiesa; questo non
ha niente a che fare con l'essere religiosi.
La religione è la ricerca
della comprensione di se stessi, è arrivare a questa comprensione.
E' possibile, attraverso
l'educazione, aiutare i ragazzi a capire che cos'è l'arte di vivere?
L'arte di vivere è un
sottoprodotto dell'autoconoscenza, come lo è la virtù.
Conoscere se stessi
significa comprendere che cos'è il desiderio; significa scoprire qual è il
posto giusto per ogni cosa nella nostra coscienza.
Potremmo aiutare i ragazzi a
indagare nel campo religioso?
Socrate disse: "Se non indaghiamo la nostra vita, non
vale la pena di viverla".
Einstein disse: "La religione senza scienza è cieca; la
scienza senza religione è zoppa".
Se ci è rimasta una sola
gamba per stare in piedi, dobbiamo costruircene un'altra.
Al giorno d'oggi, lo
sviluppo dell'essere umano è squilibrato. Abbiamo allenato l'intelletto con
molta abilità in una direzione e in quella direzione l'intelletto funziona con
vera perizia ma è zoppo, perché ha bisogno anche di comprensione religiosa, di
amore, di compassione, di pace della mente.
In questa direzione, non ci
siamo nemmeno posti la questione nella coscienza. Come farà la coscienza a
svegliarsi?
Perché noi educatori e tutti
coloro che hanno avuto la responsabilità di mettere a punto il sistema
educativo, abbiamo ignorato questo aspetto?
E' forse perché, in nome del
secolarismo, pensiamo che non dobbiamo insegnare alcuna religione in
particolare?
In nome del secolarismo
l'abbiamo fatta finita con la ricerca religiosa; è come gettar via il bambino
insieme all'acqua sporca!
L'indagine religiosa non ha
niente a che fare con le etichette del buddismo, del cristianesimo o
dell'induismo.
La mente religiosa è una
sola ed è quella che conosce se stessa, che ha posto fine alle illusioni, è in
contatto con l'amore, con la compassione ed è libera dal conflitto. Solo una
mente simile è una mente religiosa.
Dovremmo rinunciare alla
ricerca religiosa perché ci sembra che debba necessariamente essere buddista,
cristiana o indù e perciò portare alla divisione dell'umanità?
Oppure sarebbe necessario
andare al di là di tutte queste religioni e cercare l'essenza della ricerca
scientifica?
Quelle religioni sono sorte
come sottoprodotto della ricerca religiosa; non potrebbe esserci una ricerca
religiosa senza che le si metta un nome?
Potremmo prendere in esame
le questioni sollevate da Cristo, Maometto e il Buddha, sapendo che le loro
parole hanno ben poco valore per noi se non le approfondiamo?
Non dobbiamo ridurre le loro
parole a pura conoscenza, se ci interessa percepire la verità.
Lo scienziato postula la
verità come ignota e ci si avvicina col metodo scientifico di successive
approssimazioni, migliorando il suo modello e così via.
Questo metodo non è valido
qui ma può ancora essere valido il medesimo approccio.
Cioè dico: la verità è
ignota. Non so che cos'è una mente veramente religiosa. Non so che cosa è Dio.
Non voglio fare supposizioni
né voglio accettare le speculazioni dell'una o dell'altra religione. Voglio scoprire
che cosa è Dio.
Se diciamo che Dio è ignoto,
possiamo cominciare a indagare. Nel "non
sapere" che cosa è Dio siamo tutti allo stesso livello. La realtà è
che non lo sappiamo.
Invece, se tu credi in
qualcosa e io credo in qualcos'altro, questo ci divide. Ma il fatto è che non
lo sappiamo.
Perché non avere l'umiltà di
dire: "Non lo so ma voglio
scoprirlo".
Quando sappiamo qualcosa con
molta chiarezza, come il fatto che la fiamma ci scotterà le dita, non abbiamo
bisogno di "crederci".
Noi sosteniamo una fede solo
quando non sappiamo e le fedi ci dividono e impediscono l'indagine, perciò la
fede non è religione.
Si dice: se credi in questo
sei un cristiano, se credi in quell'altro, sei un indù e così via.
Questo significa che
scegliamo un'illusione, ci attacchiamo a quell'illusione e ci mettiamo
un'etichetta!
La religione è una cosa ben
più seria che fare semplicemente parte di qualche gruppo. Quei gruppi si sono
formati intorno a delle illusioni perché, a meno di non aver scoperto la
verità, la mera speculazione è un'illusione.
E' chiaro perciò che sia la
scienza che la religione sono indagini nella realtà. Sono due ricerche
complementari. Qualsiasi senso di antagonismo tra di loro è frutto di una
visione ristretta.
La scienza ha a che fare con
ciò che si può misurare; la religione è una ricerca volta a scoprire e a
comprendere l'incommensurabile. Non è intelligente lo scienziato che nega
l'esistenza dell'incommensurabile.
Non c'è niente che sia
antiscientifico ma c'è moltissimo che è al di là della scienza. Le due ricerche
devono procedere dandosi la mano.
Non dobbiamo comprendere
solo le leggi che governano i fenomeni che accadono nel mondo esterno intorno a
noi ma dobbiamo anche scoprire qual è l'ordine e l'armonia della nostra
coscienza.
La comprensione umana è
incompleta se non copre tutti e due gli aspetti della realtà; la materia e la
coscienza.
I due campi della scienza e
della religione sono confinanti e hanno molte questioni di comune interesse.
Qui di seguito facciamo qualche esempio.
Che cos'è la coscienza? Come
ha avuto origine? E' una proprietà della materia o è una cosa a parte? La mente
è separata dal cervello e usa il cervello per operare, o la mente è il
cervello?
Questa domanda è affine
all'antica domanda: c'è un'anima che sopravvive alla morte del corpo o la morte
fisica segna anche la fine della coscienza?
Se potessimo costruire tutti
gli atomi che compongono il corpo umano e li posizionassimo al posto giusto,
questo genererebbe automaticamente la coscienza della persona così costruita,
inclusa la sua memoria, o avremmo solo un corpo inanimato?
Non conosciamo le risposte a
queste domande, che interessano sia la religione che la scienza.
L'interazione cervello-mente
ha bisogno di essere indagata sia attraverso le osservazioni scientifiche del cervello
che attraverso le osservazioni religiose della mente.
Potremmo anche formulare la
questione nel modo seguente.
Sappiamo dalla scienza che
tutta la materia è costituita da qualche centinaio di elementi, che sono
elencati nella tavola periodica.
Perciò gli esseri umani, i
cani, gli alberi, le montagne, i fiumi sono tutti costituiti dagli stessi
atomi.
Come fanno gli atomi a
sapere come comportarsi quando si trovano in una pianta, o nel corpo di un cane
o nel nostro corpo?
Sono associati con diversi tipi
di coscienza, oppure la coscienza è sempre la stessa ma il suo operare ha un
limite determinato dalle varie strutture fisiologiche?
Che cosa decide il periodo
di tempo che ci vuole per la crescita di un essere vivente e per il suo
susseguente declino?
Perché avviene che questo
periodo è di dodici anni per un cane, di sessanta o settanta anni per un essere
umano e dura parecchie centinaia di anni per alcuni alberi o per le balene? Non
lo sappiamo.
Consideriamo un'altra
questione.
Gli scienziati ora hanno
messo a punto un ragionevole modello dell'origine dell'universo.
Conoscono abbastanza bene
quali furono le condizioni iniziali che devono esserci state al momento del Big Bang e anche le leggi che hanno
governato il susseguente sviluppo dell'universo.
Ora, se ogni particella di
materia in questo universo si muove secondo certe leggi universali fisse,
allora il suo moto può essere predetto e dove si troverà nel momento successivo
dipende da come si muove adesso e da quali forze agiscono su quella particella.
Sapendo tutto ciò, potendosi
predire dove si troverà nel momento successivo, si può usare questa
informazione per predire dove si troverà un altro momento più tardi.
Poiché si può ripetere
questo processo indefinitamente, in principio si può predire dove sarà in
qualunque altro momento.
Può essere molto complicato
farlo perché ci sono troppi fattori di cui tenere conto ma questo riguarda solo
la difficoltà di fare delle predizioni.
La domanda che si pone la
filosofia è questa: "In questo
universo è tutto predeterminato?".
Se la coscienza è una
proprietà della materia, allora la coscienza deve essere predeterminata proprio
come il movimento delle particelle. Se è così, che cos'è la volontà?
Può qualcuno predire se nei
prossimi cinque minuti io uscirò da questa stanza o non uscirò? Non sembra che
si possa predeterminare. E' un paradosso; noi in realtà non lo sappiamo.
Gli scienziati ancora non
sanno che cos'è la vita né come abbia avuto origine.
Non sono stati capaci di
creare in laboratorio nemmeno un'ameba o un virus, partendo dai composti
chimici o da altra materia non vivente.
Enormi sforzi sono stati
fatti per risolvere questo mistero, ma finora non sappiamo come la vita o la
coscienza abbiano avuto vita nel mondo completamente morto della fisica.
C'è chi sostiene che le
leggi osservate e dedotte dagli scienziati fanno parte di una straordinaria
intelligenza operante nell'universo o che questa intelligenza esisteva perfino
prima che venisse in esistenza l'universo che conosciamo.
Quell'intelligenza fa forse
parte di una coscienza universale che si manifesta in tutte le cose, sia
viventi che inanimate, inclusi noi stessi? Non lo sappiamo.
Come interagisce la
coscienza con la materia?
L'universo era destinato a
produrre la vita o la vita è solo un fatto accidentale?
Ce lo chiediamo poiché
innumerevoli fattori dovevano essere presenti al momento giusto perché nascesse
la vita come la conosciamo noi.
E' un esempio di grandioso
sincronismo? Non lo sappiamo. L'ego è
un'illusione?
C'è una sua controparte
fisiologica collocata in una parte specifica del cervello?
Il Buddha,
duemilacinquecento anni fa, disse che il pensiero esiste ma non il pensatore.
Gli scienziati del cervello
non sono stati capaci di trovare un'area nel cervello che corrisponda al
pensatore, al controllore, alla volontà.
Se quest'area non c'è,
allora siamo davvero delle coscienze individuali separate o ci immaginiamo di
essere separati?
Se siamo delle coscienze
totalmente separate, come interagiamo, come rispondiamo l'uno all'altro?
Se due masse hanno bisogno
di un campo gravitazionale per agire a distanza e due cariche sono connesse da
un campo elettromagnetico, c'è allora un comune campo magnetico di coscienza
che ci connette e ci rende capaci di capirci?
Degli esperimenti
scientifici compiuti da alcuni biologi sembrano indicare che tra gli animali
che appartengono alla stessa specie ci sia una connessione simile.
Che cos'è il desiderio? Come
sorge? C'è un intervallo di tempo tra la percezione e l'origine del desiderio?
Si potrebbe allungare quell'intervallo, così che la percezione potrebbe
diventare più profonda senza che l'attenzione venga dissipata dal
desiderio? E' questo che i vedenti
religiosi intendono per libertà dal desiderio?
Che cos'è l'insight? Come fa la mente umana a
imbattersi in qualcosa di completamente nuovo, sia nel campo scientifico che in
quello religioso? Anche i computer
possono avere un insight?
Gli scienziati hanno
inventato l'intelligenza artificiale ma possono immettere nel computer anche la consapevolezza, il
senso della bellezza, il sentimento dell'affetto?
Che cosa si intende per "realizzazione della verità"?
In che cosa differisce dalla comprensione della verità? Il circuito nervoso del
cervello viene alterato dalla realizzazione della verità?
Come fa un essere umano a cambiare
interiormente? Può decondizionare il suo cervello attraverso dei profondi insight o rimane intrappolato
permanentemente nel suo condizionamento biologico e culturale?
Se la coscienza può
interagire con la materia del cervello, c'è una chiara separazione tra il mondo
interiore e quello esteriore o questi sono solo due aspetti di una sola realtà?
Tutte queste domande sono
allo stesso tempo sia scientifiche che religiose. Infatti la divisione tra la
ricerca scientifica e la ricerca religiosa è essa stessa una creazione della
mente umana.
La realtà è un solo insieme
indiviso che include sia la materia che la coscienza.
I nostri pensieri, essendo
limitati dalla nostra esperienza, dividono il mondo esterno dal mondo interiore
della nostra coscienza, allo stesso modo in cui la nostra mente divide il tempo
dallo spazio, benché essi siano due aspetti di un singolo "continuum".
Lo scienziato e l'uomo
religioso hanno ambedue bisogno di essere acutamente consapevoli delle
limitazioni della mente umana e devono trascenderle, se essi aspirano ad avere
una percezione olistica della realtà.
P. Krishna è Professore di Fisica e Rettore del Centro Educativo della "Fondazione Krishnamurti India" a Varanasi, India.
Traduzione a cura del Gruppo Teosofico “R. Hack” di Firenze.