Rapporto tra Cosmogenesi e Antropogenesi

 di: Franco Di Lodovico

Introduzione

A oltre un secolo dalla sua stesura, La Dottrina Segreta di Helena Petrovna Blavatsky rimane il punto di riferimento principale per lo studio di quella particolare forma di conoscenza che è la Theos-Sophia. Organizzata in due parti principali, la Cosmogenesi e l’Antropogenesi, suddivise a loro volta in commenti alle Stanze di Dzyan, simbologia e rapporti con le scienze, a cui poi sono stati aggiunti gli Scritti Esoterici e gli Insegnamenti Orali, La Dottrina Segreta fornisce un’impressionante mole di informazioni, di stimoli, di intuizioni, di rapporti tra varie correnti di pensiero religioso, scientifico o filosofico: una fonte inesauribile di conoscenza a cui il teosofo attinge e a cui dedica i suoi sforzi per giungere a realizzare quella Saggezza che resta tutt’ora “segreta”. Effettivamente, il titolo “Dottrina Segreta” è volutamente ambiguo: se una conoscenza qualificata come segreta venisse presentata in modo palese al pubblico, allora la qualificazione sarebbe già scaduta e quel tipo di sapienza diverrebbe accessibile a chiunque. In che cosa consiste, allora, la sua segretezza?

Da questo punto di vista, si deve riconoscere che La Dottrina Segreta, paradossalmente, non è la “Dottrina Segreta”; ne è, piuttosto, la porta d’accesso. Secondo H.P.B., il suo lavoro rappresenta la prima di sette chiavi per aprire le porte che conducono a realizzare quella vera Conoscenza che appartiene solo agli iniziati. Inoltre, per ogni porta occorrono sette mandate, ed ella ha dato solo il primo giro di chiave. In questo modo, H.P.B. ha fornito il teosofo del necessario punto di partenza per realizzare la “Dottrina Segreta”: il successivo sviluppo che inevitabilmente da lì muove, deve essere posto in atto dal singolo individuo che, con gli studi necessari, le successive riflessioni e meditazioni, sarà in grado di decodificare[1] questo potente strumento.

Questo nostro studio rappresenta uno sviluppo, seppur minimo, nella direzione appena tracciata, anche se qui vengono presentati solo i tratti essenziali di un tema che richiederebbe spazi e approfondimenti ben superiori.

La Terra

Normalmente, quando si parla di cosmogenesi ci si riferisce ad un fatto. Un fatto, certo non del tutto simile a quanto accade di norma nella nostra esperienza quotidiana: miracoloso, se si vuole, tanto da richiedere un creatore su una scala infinitamente più grande della nostra; infinito nella sua portata, tanto da includere in sé tutto il nostro orizzonte; ma pur sempre un fatto. Un fatto, ancora, accaduto in tempi veramente remoti: in principio. È naturale, quindi, che la stragrande maggioranza dei resoconti della nascita dell’universo – mitologie, testi sacri o altro – sia scritta sotto forma di racconto. Qualsiasi sia la latitudine, si parte sempre da uno spazio vuoto, informe – l’Abisso, il Caos, eccetera – in cui vengono creati e disposti con ordine gli elementi in modo tale da trasformare quello spazio iniziale nel Cosmo quale noi ora lo conosciamo. All’interno di questo movimento creativo, poi, il racconto si focalizza sull’apparizione dell’uomo sulla Terra, l’antropogenesi, per descrivere successivamente le fasi del suo sviluppo e le vicende che lo hanno portato al punto in cui ora è.

Dal punto di vista del racconto, la cosmogenesi precede, come premessa logica, l’antropogenesi, costituendone quasi il presupposto indispensabile. Va osservato, inoltre, che lo spazio letterario occupato dalla cosmogenesi è di molto inferiore a quello necessario al racconto delle vicende umane. Se consideriamo il testo sacro per eccellenza in Occidente, la Bibbia, notiamo che la parte dedicata alla formazione dell’universo è ben poca cosa, solamente il primo capitolo della Genesi, rispetto a quella che segue, da Adamo ed Eva in poi. Connaturata alla cosmogenesi vi è perciò la percezione della lontananza nei confronti della nostra esistenza: non ovviamente nel senso che noi potremmo esistere anche senza di essa, ma la lontananza dai fatti e dai problemi che coinvolgono l’umanità nel suo stadio evolutivo attuale. Una mancanza di attualità che deriva dal fatto che la creazione del cosmo viene percepita come un antecedente sì necessario, ma conclusosi molto, molto tempo fa. Di qui la maggiore attenzione nei confronti dell’origine e dell’evoluzione dell’essere umano (antropogenesi), l’analisi alla radice degli eventi che lo possono identificare in modo più preciso e univoco rispetto ad uno sguardo fin troppo generale che rischia di diventare, o perlomeno di essere percepito, come un mero esercizio teoretico.

Come è noto, secondo la Teosofia le cose non stanno in questo modo. Se esiste un racconto della creazione, questo non significa che essa sia avvenuta esattamente come è stata descritta. È stata antropomorfizzata per essere compresa e tramandata facilmente da essere umano a essere umano: gli atti creativi intervenuti sono stati trasfigurati in vicende umane.[2] La creazione dell’universo, cioè, è stata solo scritta in forma di racconto, ma nella sua reale natura lo spazio e il tempo che la riguardano non appartengono al nostro stato di coscienza: la nostra dimensione spazio-temporale non è che un aspetto particolare di quella universale.

Questo punto di vista sembrerebbe contribuire ad aumentare quella lontananza a cui prima abbiamo fatto riferimento. Tuttavia, si deve notare che modificando le categorie spazio-temporali o, perlomeno, variandone la scala, la vicinanza o la lontananza vanno misurate, sempre che lo possano essere, in tutt’altro modo.

Quanto viene descritto nelle varie mitologie, orientali o occidentali che siano, e nei testi sacri delle differenti tradizioni religiose, non deve perciò essere considerato una rappresentazione, anche allegorica, della creazione cosmologica. A tale riguardo, H.P.Blavatsky, riferendosi alla Genesi, scrive:

“I capitoli d’introduzione della Genesi, non ebbero mai lo scopo di dare una remota allegoria della creazione della nostra Terra. Essi abbracciano una concezione metafisica di un periodo indefinito dell’eternità, quando la legge dell’evoluzione fece diversi tentativi per formare gli Universi”.[3]

I vari racconti creazionisti non hanno lo scopo di trasmettere una rappresentazione della nascita degli Universi così come, analogicamente, avverrebbe a partire dallo stato di coscienza dell’essere umano. Il tempo della cosmologia è indefinito all’interno dell’eternità, e la concezione implicita in questi racconti è metafisica, nel senso più pieno del termine.[4]

Nel Proemio, H.P.Blavatsky, riferendosi alle Stanze di Dzyan, precisa:

“La storia dell’evoluzione cosmica tracciata nelle Stanze di Dzyan è la formula algebrica astratta di quell’evoluzione. Perciò lo studioso non deve aspettarsi di trovare un resoconto di tutti gli stadi e di tutte le trasformazioni sopravvenute fra i primi inizi dell’evoluzione universale ed il nostro stato attuale. Farlo sarebbe impossibile ed incomprensibile per il momento, data la sua coscienza limitata.

Le Stanze, danno una formula astratta che può essere applicata a tutta l’evoluzione: a quella della nostra Terra, tenendo conto delle ovvie differenze, all’evoluzione della catena di pianeti di cui la nostra Terra fa parte, all’Universo solare al quale quella catena appartiene e così via in scala ascendente.

Le sette Stanze esposte in questo volume rappresentano i sette termini di questa formula astratta. Essi descrivono i sette grandi stadi del processo evolutivo che i Purana definiscono come le “sette creazioni” e la Bibbia come i “giorni della creazione”.[5]

La cosmogenesi non è una storia raccontata, ma la parafrasi di una “formula algebrica astratta […] che può essere applicata a tutta l’evoluzione”. Una formulazione matematica per creare, che può essere applicata a qualsiasi dimensione, da “quella della nostra Terra”, a quella della “catena di pianeti cui la nostra Terra fa parte”, alla dimensione alla quale appartiene “l’Universo solare”, e così via.

Benché il significato che H.P.Blavatsky attribuisce al termine “algebra” o “matematica” sia diverso in alcuni aspetti da quello comunemente adoperato, molti tratti rimangono identici. La matematica, insieme alla geometria e alla filosofia, perlomeno nella gran parte delle sue suddivisioni, fa parte di quelle discipline dette teoretiche contrariamente ad altre classificate come empiriche fra le quali troviamo, per esempio, la fisica, la chimica, la biologia, eccetera. La differenza consiste nel fatto che nelle seconde la conoscenza viene acquisita facendo un costante riferimento al mondo empirico e fenomenico senza il quale, peraltro, non avrebbero ragione di esistere. Ciò non toglie che non vi sia un ambito teorico nelle discipline empiriche, ma tale ambito è sempre riferito al mondo fisico, alle cose di cui quella particolare scienza tratta, e manca solo di una conferma o verifica sperimentale. Al contrario, le discipline teoretiche non fanno in alcun modo riferimento all’ambito empirico, ai fenomeni e ai fatti del mondo fisico, ma operano interamente al di fuori di tale ambito senza alcuna necessità di verifiche e conferme sperimentali: la verità di una formulazione matematica, che non possiede variabili che denotano entità riscontrabili nel mondo, non dipende da ciò che nel mondo accade, ma dalla forma e dalla sua dimostrazione in base alle regole e alle definizioni di un determinato sistema formale.[6]

Nonostante questo suo distacco dal “mondo”, la matematica viene applicata costantemente alla descrizione dei processi che avvengono nel mondo fisico e nella formulazione delle sue leggi, su scala sia microscopica sia macroscopica. Anzi, senza l’applicazione della matematica sarebbe quasi impossibile dare una descrizione rigorosa e verace della natura: si pensi, per esempio, alla meccanica quantistica dove solo le descrizioni matematiche permettono una corretta interpretazione dei fenomeni e delle entità in quel mondo tanto lontano dai sensi.[7] Inoltre, fatto ancora più interessante, esistono equazioni che si applicano perfettamente alla risoluzione di problemi della fisica, per esempio le equazioni per lo scioglimento dei nodi, benché siano state scoperte lavorando solo all’interno del sistema formale, ovvero senza ricercare una possibile applicazione del risultato ad un particolare fenomeno.

Le scienze matematiche, nonostante ad un primo e superficiale sguardo manifestino una radicale assenza di contatto diretto con il mondo fisico, sono intimamente connesse con la realtà e la struttura del mondo, come appare evidente ad un’osservazione più profonda.

La formula algebrica di cui parla H.P.B., allora, è qualcosa di molto più concreto di quanto non possa apparire in un primo momento. Questa formula è astratta nel senso che non fa riferimento ad un determinato fatto, ma descrive metafisicamente tutti i possibili fatti. È quel Cosmo (ordine) privo di forma che solo dopo, quando viene rivestito dai sette stati di materia (le vestimenta), può divenire quello che noi ora conosciamo.

La cosmogenesi, da questa prospettiva, assume tutto un altro significato. Essa è certamente la creazione del Cosmo, dell’universo, delle galassie, sistemi solari, pianeti… di tutti quegli elementi che costituiscono la base, il fondamento della genealogia umana. Essa è sì, in definitiva, la creazione della Terra, ma non di quella terra che noi siamo abituati a vedere: quella la creiamo noi attraverso le percezioni sensoriali. Ma quella Terra invisibile, senza forma, che costituisce il fondamento metafisico di tutta la nostra esistenza: qualcosa che ci sostiene metafisicamente (una ipostasi), strettamente intrecciata nella nostra interiorità.

Noi viviamo e siamo nella cosmogenesi, ma evolviamo nelle forme dell’antropogenesi”.

I due volte sette e le Gerarchie

Una divisione troppo netta tra Cosmogenesi e Antropogenesi non trova riscontro in nessun testo sacro o racconto mitico. Per quanto riguarda sia le Stanze di Dzyan sia la Genesi,[8] si può osservare che l’uomo, o l’umanità, compare sia in quelle parti dette cosmologiche sia, ovviamente, in quelle antropologiche. Nella Genesi, per esempio, è scritto:

“E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.[9]

E, di seguito:

“Dio Creò l’uomo a sua immagine;

a immagine di Dio lo creò;

maschio e femmina li creò.”[10]

Quando Dio crea l’uomo a loro immagine e somiglianza siamo ancora nel sesto giorno della creazione, ovvero nella cosmogenesi: il primo capitolo della Genesi.[11]

Il lavoro riprende dopo il riposo di Dio nel settimo giorno, quello in cui si dice che Dio portò a termine la creazione. Il secondo capitolo si apre proprio con la creazione dell’uomo, la seconda:

“Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.[12]

Non c’è dunque una sola creazione che concerne l’uomo, ma due: la creazione di un uomo macrocosmico e quella di un uomo microcosmico.

La medesima cosa la ritroviamo nella Dottrina Segreta dove H.P.B. non parla mai della creazione, ma di due gruppi distinti di sette creazioni: la Creazione primaria e quella secondaria.[13] Il primo gruppo di sette riguarda la cosmogenesi e l’uomo che a quel livello viene creato ha dimensione appunto cosmica, mentre il secondo si riferisce all’antropogenesi e l’umanità qui trova una sua più limitata dimensione planetaria.

Un fatto che va notato nei passi citati in precedenza dalla Genesi, è che il protagonista del primo capitolo è diverso da quello del secondo. Il “Dio” che crea l’uomo a loro immagine, non coincide con il “Signore Dio”, o “Signore Iddio”, che plasma l’uomo con la terra e che soffia l’alito di vita nelle sue narici. Inoltre, la parola “Dio” e “Signore Dio” derivano dalle traduzioni dal greco, mentre l’originale ebraico parla di “Elohim” e “JHVH Elohim”.[14] Il termine “Elohim” indica una pluralità, come a dire “gli Dei” e “JHVH Elohim” indicherebbe, allora, un particolare aspetto di quella pluralità.

Un ulteriore elemento da prendere in considerazione è che in realtà non viene creato un essere umano singolo, e nemmeno una singola coppia di esseri umani – maschio e femmina li creò – ma sette gruppi distinti di uomini che vanno poi moltiplicati per due: sette per la cosmogenesi e sette per l’antropogenesi. H.P.B. parla, infatti, di due umanità: l’Umanità Elohita (il primo gruppo di sette uomini) e l’Umanità Jehovita (il secondo gruppo di sette uomini). Il gruppo Jehovita si riferisce all’umanità qui, sulla terra, anche se non limitata all’essere umano così come siamo abituati a concepirlo, ma estesa a tutti gli aspetti che l’uomo assume durante le sette Ronde sul Globo terrestre: l’intera antropogenesi. Il primo gruppo di sette, invece, riguarda la creazione dell’uomo nei piani superiori della Materia, vale a dire la creazione del Sé superiore dell’umanità ad opera delle Gerarchie Creatrici che, nei casi citati sono gli Elohim. Aspetto superiore dell’umanità, questo, che non partecipa in prima persona al percorso involutivo-evolutivo, ma ne resta in disparte, assistendo e illuminando quanto possibile il quaternario inferiore che percorre de facto il cammino.

La separazione delle Acque

La Teosofia organizza la Materia e i relativi stati di coscienza in sette piani – divisi a loro volta in sette sottopiani –, dagli stati con la densità maggiore a quelli più sottili. Tra questi si distinguono due gruppi principali: un Quaternario (fisicità, principio kamasico, principio vitale e Kama-Manas) detto inferiore in quanto occupa i livelli più densi della Materia e una Triade (Atma-Buddhi-Manas) definita superiore per il motivo opposto. Il Quaternario inferiore occupa gli stati di coscienza dotati di forma (rupa) mentre la coscienza inerente alla Triade superiore non ha forma (arupa). La distinzione tra forma e assenza di forma è inserita in modo relativo anche all’interno di un singolo piano, per esempio quello fisico, dove i quattro sottopiani inferiori (nel piano fisico: solido, liquido, gassoso ed eterico) sono da considerarsi formali al contrario dei tre superiori (supereterico, subatomico e atomico).[15]

La distinzione tra forma e non-forma ha un’estrema rilevanza per l’uomo nello stato di coscienza in cui si trova ora (il punto di svolta) e, in generale, per l’intero cammino evolutivo che è chiamato a percorrere. Riferendoci ancora una volta alla Genesi, notiamo che il passo successivo alla creazione della Luce (I giorno) è la separazione delle acque (II giorno):

“Dio disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. […] Dio chiamò il firmamento cielo”[16]

Dopo la separazione delle acque, i successivi giorni della creazione si concentrano solo sulle acque inferiori e sul firmamento (ciò che mantiene separate le acque).

Secondo H.P.B. la separazione delle acque del secondo giorno biblico rappresenta la distinzione dello Spazio (Luce) in due zone: una sensibile (forma) e una che è celata ai sensi (non-forma). Dopo avere creato lo Spazio-Luce e dopo avere operato la separazione delle acque, Elohim-Dio concentra il suo operato sulla zona inferiore e sulla forma-zione dell’universo. A nostro modo di vedere, questa divisione non dovrebbe essere pensata come due spazi separati da qualcosa, come una superficie o un solido tagliato in due: quella sarebbe una distinzione di una forma da un’altra forma che, dal nostro punto di vista, non sarebbe affatto una separazione. Sarebbe forse più utile pensare alle percezioni sensoriali e immaginare, per esempio, lo spazio visivo. Questo è uno spazio formale diverso da uno spazio informale che, però, non si vede… Ciò che non si percepisce con la vista non è detto che si trovi da un’altra parte: semplicemente non lo si vede, non lo si percepisce con gli occhi: un’onda sonora si propaga nello stesso spazio occupato dalla luce – perlomeno da un certo punto di vista – ma non la si vede. L’aria che respiriamo non la percepiamo come percepiamo le altre forme visive: ce ne accorgiamo con il tatto quanto soffia il vento oppure… quando manca.[17] Ciò che non ha forma e che di conseguenza non si percepisce con i sensi, interagisce con l’uomo e il suo cammino evolutivo tanto da vicino quanto il mondo fenomenico. Le idee guida, il progetto della nostra storia e del nostro futuro esistono hic et nunc e attraverso le Gerarchie vengono manifestate nel nostro mondo, nel nostro stato di coscienza.

Una delle affermazioni di base dell’insegnamento teosofico contenuto nella Dottrina Segreta asserisce che, per quanto riguarda l’antropogenesi, “[…] ogni cosa dotata di forma è preceduta e nasce dal mondo della non-forma. Dal mondo arupa al mondo rupa”.[18] Il fatto è anche confermato dalla priorità della formazione dei corpi sottili rispetto a quella del corpo fisico che segue gli altri solo per ultimo. Se si considera la cosmogenesi un capitolo che viene chiuso con l’apertura dell’antropogenesi, allora si perde il filo di Arianna che solo permette all’uomo di orientarsi nel labirinto evolutivo nel quale si trova. A tale riguardo, H.P.B. scrive:

“Ogni movimento, ogni atto, ogni gesto esteriore volontario o meccanico, organico o mentale è prodotto e preceduto da un sentimento o un’emozione interiore, della volontà, da un pensiero o dalla mente. Come nessun normale moto o cambiamento esteriore può verificarsi nel corpo esterno dell’uomo se non è provocato da un impulso interiore, così avviene per l’universo esterno o manifestato. Tutto il cosmo è guidato, controllato e animato da serie quasi infinite di gerarchie e esseri senzienti, ognuna con una missione da compiere e che sono i messaggeri, gli agenti delle leggi karmiche e cosmiche”.[19]

Le forme, auditive, visive e tattili sono sempre esteriori: anche le idee, la struttura mentale ed emotiva individuale sono esteriorità – le vestimenta dell’uomo – come esteriore è, infine, l’immagine che ognuno ha di se stesso. Tutto ciò che è dotato di forma è sempre un fatto esteriore. Quando H.P.B. afferma che l’universo è elaborato e guidato dall’interno verso l’esterno, chiarifica maggiormente le idee presentate in precedenza riguardo alla priorità del mondo senza forma su ciò che ha forma. Lo spazio in cui il noumeno cosmogonico vive e risiede è lo Spazio-Luce interiore proprio all’essere umano. Dopo aver mangiato il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, l’attenzione è stata diretta attraverso i sensi all’esterno, verso il mondo delle forme, dimenticando così l’interiorità.

Conclusione

Quanto detto sinora, può a buon diritto essere percepito come qualcosa che non ha un riscontro diretto con l’esperienza di tutti i giorni (e questo perché la nostra esperienza è limitata alla sfera privata, personale) o, comunque, di nessun aiuto a risolvere i problemi che l’uomo incontra quotidianamente. Quella lontananza di cui si è trattato, insomma, sarebbe rimasta inalterata anche se fosse stata ridisegnata teoreticamente. Tuttavia, qui non abbiamo trattato la cosmogenesi per darne una nuova immagine, bensì per cambiare la concezione che abbiamo dell’antropogenesi, vale a dire dell’uomo odierno.

La distinzione tra rupa e arupa, la separazione delle acque, porta alla discriminazione dell’Unità in unità separate, alla frammentazione del tutto. Questa situazione viene reiterata quotidianamente attraverso le percezioni sensoriali, il nostro accesso al mondo. Ed è qui il problema. Il mondo, la cosmogenesi, che sarebbe un fatto privo di interiorità o esteriorità in quanto non dualistico, diventa esterno e l’attualità della creazione del cosmo si trasforma in un racconto di tempi lontani (in una coscienza proiettata all’esterno e mai rivolta all’interno – Caino che ammazza Abele – si tratta di tempi effettivamente molto lontani). L’uomo, allo stato attuale, percepisce la sua immagine del mondo, l’antropogenesi (un mondo esteriore che effettivamente lui forma), ma non la cosmogenesi, che non può vedere con i sensi perché si tratta di una fatto interiore che agisce non vista attraverso di lui tramite quelle entità che la Teosofia definisce le Gerarchie creatrici.

Tutto questo discorso, quindi, trova una sua attualità solo se l’uomo comincia a risanare quelle fratture che oscurano la sua coscienza. Il primo scopo della Società Teosofica, tanto ripetuto e così tanto limitato alla sola parola “fratello”, dovrebbe indicare da sé la strada. Il nucleo della Fratellanza universale è la manifestazione in terra dell’Unità dell’Umanità, mentre l’assenza di distinzioni indicherebbe che tale Unità si riconquista riportando la coscienza nelle zone pre-formali della nostra costituzione. Questo non implica che poi non si avrebbe più a che fare con le percezioni sensoriali, con la mente discriminativa e con le altre strutture umane attualmente adoperate, ma che l’esperienza di tutto questo avverrebbe a partire dall’unità piuttosto che dalla separatività, dall’individualità anziché dalla personalità. La nostra esperienza, allora non sarebbe più privata, personale, ma umana.


 Note:

[1] A tale riguardo si considerino le importanti e nuove chiavi di lettura per le Stanze di Dzyan avanzate da Renato de Grandis nell’“Introduzione generale” a H.P.Blavatsky, La Dottrina Segreta. Edizione di studio, Vicenza 2003, (pp. 13-19).

[2] Con “essere umano” ci riferiamo all’uomo attuale, in questo preciso stadio evolutivo.

[3] H.P.Blavatsky, Op. cit., pp. 267-68, corsivi nostri.

[4] I “diversi tentativi per formare gli Universi” trovano conferma anche nella Genesi, ove si dice: “Dio vide che la luce era cosa buona […]” (Genesi, I, 4); oppure, dopo la separazione delle acque dalla terra: “E Dio vide che era cosa buona” (Genesi, I, 10), e così di seguito per ognuno dei sei giorni della creazione. Perchè dire che era cosa buona se non perché sarebbe stato possibile il contrario? Ovviamente non si rende nota di un caso del genere, ma va preso in seria considerazione il fatto che della creazione dell’umanità Egli non dice, o non dice ancora, che è cosa buona.

[5] H.P.Blavatsky, op. cit., p.57, corsivi nostri.

[6] Non si fa qui alcun riferimento alla coerenza interna di un sistema formale chiuso, oggetto delle ricerche di Kurt Gödel, e all’importanza dell’apporto fenomenico in alcune dimostrazioni e creazioni di modelli nelle ricerche matematiche di confine.

[7] In questo modo, i modelli raffigurativi, quelli cioè che permettono di ricondurre il funzionamento di un processo non osservabile direttamente (e appartenente ad un ambito in cui non valgono le leggi del mondo macroscopico) a qualcosa di familiare alla mente del ricercatore (ovvero al mondo della sua esperienza), quei modelli qui non funzionano e, se usati in modo indiscriminato, possono condurre ad un’errata comprensione di quei processi (come spesso accade nella meccanica quantistica).

[8] I due testi principali a cui facciamo riferimento in questo scritto.

[9] Genesi, I, 26 (corsivi nostri).

[10] Op. cit., I, 27.

[11] Bisogna notare che di questa prima creazione dell’uomo, Dio effettivamente dice che “[…] era cosa molto buona” (Genesi, I, 31). Il mancato giudizio a cui si faceva riferimento in precedenza si riferisce a quanto avviene nel secondo capitolo della Genesi.

[12] Op. cit., II, 7 (corsivi nostri).

[13] Queste due volte sette creazioni vengono riportate exotericamente, come avviene per esempio nei Purana, come sette creazioni soltanto, distinte, però, in due gruppi: le prime tre che costituiscono la Creazione primaria e le rimanenti quattro che formano quella secondaria.

[14] Su questo si veda: Renato de Grandis, La Donna questa sconosciuta, Centro Internazionale Studi e Ricerche Teosofiche – Adyar, Udine 1999, e Antoine Fabre d’Olivet, La langue hébraïque restitutée; trad. it. La lingua ebraica restituita, Archè - Edizioni PiZeta, Milano 2002.

[15] Benchè tali suddivisioni siano da considerarsi unicamente come strumenti di studio e di analisi della struttura della Materia e dell’uomo, e quindi veri solo in senso relativo, evidenziano quelle che sono le caratteristiche fondamentali e reali della struttura del creato.

[16] Genesi, I, 6-8.

[17] Da questa prospettiva, l’insegnamento teosofico dell’assenza di distinzione di razza, credo, sesso, casta e colore assume un’altra portata: l’assenza di distinzioni basate sulla forma porta ad un’unità che vive e si apre sul mondo senza forma.

[18] Renato de Grandis, “Nota introduttiva all’Antropogenesi”; in H.P.Blavatsky, La Dottrina Segreta. Edizione di studio, op. cit., p. 315.

[19] H.P.Blavatsky, op.cit., p. 289.

Torna a mappa del portale

Torna a homepage

Torna a pagine di teosofia

Statistiche