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La Dama, il Colonnello ed il Generale
di Riccardo Scarpa
Le
ricorrenze centenarie, legate alla manifestazione sul piano fisico di alcune consapevolezze
del Sé, sono eventi mitici, in quanto ripropongono, nel circolo del tempo, quelle
consapevolezze espresse per chi sa leggere gli eventi, oltre il velo dei fatti
storici.
Cosě, che coincidano le
celebrazioni centenarie della morte del Colonnello Henry Steel Olcott (1907) e della
nascita del Generale Giuseppe Garibaldi (1807), con giusto un secolo di differenza,
ha un senso profondo se riferito al risorgimento degli studî di teosofia in
Occidente, dopo la fine della scuola neoplatonica e teurgica d’Alessiandria,
nel IV Secolo dell’Era Volgare.
Č nota ai teosofi l’amicizia
e la condivisione profonda che ha legato Helena Petrovna Blavatschy al Generale
Giuseppe Garibaldi, culminata nella partecipazione della stessa alla battaglia
di Mentana, il 3 di novembre del 1867, nella quale H. P. B. restň gravemente
ferita, forse per salvare l’Eroe, e come lo stesso Eroe fosse simbolicamente
presente al primo incontro fra Helena Petrovna Blavatsky ed il Colonnello Henry
Steel Olcott, nella camicia rossa indossata anche allora, come usava fare assai
spesso, da H. P. B..
Quello che perň va ricordato
č come la figura dell’Eroe dei Due Mondi sia stata percepita, nel corso
dell’ottocento e del novecento, in India, in ambiente induista e segnatamente
brahaminico[1],
rilevando l’azione dello stesso come azione della Grande Loggia Bianca,
ispirazione anche pel “Risorgimento” dell’Indostan.
Sarŕ Surendranath Banerjea,
di famiglia brahaminica e partecipe del movimento sincretistico Brâhma Samâj, fondato da Râmmohan Ray, a
presentare al mondo indiano le figure di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi,
in una conferenza tenuta ad Utterpara, nel 1876.
Nel 1897 un altro aderente
al Brâhma Samâj, Lâlâ Lajpat Râi,
pubblica a Lahore, in lingua urdu, una biografia di Garibaldi, parte di una
trilogia che comprende quella del Shivajî della Gîtâ e di Giuseppe Mazzini, dove tutte e tre le figure vengono
considerate degli avatar,
incarnazioni di illuminati Maestri, discese in terra per illuminare il cammino
dell’uomo delle Nazioni e dell’Umanitŕ.
In Lâlâ Lajpat Râi i due avatar manifestano su piano fisico il
binomio ideale, archetipico, pensiero – azione, secondo il rapporto che lega il
Santo Râmdâs nell’atto di conferire la dîksâ,
l’iniziazione, al guerriero Shivajî.
Mentre la biografia del
Mazzini si conchiude colla Repubblica Romana, quella del Generale Giuseppe
Garibaldi termina coll’esaltazione della sua volontŕ testamentaria d’essere
incenerito “al modo dell’ultimo rito
degli Arî”.
Secondo la descrizione di
Lâlâ Lajpat Râi: “Garibaldi desiderava di
cuore che il suo corpo venisse bruciato […] Al momento della sua morte imperversava una tempesta mai vista prima.
Si riuscě con grande fatica a porre la salma nella terra ed a coprirla con tre
grosse pietre. E lě giacque il liberatore dell’Italia, il piů valoroso generale
e la figura piů generosa d’Italia, e sempre aspetta che qualche amico fedele lo
tiri fuori di lě e, secondo il desiderio di Garibaldi, compia l’ultimo rito, al
modo dell’ultimo rito degli Arî”. La tempesta, in quel 1882, fu piů
politica che metereologica, e fu la caparbiamente dogmatica posizione della
Chiesa Cattolica Romana, che adoprň tutti i suoi mezzi di pressione per
impedire il rito di cremazione, sulla pira omerica, ed indusse il governo
italiano dell’epoca, per non esasperare lo scontro, ad imporre l’inumazione
sotto quelle pesanti pietre del sercofago di Caprera.
Qui occorre notare come il
rituale chiesto da Giuseppe Garibaldi nei suoi testamenti fosse,
sostanzialmente, quello poi eseguito per il corpo del Colonnello H. S.
Olcott nel 1907: non un forno crematorio
ma la pira antica, all’aria aperta, ed il dono delle ceneri agli elementi,
almeno per la gran parte.
Č, perň, per noi d’obbligo,
in queste righe, almeno ricordare l’editoriale sul Giorno anniversario del centenario della nascita di un eroe,
dedicato a Garibaldi, uscito nell’anno della morte del Colonnello H. S. Olcott,
il 1907, sul settimanale “Kesarî”,
cioč Il Leone, ad opera di Bâl
Gangâdhar Tilak.
In esso il Generale Giuseppe
Garibaldi viene descritto, sulla scorta di Lâlâ Lajpat Râi, come Vibhűti, al pari del Shivajî della Gîtâ, cioč come manifestazione di poteri
creativi di natura divina, attivi in lui come Desabhakta, il devoto della nazione, porsi sul piano sociale del Devabhakta, il devoto a Dio.
Garibaldi č il Râstrabhakta Vira, l’eroe nazionale che
prepara il sacrificio nell’Homakunda,
la buca dove s’accende il fuoco rituale.
Il Risorgimento d’Italia č
assimilato, per valore e significato spirituale, al sacrificio vedico ed alla
guerra epica descritta nel poema del Mahâbhârata.
Visione che ricorre anche
nella biografia di Garibaldi edita a Baroda sotto il sovrano marâthâ Sayâjirâo
III Gâekvâd, per ispirazione di Aurobindo Ghosh.
Č una prospettiva, la
visione induista non solo della figura di Giuseppe Garibaldi, ma anche
dell’essenza spirituale del Risorgimento d’Italia, col suo ruolo profetico pel
Risorgimento dell’India e l’opera teosofica del Mahatma Gandhi, che incardina
nella tradizione nazionale l’opera particolare della Societŕ Teosofica
Italiana, e l’opera di Oliviero Boggiáni, Colonnello degli Alpini, cioč di quel
corpo di fanteria scelta, ideato nel 1866 dal Generale Giuseppe Perrucchčtti
per la difesa in montagna, anche sulla scorta dello spirito dei garibaldini
Cacciatori delle Alpi.
[1] Cfr. G. Borsa e P. Beonio Brocchieri, a cura di, Garibaldi, Mazzini e il Risorgimento nel risveglio dell’Asia e dell’Africa, Milano 1984.
Tratto da: