La consapevolezza dell'uomo in una foresta di simboli

 Di:  Pietro Francesco Cascino

Dal momento in cui si è concretizzato nel mondo un sistema cerebrale che permettesse di elaborare informazioni da trasmettere all’esterno del corpo in cui tale sistema era contenuto si è manifestata la necessità di creare un mezzo che consentisse al soggetto di comunicare ed essere compreso da “altri” soggetti. Per ottenere una comunicazione tra due o più individui il cervello, dal più semplice in poi nei gradini della scala evolutiva ha, così, elaborato dei “gesti” convenzionali ai quali si sono aggiunte immagini, nel tempo arricchitesi di colori e suoni fino alle più complesse elaborazioni linguistiche dell’uomo che, grazie alla loro semplicità ed alla capacità di esprimere un concetto ricollegabile immediatamente a qualcosa di concreto ha fornito agli individui della stessa specie la chiave di lettura per ottenere una interpretazione univoca. Tutti comunichiamo per mezzo di simboli che esprimono l’essenza dell’idea contenuta nel messaggio trasmesso che, così, viene facilmente riconosciuta e fatta propria dal destinatario o destinatari del messaggio. Ogni oggetto o azione contiene in sé una forma simbolica. I simboli costituiscono, in tal modo, il telaio su cui si reggono pensieri, desideri e comportamenti. Essi rappresentano la realizzazione di un linguaggio universale che permette di unire la conoscenza interiore a quella esteriore.

Georg Groddeck, sull’argomento, ne  Il libro dell’Es  così si esprime: “… i simboli non sono inventati; esistono, appartengono all’alienabile patrimonio dell’umanità ed anzi si potrebbe dire che tutti i pensieri e le azioni coscienti sono la conseguenza inevitabile del processo inconscio di simbolizzazione, e che la vita dell’uomo è governata dai simboli”.

         Il simbolo appare qui come una costruzione della psiche. Di conseguenza, comprendere il linguaggio dei simboli significa comprendere meglio sé stessi ed il prossimo; così come dimostra la psicologia della comunicazione non verbale nella quale si afferma che la conoscenza dell’uso dei simboli serve a raffinare un modo di comunicare. Infatti la comunicazione simbolica agisce in modo profondo ed inconscio sull’osservatore inducendo emozioni e sentimenti di vario genere.

Il simbolo è il mezzo per unire o ricongiungere due parti separate; infatti la parola “simbolo” deriva dal latino symbolum e precedentemente dal greco sùmbolon che approssimativamente vuol dire mettere insieme due parti distinte che possono combaciare perfettamente, in origine facenti parte di un unico oggetto e successivamente separate. D’altra parte il concetto profondo ed esoterico del simbolo è contenuto nell’espressione binaria della natura, quindi nella sua dualità e nell’esigenza della riunificazione dei due elementi fondamentali che la compongono; elementi che pur si esprimono in forme apparentemente diverse.

Una delle caratteristiche peculiari dei simboli è, infatti,  quella della loro dualità: due significati diversi, spesso opposti, sono contenuti in un simbolo, spesso corroborandosi a vicenda, senza negarsi l’un l’altro e la loro semplicità è sinonimo di universalità.  

L’uomo, nella vita quotidiana ed apparente è immerso in un oceano di simboli convenzionali matematici, geometrici, tecnico-scientifici, segnaletici; ma anche di simboli che uniti costituiscono un emblema, uno stemma o un’insegna araldica.

Questa “full immersion”  fa sì che l’Umanità sia coinvolta nella sua totalità attraverso una rete di invisibili legami costruiti secondo una geometria variabile che pur se apparentemente caotica ricongiunge tutti gli esseri sintetizzandoli nell’unità.

"Le figure geometriche rappresentano la struttura, l’ossatura della realtà. Il linguaggio dei simboli rende visibili i legami e le corrispondenze tra ogni cosa e le creature dell’Universo, e rivela la profonda unità della vita dove tutto è unito e funziona in perfetta armonia" (O.M.Aivanhov in Il linguaggio delle figure geometriche)".

Si hanno dei simboli “profani” che si collegano all’oggettività delle cose, e dei simboli che, diversamente, si ricollegano alla parte profonda dell’essere, alla parte soggettiva, all’essenza, all’aspetto spirituale, quindi agli archetipi; tali sono i simboli religiosi.

L’uomo per comunicare per iscritto utilizza simboli alfabetici che rappresentano singoli suoni linguistici, oppure ideogrammi nei quali il simbolo grafico è corrispondente ad una parola o ad un concetto. Sia la lingua cinese che la giapponese sono scritte tramite ideogrammi, come avveniva per l’egiziano antico che definiva un  sistema di  segni convenzionali (i geroglifici) strutturato in modo da essere compreso da uomini di idioma differente. L’alfabeto è una serie di simboli grafici posti secondo un ordine ben preciso che servono a rappresentare le parole di una lingua. La parola alfabeto deriva etimologicamente dall’unione dei nomi delle due prime lettere dell’alfabeto greco Alpha e Beta. Si ritorna anche qui al concetto originale di unione di due parti distinte pur tuttavia complementari cioè poste a completamento l’una dell’altra.

"Al di là delle lingue, delle etnie, delle culture, esiste un linguaggio trasversale le cui tracce si ritrovano da un luogo all’altro, da un periodo storico all’altro: il linguaggio dei simboli. Il simbolo per definizione è ciò che unisce...sicché quello dello studio dei simboli è un viaggio attraverso i secoli e i continenti ma, soprattutto, per chi ne ha il coraggio rappresenta il viaggio supremo: quello dentro di sé. Non è difficile trovare nello studio dei simboli di ogni tempo, in una cattedrale o in un tempio...in una piramide o in un testo di astrologia"

 (Guenon da http://www.prana2001.it/simboli.htm).

Secondo l’approccio speculativo filosofico l’uso del simbolo ha trovato una funzione rilevante nel neoplatonismo e nelle prospettive della teologia mistica cristiana. Nell’emanatismo plotiniano ogni grado è l’immagine simbolica del grado superiore. Tale teoria si basa sul rapporto di continuità tra Dio ed il mondo. Plotino definisce lo schema ciclico della derivazione dall’Uno, secondo una scala di inferiorità che percorre i gradi dello Spirito, dell’Anima e della Materia, ed il ritorno dell’inferiore al Superiore, reso possibile perché nell’anima individuale umana sono immanenti tutti gli altri gradi. Metaforicamente questo ciclo è rappresentabile come passaggio dalla Luce all’ombra e ritorno alla Luce.  In tale contesto si pone anche la differenza tra simbolo e allegoria. Mentre il primo esprime staticità e concretezza e viene interpretato intuitivamente, la seconda utilizza le qualità di elaborazione intellettuale dell’uomo il quale attraverso un ragionamento mentale del tutto soggettivo interpreta e dà  concretezza ad un idea astratta. Nel simbolo il significato è già contenuto nell’immediatezza sensibile mentre nell’allegoria necessita di una convenzionalità linguistica in quanto appartiene alla sfera del  lògos. Nel simbolo è racchiuso uno sfondo metafisico di segrete affinità tra il mondo visibile (concreto) e l’invisibile (divino) che si compenetrano reciprocamente. Nella tradizione cristiana, invece,  il rapporto del simbolo con l’allegoria è determinato dal peso di volta in volta assunto dalla coscienza teologica nella storia. Là dove è stata più forte l’influenza teologica il simbolo ha lasciato posto all’allegoria testimoniando una frattura tra l’umano e il divino così come il simbolo aveva lasciato il posto all’allegoria nell’esegesi biblica <<figurale>> (H. de Lubac, Esegesi medioevale, 1959) oppure nell’arbitrarietà del significato allegorico barocco (Walter Benjamin, Origine del dramma barocco tedesco, 1928). Il simbolo è, così, nettamente prevalso negli indirizzi teologici di derivazione neoplatonica, meno inclini a porre il problema della storia e della mediazione mondana al centro dell’incontro tra l’uomo e Dio. In tale ambito il simbolo rappresentava un mezzo atto a penetrare l’infinita ricchezza dell’unità divina.

In quanto dato immediato della coscienza, il simbolo determina sia l’attività subconscia dell’uomo sia le più nobili espressioni della vita spirituale ed anche in un ambiente meno religioso come quello della società occidentale moderna si può parlare anche di un uomo che, seppur profano è produttore di simboli; si tratta però di simboli degradati che non essendo spesso consapevolmente riconosciuti non possono svolgere pienamente la loro funzione di mezzo per ricongiungersi al Tutto.  Solo il simbolo religioso se è vissuto consapevolmente nella pienezza del significato attiva quel centro psichico che permette all’uomo religioso di vivere una vita pienamente regolata da paradigmi divini.

“Il finito diventa infinito, pur mantenendo le sue proprietà ed anche l’oggetto si trasforma in qualcosa d’altro, pur rimanendo tale.  Il simbolo assume la funzione di  mezzo per trasformare un oggetto o un atto in qualche cosa di diverso da quel che sono nella prospettiva dell’esperienza profana. Nell’esperienza mistica, la natura è tutta divina, tutto è archetipo, tutto è ierofania (ciò che mostra il sacro),  non esiste più sopra e sotto: Per i «primitivi» in genere non esiste una differenza netta fra «naturale» e «sovrannaturale», fra oggetto empirico e simbolo. Un oggetto diviene «se stesso» (cioè incorpora un valore) nella misura in cui riproduce un archetipo, e nella misura in cui rende evidente la complementarità tra sacro e profano. I simboli, quali segni di una realtà trascendente, annullano i loro limiti concreti, cessano di essere frammenti isolati, per integrarsi in un sistema. Dato che l’uomo dispone di una facoltà creatrice di  simboli di cui esso è l’unico fruitore, tutto ciò che compie è simbolico e ciò lo porta ad interpretarsi come simbolo in una esperienza esistenziale che gli consente di sentirsi parte di quella rete di  simboli per eccellenza che è l’universo. L’uomo non sente più di essere un frammento impermeabile, è invece un Cosmo vivo, aperto a tutti gli altri Cosmi vivi che lo circondano

 Mircea Eliade, Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, TEA, 1993.

L’uomo, dunque, durante tutta la sua esistenza attraversa una foresta di simboli dei quali è esso stesso l’artefice ed è più o meno consapevolmente un simbolo lui stesso. Tale consapevolezza viene acquisita con gradualità seguendo un percorso di conoscenza dei simboli e del simbolismo legato al mondo che lo circonda. Un mondo fatto di oggetti, pensieri, atti, immagini, parole ai quali viene dato un valore simbolico; un valore che va oltre le apparenze e che, se correttamente e pienamente riconosciuto consente di coglierne l’essenza ed il significato più profondo. L’uomo si considera un simbolo generalmente per ciò che fa; ma lo è a prescindere. Si rende conto, l’uomo, di avere un forte valore simbolico quando giunge a comprendere se stesso globalmente e percepire il suo Essere più profondo. Da quel momento l’uomo è pienamente sé stesso e può varcare la soglia che lo porta oltre ogni simbolo in quanto dei simboli non ne ha più bisogno. Ormai è giunto fuori da quella foresta che gli oscurava in parte il Sole. E’ infine giunto nella luce piena e nella piena consapevolezza d’essere parte di quel Sole….  

Il potere dei simboli, in fondo, è così forte da poter ancora oggi parlare direttamente al cuore di chi li sappia ricevere: e il Sole ci comunica chiaramente ancor oggi, nella sua maestosa grandezza, l’impressione netta del divino che tutto avvolge.

Il simbolo del Sole occupa una parte centrale in ogni tradizione. L’astro luminoso dà vita, luce e calore: è l’epifania suprema del divino. Rappresenta la gloria, lo splendore e il trionfo. Dante afferma che «non esiste cosa visibile, in tutto il mondo, più degna del Sole di fungere da simbolo di Dio, poiché esso illumina con vita visibile prima se stesso, poi tutti i corpi celesti e terreni».

Giuliano Flavio Imperatore nel suo Inno a Helios re aveva scritto: «L’universo che vediamo dall’eternità sussiste intorno ad Helios, ed ha come sua dimora la luce che avvolge il mondo dall’eternità, e non ora sì e talvolta no, e nemmeno in modo diverso secondo i tempi, ma sempre nello stesso modo».

Al di là di qualunque possibile dissertazione possa essere esposta sull’argomento, in estrema sintesi si può affermare che il sentiero tracciato da ogni uomo nella simbolica foresta è segnato dall’esperienza da questi vissuta attimo dopo attimo lungo l’arco della sua vita e dall’insegnamento che ne ha ricevuto. Tra le osservazioni che riguardano il tema trattato ne aggiungo una piuttosto significativa, scritta dal Fratello Edoardo Bratina, che ho estrapolato da un brano pubblicato sulla R.I.T. del dicembre 1978:

 “ ….La nostra mente analitica fraziona tutto quello che osserva e fissa delle istantanee o immagini mentali che sono soltanto dei simboli verbali di un perpetuo divenire, che per essere compreso deve essere vissuto di momento in momento con la totale presenza di sé… Per comprendere la Realtà integrale si deve andare al di là del simbolo verbale, sganciandosi dalle forme stereotipe e coglierla nel suo divenire, senza cercare di ridurla nei termini della propria minuscola dimensione, che invece va inserita nel contesto universale dell’esperienza vissuta….” Dr. Edoardo Bratina (Segretario Generale della Società Teosofica Italiana dal 1971 al 1995), pubblicato sulla Rivista Italiana di Teosofia  nel dicembre 1978.

Bibliografia

O.M. Aivanhov  Il linguaggio delle figure geometriche".

Guenon da http://www.prana2001.it/simboli.htm.

H. De Lubach, Esegesi medioevale, 1959

Walter Benjamin, Origine del dramma barocco tedesco, 1928

Mircea Eliade, Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, TEA, 1993.

Edoardo Bratina  Rivista Italiana di Teosofia,  dicembre 1978

      Pietro Francesco Cascino - Gruppo Teosofico “Ars Regia H.P.B." di  Milano

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