Psiche e Spiritualità
Di: Pietro Francesco Cascino
Psiche, Amore e Mente
Nella mitologia
greca si narra di Psiche, una fanciulla
di nobile lignaggio e di straordinaria bellezza tanto da essere
adorata dagli uomini come fosse una dea
ed è per questo che nessuno osa chiederla in sposa. Essa è addirittura ritenuta
l’incarnazione di Venere. Ciò provoca la gelosia d’Afrodite, la quale pensa di
vendicare l’onta con l’aiuto del figlio Eros al quale chiede di fare innamorare
la ragazza grazie alle sue frecce amorose ed assumendo le spoglie di un comune
mortale, affatto attraente ed assolutamente sfortunato, di sposarla
costringendola poi a vivere una vita di stenti e sofferenze. Eros, però,
folgorato dalla bellezza della ragazza fa cadere sul suo piede la freccia a lei
destinata e s’innamora perdutamente divenendo vittima del suo stesso tranello.
Con la complicità di un vento di Zefiro, mentre Psiche riposa sulla cima di un
poggio erboso, la trasporta in un luogo fantastico nel quale si trova un sontuoso
palazzo colmo di tesori. Psiche, svegliatasi immersa nella luce del Sole nascente
trascorre la giornata ad ammirare le ricchezze di quella magione; poi, la sera coricata
su un giaciglio sente un’ombra sdraiarsi al suo fianco; non fa in tempo a
spaventarsi che viene avvolta da un caldo abbraccio. Eros, con voce suadente le
chiede di unirsi in matrimonio con lui, ma le pone una condizione: lei non
potrà guardarlo in volto e conoscere la sua vera identità, ma dovrà
accontentarsi unicamente del suo amore; egli la raggiungerà soltanto la notte
per amarla. La dolcezza e le morbide carezze d’Amore vincono il cuore di
Psiche; lei accetta senza porre domande. I giorni seguenti vissuti nell’attesa
del suo sposo divengono, però, per la giovane, troppo lunghi e solitari; così
chiede ad Amore di far giungere al palazzo le sorelle perché possano tenerle
compagnia. Egli accetta; ma l’avverte che esse le causeranno dispiaceri. Queste,
infatti, non tardano a malignare e ad insinuare nella mente di Psiche il tarlo
del dubbio riguardo alla sua relazione matrimoniale e la convincono che sarà
meglio scoprire la vera identità del suo amante che potrebbe essere persino un
mostro. Una notte mentre Eros dorme, Psiche, decisa a scoprire l’identità del
suo amato, gli si avvicina, tenendo in pugno un pugnale per difendersi nel caso
in cui dovesse essere da questi aggredita, prende una freccia dalla faretra che
giace al suo fianco e feritasi con la punta d’oro s’infiamma nuovamente d’amore
per il marito, poi con una lampada lo illumina svelando il suo magnifico volto;
ma nel chinarsi su di lui una goccia d’olio bollente si versa dalla lampada sulla
spalla di Eros svegliandolo di
soprassalto. Questi, compreso ciò che è accaduto, n’è profondamente deluso, e dice
a Psiche che dovranno separasi per sempre; quindi dispiegando le ali s’invola e
con lui scompare l’intero palazzo. Nella disperata ricerca del suo perduto
Amore, Psiche giunge alla dimora di Venere la quale, essendo già a conoscenza
del fatto e per questo notevolmente adirata, sottopone Psiche ad una serie di
prove impossibili che la ragazza riesce, con molta sofferenza, a superare
grazie anche all’aiuto d’altre divinità. Eros ancora tremendamente innamorato
di Psiche, chiede a Zeus il permesso di sposarla e tenerla con sé. Il Padre
degli dei non potendo rifiutare la supplica del figlio, lo accontenta, decidendo
con il consenso degli altri dei e di Afrodite di accogliere Psiche nell’Olimpo fra
gli immortali. Questa storia ha indubbiamente un significato allegorico. I
protagonisti sono: lo Spirito quale manifestazione dell’amore divino, l’anima
(Psiche) e la ragione. L’aspetto divino, spirituale, è fatalmente attratto
dall’anima incarnata. La natura, però, nella sua affascinante fisicità, si
esprime anche attraverso una mente che ragiona e che, tuttavia, si lascia
spesso condizionare dall’ambiente in cui esercita la propria attività
indugiando su strade impervie alla ricerca di una verità nascosta. Talvolta il
lato oscuro della mente svia l’anima con illusioni o paure impedendole un
corretto rapporto con l’Amore. L’Amore (o spiritualità) di conseguenza fugge, com’è
costretto a fare Eros, poiché Psiche (l’anima guidata dalla ragione), ha voluto
vederlo “in faccia”, ha in pratica, voluto vedere chi l’amore veramente fosse,
contro la sua volontà. Ciò vuol dire che l’amore finisce quando, invece di
farlo rivivere in sé stesso, della sua intima ed oscura tensione, si cerca di
dargli una spiegazione “illuminante” che nel portare alla luce le ragioni e le
cause nascoste rischia, invece, d’allontanare la sua essenza e la sua verità
profonda. Il fatto narrato, per un certo verso, è analogo a quanto riportato
nel Pentateuco dell’Antico Testamento: “Quando gli uomini cominciarono a
moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le
figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero…”
(Genesi 6, 1-5).
Con tutto quello che
ne conseguì….
Tale fatto è
riconducibile alla “caduta degli dei” o dello Spirito che si unisce al mondo
fisico e determina inevitabilmente, quale effetto principale, la necessità per
la natura fisica di rapportarsi alla realtà della natura divina. Ciò,
naturalmente, comporta il superamento, da parte della natura fisica, di prove
severe che ne consentirebbero il graduale e progressivo affrancamento da tutti
i limiti posti dalla propria costituzione fatta di materialità.
Le nozioni
dei filosofi antichi, dei cabalisti medioevali ed appartenenti a varie scuole
di pensiero, in via di massima sono concordanti. La differenza sostanziale,
dice Elena Petrovna Blavatsky in Iside Svelata,[1] “ consiste nella
localizzazione dello spirito immortale o divino dell’uomo. Mentre gli
antichi neoplatonici sostenevano che l’augoide non discende mai ipostaticamente
nell’uomo vivente, ma soltanto diffonde più o meno la sua radiazione sull’uomo
interiore –l’anima astrale-, i cabalisti del medioevo sostenevano che lo
spirito, staccandosi dall’oceano di luce, entra nell’anima dell’uomo dove
rimane imprigionato durante la vita nella capsula astrale”. Secondo quanto
teorizzato dai cabalisti, l’anima fu contaminata dal mondo della materia, con
la caduta di Adamo. Questi, per riconquistare lo spirito divino, imprigionato
nell’anima come una goccia d’acqua contenuta in una capsula di gelatina e
immersa nel mare, dovrà, superando le angosce di una coscienza inaridita,
rompere l’involucro e divenire una parte del mare. “…D’altro canto… i
filosofi consideravano lo spirito come qualcosa di completamente distinto
dall’anima… come si trattasse di
un’emanazione spirituale o raggio del «risplendente»”. Il percorso che deve compiere l’uomo, e
la sua anima, per conquistare l’immortalità deve condurlo a ritrovare quella
parte più interna di sé e rimanervi completamente assorbito. Così continua M.me
Blavatsky a proposito del percorso che l’uomo compie dopo la morte fisica: “
L’anima astrale ed il corpo terrestre dell’uomo possono nell’oscuro «di poi»
restare assorbiti dall’oceano cosmico di elementi sublimati e cessare quindi di
sentirsi l’«ego» proprio…”. Lo spirito, durante questo percorso resta,
tuttavia, sempre un’entità distinta, immortale ed eterna.
Prima di
Socrate, la filosofia si interessava delle manifestazioni della natura, ed è,
quindi, solo con lui (e con il suo discepolo Platone) che viene utilizzato il
termine psyché (anima) per passare ad occuparsi del mondo interiore
dell’uomo. Ancora oggi si pensa che l’essenza dell’uomo sia la psiche.
Nel tempo le varie culture e i
vari pensatori hanno diversamente considerato la psiche, secondo l’ambito in
cui questa era ed è contestualizzata e dalla definizione che, di conseguenza,
le è stata e, ad oggi, le è attribuita. Così la psiche, in ambito religioso
s’identifica con l’anima, essenza spirituale, in filosofia, come l’insieme delle
facoltà mentali e cognitive, in psicologia, come complesso di funzioni non
corporee. Per gli antichi greci, l’anima s’identificava con il respiro (pnèuma)[2]. Secondo
il dualismo platonico e gnostico, l’anima è per sua natura, simbolo di purezza
e spiritualità. Pitagora, Platone, Timeo di Locri e tutta la scuola
alessandrina fanno derivare l’anima umana dall’anima del mondo universale e
questa, è l’etere, un qualcosa di tanto sottile da poter essere percepito
soltanto dal nostro occhio interiore. Per questa ragione l’anima umana non può
essere l’essenza della monade o causa,
perché l’anima mundi [3] non è che un
effetto, cioè l’emanazione oggettiva della prima. L’anima esiste come parte
inconscia di un «tutto intelligente».
Sia lo spirito che l’anima furono creati dall’Eterno Oceano di Luce e, come
sostengono i teosofi, esiste uno spirito visibile ed uno invisibile. Aristotele
li definisce uno «anima razionale», l’altro
«anima animale». Secondo i filosofi
dell’antica Grecia l’anima razionale proviene dal di fuori dell’anima
universale, l’altra invece dal di dentro. Per Plotino l’anima è la terza
ipostasi[4], la
cui essenza è immortale, intellettiva e divina. Basandosi su quanto affermato
nel Timeo di Platone, egli
attribuisce anime anche agli astri e ai pianeti. Inoltre, Plotino sdoppia
l’anima in “Anima superiore”, legata al divino, e “Anima inferiore”, legata al
corpo. Vi è un anima che plasma e rende vitale l’intero universo (anima
universale) e vi sono anime individuali, per tutti gli esseri animati. La
regione divina e superiore in cui questi filosofi collocavano l’invisibile e
suprema divinità, veniva considerata come il quinto elemento, puramente
spirituale e divino, mentre l’anima mundi
ritenevano fosse composta di natura
sottile ignea ed eterica diffusa in tutto l’universo, cioè come etere. Anobio,
Tertulliano, Ireneo ed Origene, malgrado la loro cristianità credevano, come
Spinosa e Hobbes, che l’anima fosse corporea, ma di una natura estremamente
sottile mentre gli stoici negavano ogni natura corporea all’Anima invisibile.
Swedenborg condivideva la posizione degli spiritualisti riguardo alla
possibilità, con la morte, di una obliterazione della personalità umana che
avverrebbe con la separazione della parte immortale con quella peritura.
Secondo Platone l’anima non ha un inizio, in quanto è ingenerata; inoltre è
considerata immortale ed incorporea. L’anima è dunque intesa come parte
incorporea dell’uomo, seppur ad esso intimamente collegata, e quale
entità preesistente insieme allo spirito. L’anima viene vista come
l’aspetto più puro e sottile dell’esistenza umana, il principio che dà vita e
caratterizza tutta l’evoluzione di un individuo. Non ha “vestimenti”, infatti
viene anche detta Anupadaka , è cioè
priva di aspetti che la separano dal
resto della creazione. Il principio separativo “ego” è solo un riflesso
limitato di questa energia. Solo osservando la legge di armonia l’anima potrà
guadagnarsi la vita individuale futura. Quanto più l’uomo interiore ed
esteriore devia da questa fonte di “armonia”,
tanto più difficile, sarà riguadagnare la sorgente spirituale divina. “Pitagora insegnava che tutto l’universo è un
vasto sistema di esatte combinazioni matematiche. Platone dimostra che la
divinità geometrizza. Il mondo è sostenuto dalla stessa legge di equilibrio e
di armonia su cui è stato costruito” come ricorda M.me Blavatsky in Iside Svelata.
Aristotele cerca di superare il dualismo platonico, indicando l’anima come forma di vita che anima e governa il corpo, affermando il principio secondo il quale esisterebbero tre distinti aspetti dell’anima correlati all’espletamento di determinate funzioni:
a) L’anima vegetativa, presiede le funzioni fisiologiche istintive (quelle definite “animali”: nutrizione, crescita, riproduzione);
b) L’anima sensitiva, che presiede al movimento ed all’attività senziente;
c) L’anima intellettiva, quale fonte del pensiero razionale, governa la conoscenza, la volontà e la facoltà di scelta.
Nell’anima intellettiva risiederebbe un principio d’eternità. Aristotele, tuttavia, non chiarisce se l’eternità dell’anima sia anche individuale, né definisce i rapporti tra questa anima e le altre.
Tutte le religioni hanno come obiettivo la liberazione dell’ego ottenuta con il conseguimento di un adamantino livello di sintonia con l’energia della propria anima. Nella tradizione esoterica viene distinta l’anima individuale (Jiva) dall’anima suprema (Atman). L’obiettivo è la fusione de jiva nell’Atman. del sé individuale con quello Supremo, giungendo così alla piena realizzazione spirituale ed alla fine della sofferenza. L’unione del sé (inteso come l’Io con il quale si manifesta la personalità dell’individuo) che si esprime nella dimensione concreta della vita nel corpo fisico ed attraverso il mentale inferiore, con il Sé superiore (o corpo causale) che si esprime attraverso il mondo degli archètipi nella dimensione intuitiva del mentale astratto ed è espressione del livello buddhico, si ottiene, gradualmente, mediante l’evoluzione della coscienza e della comprensione dell’universo interiore ed esteriore. In tal modo si realizza il ponte di collegamento (Antakarana) fra i due aspetti dell’anima. Per ottenere ciò è necessario che le esperienze vissute attraverso un numero indefinito di incarnazioni vadano a far parte del bagaglio dell’EGO, che le ricorda tutte. Il fatto di non ricordare niente delle vite passate dà un’idea della distanza che si crea in ogni reincarnazione tra la percezione che l’uomo ha di sé durante la vita costituita dall’Io personale, e la sua vera natura, costituita dal suo Sé superiore. Solo l’iniziato la cui sintonia con l’anima è pressoché perfetta, sarà in grado di ricordare tutte le esperienze vissute nelle precedenti vite che restano presenti nella memoria del principio unificatore.
Con il termine “mente” si descrivono, comunemente, le funzioni superiori del cervello ed in particolare quelle cui si può aver coscienza quali la personalità, la memoria, il pensiero, l’intelligenza, la volontà e l’emozione. Diverse teorie sulla costituzione della mente, risalgono a Platone, Aristotele e ad altri filosofi dell’antica Grecia. Vi sono teorie pre- scientifiche riguardanti la relazione tra mente ed anima che poggiano sulla presunzione teologica della sussistenza dell’essenza divina in ogni essere umano. Le moderne teorie invece si basano sulla comprensione scientifica del cervello e vedono la mente come fenomeno psicologico. La mente è quindi considerata quale sinonimo di coscienza. Alcuni ritengono che solo le funzioni intellettive più elevate, quali la ragione e la memoria, costituiscano la mente; mentre gli aspetti costitutivi della sfera emozionale : amore, odio, gioia, paura, avrebbero natura istintiva primitiva ed andrebbero, pertanto, distinte dalla mente. Altri sostengono che l’aspetto emotivo non possa essere considerato separatamente da quello razionale in quanto facenti parte della medesima natura dell’individuo.
Impropriamente il termine mente è utilizzato come sinonimo di pensiero cioè con l’attività cerebrale che si sviluppa in una sorta di conversazione con sé stessi che è, quindi, limitata alla sfera soggettiva. I filosofi e gli psicologi esaminano la mente da prospettive diverse, sostenendo, alcuni che la mente è una singola entità avente il proprio fondamento nel cervello, e che essa mantiene nei confronti di quest’ultimo una sostanziale autonomia. Tale prospettiva, definita sostanzialista, ha origine nelle teorie platoniche, ed è stata fatta propria dal pensiero cristiano. La prospettiva funzionalista, facente capo ad Aristotele, si basa sull’idea che la mente è la rappresentazione di una moltitudine di funzioni cerebrali. In questa prospettiva la mente è una manifestazione soggettiva della coscienza che consente all’individuo di essere consapevole della propria natura, delle proprie possibilità e capacità fisiche ed intellettive. Nel diciannovesimo secolo non si è, tuttavia, potuto affermare con certezza in che maniera il cervello svolgesse certe funzioni legate al campo emotivo o percettivo. Ma i successivi studi hanno ampliato la distanza fra la prospettiva funzionalista e quella sostanzialista facendo sì che prevalesse la prima ritenendo innegabilmente chiaro che tutte le componenti della mente trovano la propria origine nel funzionamento del cervello. Il dibattito circa la natura della mente attiene soprattutto allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Se verrà scoperto che la mente è davvero qualcosa di separato dal funzionamento del cervello, certamente sarà impossibile per una macchina, per quanto sofisticata, riprodurne tutte le funzioni; d’altra parte, se si scoprirà che la mente non è altro che un insieme di funzioni cerebrali correlate, sarà allora possibile, almeno in teoria, creare una macchina che abbia una mente.
Vorrei ricordare, a tal
proposito, il pensiero di Bernardino del Boca espresso nel suo libro La casa del Tramonto e riportato
nell’articolo del Segretario Generale A. Girardi, “Bernardino del Boca e
“ Sviluppando la mente e le culture, l’uomo ha perso il contatto con la fonte spirituale dell’anima, per riconoscere e vivere solo basandosi sulla tematica mentale. Tuttavia, a livello inconscio, ogni individuo e ogni popolo sono guidati dalla psicotematica e dall’intuizione. Lo sviluppo del nuovo piano di coscienza acquariano porterà parte dell’umanità a vivere secondo la tematica spirituale,che ci porterà non ad un maggior sviluppo della conoscenza, ma alla conquista della saggezza.”
[1] Iside Svelata – ed. Sirio, Trieste (1958) parte prima, volume secondo.- pag. 38 .
[2] Pnèuma deriva dal verbo pnèo, che significa “respirare” o “soffiare”, e si ritiene che anche l’ebraico rùach (anima mediana o spirito) derivi da una radice che ha lo stesso significato, ed indica l’alito vitale trasmesso da Dio all’uomo. Anima deriva dal greco ànemos (vento). Nell’induismo si fa riferimento all’Atman, (espirazione).
[3] Anima Mundi è un termine filosofico usato dai neoplatonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità, assimilata a un unico organismo vivente. Rappresenta il principio unificante da cui prendono forma i singoli organismi, i quali, pur articolandosi e differenziandosi secondo le proprie specificità individuali, risultano tuttavia legati tra loro da una tale comune Anima universale.
[4] Ipostasi (dal greco hypostasis, «sostanza», da hypo, «sotto», e stasis, «stare») è un concetto che assume diversi significati in diverse discipline. In filosofia, (e in particolare nella filosofia neoplatonica e in Plotino), è il termine che designa le tre sostanze spirituali: l’Uno, l’intelletto, l’anima che insieme alla materia costituiscono il mondo intelligibile. E’ la generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla stessa sostanza divina, la quale crea ogni cosa per emanazione. Nella teologa cristiana, persona della Trinità come sostanza assoluta.
Pietro Francesco Cascino Gruppo Teosofico “Ars Regia H.P.B." di Milano