Le origini dell’ermetismo ed Ermete Trismegisto
Di: Pietro Francesco Cascino
La ricerca delle origini degli scritti ermetici è stata spesso oggetto di accesa dissertazione da parte degli studiosi. Le opere cui faremo riferimento sono il Corpus Hermeticum e l’Asclepio.
Il Corpus Hermeticum, ritenuto la traduzione fedele di Ermete dei codici segreti di Thot, secondo la versione ufficiale impiegò cinque secoli (durante i quali prese spessore sotto l'influenza di alcune correnti filosofiche tra cui il platonismo, l'aristotelismo, lo stoicismo e altre tra cui anche il giudaismo) prima di prendere la forma definita intorno al 200 d.C. ; entrò successivamente a far parte della filosofia occidentale durante il Rinascimento per iniziativa di Cosimo de’ Medici il quale nel 1463 incaricava Marsilio Ficino di approntare una traduzione dal greco al latino del manoscritto di Asclepio acquistato per la sua biblioteca nel 1460 dal monaco Leonardo di Macedonia. Si ritiene comunemente che il testo geroglifico originale sia stato tradotto in greco dai sacerdoti egizi, una volta resisi conto, con l'arrivo dei Tolomei, che il greco stava diventando la lingua di uso diplomatico, destinata a far scomparire quella autoctona. Con questa ipotesi sembra possibile che per una traduzione di tale importanza si fossero avvalsi della collaborazione di qualche erudito greco ospite in Egitto. Dovendo tradurre un codice antico, in parte sicuramente criptato, in modo che mantenesse le caratteristiche della consueta dualità, il testo egizio avrebbe dovuto dire cose comprensibili a tutti gli eruditi (specialmente quelli greci), ma avrebbe dovuto rivelare il "vero" contenuto solo a chi sarebbe stato in grado di comprenderlo e di usarlo. E questo sarebbe fatalmente avvenuto al momento opportuno, quando l'umanità sarebbe stata pronta. Ci sono inoltre molte similitudini tra il mito di Ermete e quello di Enoch. E tra il "Corpus Hermeticum" e il "Libro di Enoch". L'unica differenza sostanziale sembra essere il fatto che Ermete tradusse gli scritti del suo omonimo nonno, mentre Enoch li scrisse di suo pugno al ritorno dal cielo. In comune entrambi attribuiscono alle informazioni scritte o riportate la stessa origine divina. Non è la prima volta che un mortale riceve informazioni o scrive sotto dettatura da una divinità: basta pensare a Mosè e a Maometto. Se poi ci dedichiamo alla ricerca di analogie del genere, le troviamo anche in altre antiche culture, compresa quella vedica. Da qualunque parte venga esaminata la serie di coincidenze, spicca un collegamento egizio/greco/giudaico/vedico...
La tradizione fa risalire l’intera opera ad Hermes Trismegistos o Ermete Trismegisto alias Ermete Tre volte grande ovvero il saggio dei saggi dell’antica età faraonica il quale viene identificato con il Dio egizio Thoth, il Theut platonico. Il Féstugière attribuisce la prima stesura dell’opera all’egiziano Bolo Democriteo di Mende. Gli studiosi sono tuttavia pressoché concordi nell’affermare che si tratta di scritti facenti capo a diversi autori vissuti in epoche diverse.
Il Corpus Hermeticum è composto da 18 trattati, o logoi, ordinati dagli editori moderni da I a XIV e da XVI a XVIII. La tradizione ermetica, tuttavia, possiede altri testi che il Corpus non comprende. Il più importante è l'Aslepio, che generalmente viene pubblicato come appendice del Corpus Hermeticum. L'originale greco dell'Asclepio è andato perduto e possediamo solo una traduzione latina. Questo trattato sembra essersi perduto in Occidente dopo Sant'Agostino e, attraverso alcuni autori, riprese a circolare solo dal XII secolo. Sembrerebbe sia stato questo scritto a mantenere viva la tradizione ermetica durante il Medioevo, essendo confluito nel Corpus Apuleiano. Abbiamo poi gli estratti di Giovanni Stobeo (V secolo d.C.), il quale raccolse 27 frammenti ermetici e li inserì nella sua antologia ("Florilegium") dedicata al figlio Massimo. Tra i più importanti estratti ermetici di Stobeo, si può ricordare "La vergine del mondo". Inoltre ci sono riferimenti ad opere ermetiche nei padri della Chiesa (25 frammenti) e in filosofi pagani e cristiani, come Eusebio, Lattanzio, S.Cirillo, Giovanni Lido, Zosimo, Fulgenzio, Giamblico (di questi ultimi tre autori possediamo 3 frammenti), Sant'Agostino (già citato) ecc. Molti riferimenti all'ermetismo, inoltre, sono attribuiti all'Imperatore Giuliano l'Apostata.
Osservando le vicende che hanno portato
alla stesura del Corpus Hermeticum emerge la complessità della “dottrina
filosofica ermetica” . L’ermetismo in effetti non lo si può definire né una
corrente filosofica né una religione, bensì una raccolta di principi
etico-morali ed etico-religiosi com’era d’uso nel periodo ellenico ed anche
romano, sotto forma di dialogo tra il saggio ed il discepolo. Si tratta di una
visione del mondo fondata sulle “simpatie” che uniscono il macrocosmo e il microcosmo.
Proprio per il fatto di aver costantemente affermato un desiderio di unità,
l'ermetismo fu chiamato a essere una risorsa in quei momenti di transizione
della storia delle idee durante i quali l'uomo ricercò un nuovo orientamento
verso una speranza di salvezza e di rigenerazione spirituale che non passasse
attraverso chiese costituite o sistemi di conoscenze riconosciuti.
Si può dire che le più interessanti correnti di pensiero del Novecento (come la storia delle religioni, la psicologia del profondo, l'antropologia dell'immaginario) che si sono poste la questione della ricerca del senso siano sotto la tutela di Ermete e per questo definite ermeneutiche,. «Dovremmo vedere nelle metamorfosi di Ermete lungo i secoli la prova della sua abilità nel trattare (...) le relazioni sempre complesse tra l'Uno e il molteplice, tra la materia e lo spirito. Ermete forse non è altro che l'ermeneuta per eccellenza, colui che presiede a tutte le vere rinascite, a tutte le trasformazioni (...)» .
Benché alcuni abbiano escluso un origine
egizia degli scritti ermetici ritenendo gli stessi fossero influenzati dalle
correnti filosofiche greche dell’età classica ed ellenistica, l’ultimo
orientamento in proposito tende per la <<egizianità>> o, comunque
per l’orientalità in genere. Appare, quindi, più verosimile l’ipotesi che tutto il sapere
egizio, sia stato tramandato oralmente com’era nella tradizione del tempo.
Alcuni reperti demotici risalenti al II-III sec. A.C. rinvenuti a Saqqara
(località poco distante da Menfi) risalenti al II sec. a.C. parlano di Dhwty
^3, ^3, ^3 (Thoth il Tre volte Grandissimo). Nel Tesoro di Hor (un altro
reperto di tale raccolta) si parla di Thoth padre di Iside, affermazione che si
rinviene esclusivamente nei testi ermetici. Petrie ritiene con ogni probabilità
l’origine del contenuto di alcuni testi ermetici risalenti al periodo della
dominazione persiana (
Altro elemento che avalla l’egizianità degli scritti ermetici risulta dall’analisi del passo introduttivo al XVI capitolo del Corpus dal titolo “Definizioni di Asclepio al re Ammone” dal quale emergono due elementi importanti di cui bisogna tenere in debito conto: da una parte la volontà di affermare l’identità del pensiero egiziano rispetto alla cultura greca; dall’altra si adombra lo spirito critico di fronte ad una concezione nuova dell’analisi del pensiero greco rispetto ai principi millenari del sapere egizio. Il passo fornisce inoltre, ulteriore conferma della tradizione egizia di serbare, in seno ai saggi, alla casta sacerdotale elitaria, tutto il sapere sotto forma di segretezza nonché la presumibile trasmissione orale dello stesso. Il senso di critica appare anche nell’altra opera ermetica l’Asclepio allorché Ermete parla della filosofia che considera la sola disciplina atta a conoscere... “più profondamente la divinità mediante una contemplazione incessante e una santa devozione, e molti già la corrompono in una infinità di modi”. Alla domanda di Asclepio in che modo si corrompe la filosofia Ermete risponde: " Con un astuto lavoro, o Asclepio, la mescolano con varie discipline incomprensibili, come l’aritmetica, la musica e la geometria, mentre la pura filosofia, quella che dipende dalla devozione verso Dio, si interesserà alle altre scienze solo per ammirare come il ritorno degli astri ….". La critica alla concezione della filosofia come scienza, così come concepita dai Greci, appare evidente soprattutto se contrapposta ai principi etico morali, etico religiosi imperanti in Egitto ove il concetto di una vera e propria disciplina che li potesse contenere e codificare era inimmaginabile. L’ermetismo a prima vista sembra sovente identificarsi con lo stoicismo. Basti pensare alle sette sfere celesti ognuna delle quali nasconde il destino dell’uomo. Approfondendo la tematica ermetica ci si avvede però che alcuni dei suoi principi si avvicinano molto di più allo gnosticismo. Infatti l’uomo per mezzo di dio può sublimarsi e trascendere le sfere celesti, raggiungendo la saggezza o addirittura confondendosi con la divinità stessa. La similitudine con la casta elitaria concepita dagli gnostici appare abbastanza palese. Solo pochi eletti riescono a sublimarsi, ad elevarsi e vincere l’immobile destino concepito dagli stoici. E’ noto che nell’antico Egitto il culto per il dio Thoth era altissimo sin dai tempi della cosìdetta Teologia Ermopolitana, e pertanto oltre un millennio prima della Grecia classica.
Ermete Trismegisto/Thot
I greci conglobavano le religioni dei popoli con cui entravano in contatto, per poi modificarle mano a mano e farle proprie; forse avevano capito che gli dèi erano sempre gli stessi per tutti, e che si spostavano in lungo e in largo sulla terra a loro piacimento. Così pensavano, dando loro un nome diverso, di appropriarsene legittimando la sacralità della Grecia e, per i propri eroi (che godevano generalmente della protezione di una divinità), l'origine divina. Alcuni dèi apparivano all'improvviso assumendo sembianze diverse per non essere riconosciuti, altri si manifestavano direttamente, e uno in particolare solcava i cieli: Ermes, il messaggero degli dèi.
Un'allegoria del volo intesa certo a descrivere un fenomeno impossibile da spiegare razionalmente per l'uomo di allora, lo rappresentava con elmo e piedi "alati".
Ermete Trismegisto secondo una ricostruzione storica sarebbe vissuto poco prima dell’arrivo dei greci di Alessandro Magno in Egitto. Al di là dell’alone di mistero che lo circonda la sua figura è estremamente interessante: Ermete fu identificato dai greci con il Dio egiziano Thot (Dio egizio Lunare della scrittura). Questa identificazione risale almeno ad Erodoto ed è presente in Platone nel "Fedro" (con il mito di Theut) e nel "Cratilo". Sappiamo che Ermete e Thot erano associati all'invenzione della scrittura, alla medicina, al regno dei morti, alla capacità inventiva, alla frode e all'inganno. Inoltre, sia Thot che Ermete avevano un ruolo demiurgico. La figura di Thot - "il grandissimo" - è strettamente legata all'Ermetismo, essendo Thot il dio egizio legato alla "Conoscenza Nascosta". Associato alla Luna (con cui aveva barato al gioco del senet per strapparle i famosi cinque giorni epagomeni), alla scrittura (inventore dei geroglifici), alle scienze in generale, Thot era anche il dio della medicina e dell'astronomia (misuratore dei cieli e conoscitore delle stelle); collegato all'aldilà, presiedeva al rito della pesatura dell'anima del defunto (la bilancia era una sua invenzione). In alcune regioni dell'antico Kemet, Thot era colui che aveva dato origine alla vita sulla terra... la divinità suprema. Aveva dimostrato di essere intelligente, furbo e, se necessario, capace di imbrogliare...
Con questo, quindi, si può già capire
perché i greci associarono i due Dei. I greci vedevano l'Egitto come la terra
della conoscenza perduta di un tempo estremamente remoto, quindi il fatto di
possedere in lingua greca scritti composti dallo stesso Dio Thot (Ermete), dava
prestigio ai testi e conferiva loro importanza. Chiaramente testi scritti
dallo stesso Dio della conoscenza erano qualcosa di incredibilmente importante
e sacro. Sappiamo che Platone viaggiò in Egitto, come facevano molti greci del
suo tempo, per essere istruito dai sacerdoti egiziani, quindi quegli elementi
che si ritrovano in Platone e che risultano simili alle dottrine ermetiche
potrebbero avere la stessa fonte egizia. Aristotele era allievo
di Platone, quindi influenzato dal suo maestro, e gli Stoici, per alcune
questioni sulle divinità, si rifanno ad Eraclito, che è stato chiaramente
influenzato dal pensiero egiziano. Le somiglianze, quindi. sono facilmente
spiegate supponendo la fonte comune egizia da cui tutti potrebbero aver
attinto. Inoltre sarebbe logico il fatto che, al momento della fine della
civiltà prettamente egiziana con l'inizio dell'Ellenismo (IV secolo a.C.), i
sacerdoti d'Egitto avessero ritenuto opportuno tradurre in greco (la lingua
culturale dell'epoca) dal geroglifico (che stava iniziando ad essere
abbandonato) tutte le conoscenze che si preservavano in Egitto da millenni e
che ora rischiavano di essere perdute; conoscenze, secondo i sacerdoti, importantissime
per le generazioni future. Queste conoscenze venivano fatte risalire allo
stesso Dio Thot. Se il Dio Ermete (Thot) era il nonno dell'Ermete
traduttore, ciò voleva solo significare che le conoscenze millenarie
attribuite al Dio Thot venivano tramandate ai posteri in una nuova lingua.
Finché i sacerdoti poterono conservare le proprie conoscenze nei templi,
istruendo solo persone particolarmente degne di ricevere certi insegnamenti, lo
fecero, ma quando si accorsero che ormai l'Egitto era in preda a culti
stranieri importati dai greci e dalle altre comunità che giungevano
nell'Egitto dei Tolomei, ritennero necessario divulgare queste conoscenze per
chi sarebbe stato in grado di capirle. Probabilmente esisteva una sorta di
setta che custodiva i segreti di Thot (forse come quella storicamente provata
risalente ai tempi della costruzione delle piramidi: i seguaci di Horus); ma
allora qual era la fonte principale delle conoscenze ermetiche? Lo stesso Dio?
E, quando erano nate queste conoscenze? Ipotizzando (interpretazione
evemeristica) che il dio Thot fosse un uomo di eccezionali capacità che
alla sua morte fosse stato divinizzato, lo potremmo collocare ai tempi del
regno di Osiride. Osiride era a capo dei superstiti di Atlantide diretti in Egitto
circa nel
Ecco cosa dice Diodoro nella sua Biblioteca Storica (libro I, 15-16): "Tra tutti - Osiride teneva nel più alto grado di considerazione Ermes, perché fornito di naturale sagacia nell'introdurre innovazioni capaci di migliorare la vita associata. Secondo la tradizione, infatti sono opera di Ermes l'articolazione del linguaggio comune, la denominazione di molti oggetti fino ad allora privi di nome, la scoperta dell'alfabeto e l'organizzazione dei rituali pertinenti agli onori e ai sacrifici divini. Egli fu il primo ad osservare l'ordinata disposizione degli astri e l'armonia dei suoni musicali secondo la loro natura; fu l'inventore della palestra e rivolse le sue cure allo sviluppo ritmico del corpo umano. Inventò anche la lira con tre corde fatte di nervi, imitando le stagioni dell’anno; adottò infatti tre toni: acuto, grave, medio, in sintonia con estate, inverno, primavera.
Anche i Greci furono da lui educati nell'arte dell'esposizione e dell'interpretazione, vale a dire l'arte dell'ermeneutica, e per questa ragione gli hanno dato appunto il nome di Ermes. . L'ermeneutica non pone infatti la comprensione all'interno di un sistema che si esprime in termini di verità o di errore. Essa indica un percorso di pensiero “iniziatico” che attraverso la relazione profonda con il mito e le immagini simboliche ed archetipiche trova in un'arcaicità originaria, il polo di orientamento per un tragitto di conoscenza che medi le pluralità e equilibri gli antagonismi. «Se il ‘cangiante Ermete' viene invitato a fare da guida è perché, tra tutti gli dei, è il più bravo a legare e a sciogliere, a stabilire le mediazioni tra l'anima (sempre singolare e non di meno aperta al mondo) e l'universalità dei simboli e dei miti, tra il sacro e il profano
Tra gli ermeneuti contemporanei Martin Heidegger è quello che con più forza di convincimento ha indicato al mondo contemporaneo la necessità di ritrovare il silenzioso raccoglimento all'ascolto dell'essere già prefigurato nell'invito al silenzio di Ermete Trimegisto. «Ermes è il messaggero degli dei. Egli reca il messaggio del destino: hermeneuein è quell'esporre che reca un annuncio, in quanto è in grado di ascoltare un messaggio. (...) Da tutto ciò risulta chiaro che hermeneuein non significa primariamente interpretare ma, prima di questo, portare messaggio ed annunzio» (M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio , Mursia, Milano 1988, p. 104).
Pietro Francesco Cascino è il Vice presidente del Gruppo Teosofico “Ars Regia H.P.B." di Milano