Il fondamento della saggezza antica

 Di:  Ianthe Hoskins

Permettetemi di raccontarvi una storiella che, pur essendo molto semplice, fa capire meglio di tante parole e di termini astratti quello che voglio dire, perché spesso dietro a parole diverse si nascondono le stesse idee.

C’era una volta (così incominciano tutte le belle fiabe) un vecchio contadino che, seduto sull’uscio di casa, passava il tempo a suonare il violino. Quello che stupiva era che, invece di suonare come tutti i violinisti, lui suonava solo e sempre la stessa nota. Il suo violino aveva quattro corde, come tutti i violini, ma ogni volta che lo suonava usava sempre la stessa corda emettendo sempre la stessa nota.

Un giorno giunse nel villaggio un giovane musicista che suonava il violino e, diversamente dal vecchio contadino, suonava varie note su tutte le corde dello strumento. Ascoltando la sua bella musica la moglie del contadino andò dal marito e gli disse in un orecchio: “Senti come suona bene quel ragazzo. Lui suona adoperando tutte le corde del violino mentre tu suoni sempre la stessa nota sulla stessa corda, perché non fai come lui?”. “È semplice”, rispose il vecchio, “Lui è ancora alla ricerca della nota buona, io invece l’ho trovata”.

Le fiabe, anche le più semplici, nascondono sovente, come ben sapete, delle verità profonde.

I credo degli uomini sono innumerevoli, infinite sono le note suonate dall’orchestra umana. In contrasto a tutto ciò la Verità è una, ovunque noi guardiamo la Verità è sempre la stessa, immutabile, indivisibile, una nota unica che si fa sentire sopra ai vari suoni di un’orchestra.

Quelli che cercano la verità suonano su tutte le corde mentre colui che l’ha trovata ha solo una nota da suonare, ha solo una cosa da dire, solo una verità da annunciare.

Qual è questa nota unica, questa Verità fondamentale? Mi ci sono voluti più di trent’anni per imparare a distinguerla.

All’inizio dei miei studi teosofici ho partecipato ad un corso guidato da un membro della Società Teosofica, una signora molto più anziana di me, che ci leggeva un libro di Annie Besant, Sapienza Antica e che, durante la lettura, si fermava ogni tanto per spiegare una parola o per commentare un concetto. Io ricordo bene tutto questo, perché a me, che allora ero più ignorante di quanto sono adesso, dava molto fastidio il fatto che non perdeva mai l’occasione per ripetere: “Notate bene che si tratta della Vita Una, l’Unica Vita”.

Oggi capisco che la vecchia teosofa, analogamente al contadino della fiaba, aveva trovato la nota buona e che io ero come la moglie che preferiva la musica composta da tante note perché non conosceva il segreto della nota unica.

Non mi scuso quindi di ripetere sempre certi concetti e, soprattutto, delle citazioni tratte dalle opere di M.me Blavatsky.

In una pagina de La Dottrina Segreta M.me Blavatsky indica la pietra fondamentale dell’edificio teosofico, ossia la base di tutte le dottrine della “Sapienza Antica”. Essa afferma “l’unità radicale dell’essenza del tutto” (abbrevio il testo) e insiste sul fatto che quando dice “tutto” intende veramente dire “tutto”: l’unità della stella e dell’atomo, dell’arcangelo e del microbo, è la sola Legge Fondamentale della Scienza Occulta.

Da questa unicità risulta che l’esistenza è una sola e unica cosa. In un altro paragrafo afferma che fondamentalmente non c’è che un solo Essere e dicendo questo non fa che ripetere un indimenticabile versetto della più antica delle scritture induiste: “Non c’è nient’altro che Lui”.

Un giorno, sfogliando le pagine del quinto volume de La Dottrina Segreta, mi balzarono agli occhi queste parole: È la prima lezione da imparare.

Stavo proprio cercando un punto di partenza per incominciare lo studio di questo volume, che contiene diversi insegnamenti esoterici, e dell’altro materiale, pubblicati dopo la morte di M.me Blavatsky, per cui questa frase attirò subito la mia attenzione.

Certamente è di lì che dovevo incominciare, ma qual era questa prima lezione? Per trovarla dovetti tornare a leggere le due o tre pagine precedenti. M.me Blavatsky cercava di spiegare ai suoi lettori (ossia al gruppo di teosofi londinesi che si riunivano intorno a lei per studiare i suoi insegnamenti) una dottrina metafisica, quella del doppio Manas, e, per meglio chiarire, diceva: Per capire completamente e correttamente questa dottrina… bisogna assimilare e fare propria un’idea che vanamente ho cercato di comunicare a tutti i teosofi. Se troviamo difficili le dottrine metafisiche della Teosofia questo può consolarci.

Anche per i teosofi dell’epoca, che avevano il privilegio di essere istruiti direttamente da lei, era difficile capire i concetti che M.me Blavatsky esponeva loro, di comprendere la grande verità che è evidente di per se stessa, la sola Realtà vivente, quella che gli Indù chiamano Paramâtmân e Parabrahman, l’Unica Essenza Madre da sempre esistente, immutabile, impercettibile per i nostri sensi fisici.

Ecco l’unica corda del violino cosmico e, di conseguenza, l’unica nota che è stata suonata da tutti i filosofi iniziati dell’antichità, come pure dai grandi mistici del cristianesimo, o di altre religioni: la Vita Unica, la fonte e l’essenza di tutti gli esseri. Essa rappresenta, come dice Krishna, il simbolo di Parabrahman, della eterna e vivente Realtà: Sono io lo Spirito nascosto nel profondo degli esseri, è da me che essi emanano, sono io che li sostengo e ad un mio ordine scompaiono”. Un versetto dei Veda dice così: Non c’è altro che Lui.

Alcuni, forse, diranno: “Tutte queste astrazioni non ci riguardano. Lei ci parla del Cosmo, di Parabrahman, ecc., … ma questo a noi cosa importa?”.

Eppure la logica vuole che cerchiamo fino in fondo quello che comporta questa proposizione di base. Se nell’universo c’è una sola Realtà, che chiamiamo Vita, Essenza, Parabrahman o in altro modo, ne consegue che tutto ciò che esiste è emanato da questa sorgente e che tutto ad essa deve ritornare. M.me Blavatsky dice: Se questa Essenza è onnipresente, universale ed eterna, noi siamo una sua emanazione e un giorno dovremo tornarvi”.

Cosa vuole dire tutto ciò? Vuole dire che noi siamo Parabrahman, che non c’è nient’altro che Lui”. Ci parla del Cosmo e ci dice che l’uomo ne fa parte e che parlando del Cosmo è dell’uomo che si parla. Quindi parlando di Parabrahman è dell’uomo che si parla, si parla di noi. Come possiamo dire che tutto questo non ci riguarda?

L’uomo, nel profondo del suo essere, è identico alla fonte da cui proviene. L’unità dell’Essenza Divina e la divinità dell’uomo non sono altro che due aspetti di una sola verità.

M.me Blavatsky non ha inventato una nuova dottrina in quanto nei libri sacri dell’oriente o negli scritti dei mistici cristiani e mussulmani sono numerose le allusioni alla Vita Unica. Shankarachaya, riconosciuto come il più grande Maestro esoterico dell’India dopo il Buddha, non si stanca di ripeterlo e nel libro Gemme di Saggezza Buddhista, vero gioiello della letteratura indù, dice che: Tutte le forme dell’argilla (giare, brocche, otri, vasi, ecc…), che la mente crede reali, in realtà non sono che argilla, nient’altro che argilla. La stessa cosa vale per questo universo che proviene da Brahman, in quanto l’unica Realtà è Brahman, non c’è altro. Non esiste niente al di fuori di Brahman, che è la sola Realtà. Quindi tu stesso sei questo supremo Brahman. Medita nel tuo cuore questa verità.

Sei secoli più tardi l’apostolo del cristianesimo scriveva ai corinti: Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio dimora in voi?”.

Dieci secoli dopo un poeta sufi scriveva:

Sulla piazza del mercato non ho visto altro che Dio.

Nel chiostro ho visto solo Dio.

Nelle valli e sulle montagne ho visto solo Dio.

Nel dolore, nelle mie sofferenze sovente l’ho visto accanto a me;

Quando la fortuna mi ha sorriso ho visto solo Lui.

Quando mi sono guardato con i miei propri occhi non ho visto altro che me;

Ma quando mi sono guardato con gli occhi di Dio non ho visto altro che Dio.

Mi sono eclissato, sono scomparso nel nulla.

Ed ecco, ero io il Dio eternamente vivente, non ero altro che Lui.

Abbiamo visto che M.me Blavatsky ha avuto molte difficoltà per fare penetrare nelle “teste dure” dei teosofi la dottrina della Vita Unica. Non le è bastato affermare la “grande verità”, l’unica Realtà: Parabrahman. Non le è bastato spiegare questa verità in tutti i modi, ossia affermare che, se questa Essenza è onnipresente ed eterna, noi proveniamo da Lei ed a Lei dobbiamo ritornare.

Allo scopo di sottolineare quanto affermava ricorse alle parole di un discepolo del Buddha, Aryasanga; queste poche righe riassumono tutta La Dottrina Segreta, esse esprimono in poche parole il vero fondamento della Sapienza Antica.

Esse affermano: “Quello che non è né Spirito né materia, né Luce né oscurità ma è il recipiente che li contiene e la loro fonte, ecco quello che sei. Ad ogni Aurora la radice proietta la propria ombra su se stessa ed è quest’ombra che tu chiami Luce e Vita, o povera forma morta!

Questa Luce-Vita scende come un fiume, dall’alto al basso della scala dei sette mondi, ed ogni scalino, scendendo, diventa più scuro”.

È questa scala di sette volte sette che stai risalendo e di cui tu sei lo specchio, o piccolo uomo!

Tu sei quello, ma non lo sai”.

È a questo punto de La Dottrina Segreta che M.me Blavatsky ha scritto: È la prima lezione da imparare.

Che lezione inesauribile! Qui abbiamo un riassunto meravigliosamente concentrato, ma completo, della dottrina occulta e due volte, in queste poche righe, all’inizio e alla fine, troviamo l’affermazione che è il fondamento dell’insegnamento, quella che afferma che il nucleo dell’ordine della natura è l’uomo: “TU SEI QUELLO”.

Notiamo che il paragrafo si divide in tre parti. Innanzitutto il Maestro afferma che, al di là di tutte le forme, di tutte le apparenze, esiste una sola cosa e che, di conseguenza, l’uomo è questa cosa. Dicendo unità si può pensare ad identità. Il Saggio traccia poi a grandi linee quello che chiamiamo il processo della manifestazione, dal risveglio dell’universo, dopo il lungo sonno del pralaya, fino alla formazione di tutti i piani cosmici ed indica, o meglio, fa intravedere il pellegrinaggio del ritorno, l’ascesa spirituale dell’uomo fino a quando riesce a ritrovare, in piena coscienza, la fonte del suo essere.

In queste poche righe di Aryasanga, quelli tra voi che conoscono La Dottrina Segreta riconoscono subito i concetti fondamentali che sono alla base del sistema teosofico, ossia le tre proposizioni enunciate da M.me Blavatsky nella Prefazione di tale opera magistrale, ovvero: la Vita una, la Legge Periodica e l’Identità dell’Uomo con la sua Sorgente; con il conseguente pellegrinaggio di ritorno ad essa.

Al di là del mondo delle apparenze, degli opposti, dei contrasti (il bene e il male, la vita e la morte, lo spirito e la materia), esiste un solo Principio onnipresente, illimitato e immutabile.

M.me Blavatsky dice, più d’una volta, che l’uomo non è capace di comprendere questo Principio Unico. Ogni speculazione che possiamo fare su questo argomento, ci dice, è inutile, perché trascende la capacità della mente umana… va oltre i limiti del nostro pensiero. Persino l’Arcangelo più elevato (con la parola Arcangelo traduco il termine Dhyân-Chohan usato da M.me Blavatsky) non può fare altro che inchinarsi, sotto il peso della propria ignoranza, davanti al solenne mistero dell’Essere Assoluto.

Eppure Aryasanga dice che questo mistero solenne, chiamato Essere Assoluto o Parabrahman o Realtà o Principio, o semplicemente Quello (scritto con la Q maiuscola), è l’essenza stessa dell’uomo: “Tu sei Quello”.

Per capire meglio il significato racchiuso in queste tre parole le commenterò.

Tu sei QUELLO: sei la sorgente di tutto, tu sei il Parabrahman, sei il Principio stesso da cui proviene tutto quello che esiste. Tu sei QUELLO: non sei solo quell’animale di carne, quel pensatore che è orgoglioso malgrado la propria ignoranza, quell’essere effimero che transita sulla scena della vita. No! Tu sei QUELLO.

Ma quando diciamo: TU sei quello, di chi parliamo? Dell’umanità in generale? Dell’uomo normale? Di uno qualunque? No! È di te che si parla, TU sei quello. E questo vuole dire: IO sono quello.

Riguardo al tempo del verbo: SEI quello. Non si tratta quindi di un avvenire futuro o della meta di un’evoluzione che sarà raggiunta tra qualche migliaio di secoli e non si tratta nemmeno del passato dell’uomo, di quello che è stato. Il verbo è coniugato al presente: tu SEI quello, ora, qui, nel momento presente, in questo luogo, tu SEI quello.

Ho citato le parole di Aryasanga: “Tu sei quello”. Però dopo queste parole il Saggio aggiunge: “Ma non lo sai”. Se questo commento (ma tu non lo sai) fosse la conclusione definitiva annullerebbe il significato principale della Dottrina. Ma fortunatamente non è così, sarebbe più esatto dire che il nostro qui ed ora è un inizio, è un punto di partenza. Perché Aryasanga avrebbe detto “ma tu non lo sai” se non per farci capire che “Tu dovresti saperlo?”. Questo implica che l’uomo ha la possibilità di giungere a questa conoscenza suprema. Potremmo quindi modificare la frase in questo modo: “Tu sei QUELLO, sei Parabrahman. Tu non lo sai, ma puoi saperlo. Ed è per questo che te lo dico”.

A cosa serve rimproverare l’uomo per la sua ignoranza se egli non ne è responsabile, se non ne ha colpa, se non può capire quello che è, se non può trasformare la propria ignoranza in conoscenza?

Quando però un uomo comprende che questa conoscenza è alla propria portata si apre per lui la grande via dello Yoga, il cammino del ritorno, dell’ascensione spirituale, si spalanca la via che incomincia qui ed ora e la cui fine non si può immaginare.

Traduzione di Ermanno Vescia.

Ianthe Hoskins (1912-2001) è stata Segretario Generale della Società teosofica inglese ed eminente studiosa della letteratura teosofica.

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